"Sierra Leone. Antropologia di un mondo a parte": questo è il titolo del libro che il dottor Roberto Ravera ha presentato oggi a Villa Magnolie, all’interno delle attività che l’Associazione 'Amici del Cassini' e il 'Liceo Cassini ' offrono alla città, davanti ad un pubblico numeroso e molto attento.
"Il titolo- ha detto l’autore- è ovviamente provocatorio, perché il piccolo paese rappresenta un esauriente esempio del West Africa, soprattutto se si riflette sul fatto che l’Africa subsahariana occupa sul pianeta una superficie cinque volte maggiore a quella dell’ intera Europa. Il paese africano rappresenta 'un universo che non ha ancora sperimentato un processo di disincanto come quello che ha caratterizzato l’Occidente' un mondo fatto di riti e comportamenti , che alla nostra cultura paiono incomprensibili e assurdamente disumani, come lo schiavismo sessuale per le donne, le costanti violenze all’interno di famiglie e villaggi, storie quotidiane di bambini soldato, privati dell’infanzia, costretti a uccidere così frequentemente , che per loro dare la morte diventa l’unica fonte di sopravvivenza, l’unico modo di vivere, senza amore, senza carezze, senza quell’affetto genitoriale, che talora in Occidente diventa 'vezzeggio compiacente dell’infanzia'".
"E ancora madri che non sanno abbracciare i propri figli e fanciulli che non sanno come reagire ad un bacio affettuoso, uomini e donne che si affidano ancora agli stregoni, ai traditionalhealer, perché li ritengono gli unici in grado di liberarli dagli spiriti maligni, perché - dice il dottor Ravera - l’animismo è ancora l’unica religione, che davvero caratterizza quel mondo".
Proprio in quel “mondo a parte” agisce Roberto Ravera insieme ai suoi collaboratori, e si occupa dei bambini, dei terribili traumi fisici e soprattutto psicologici , che la vita impone loro , senza pretendere di imporre regole, paradigmi educativi e culturali, senza dare giudizi e “guardare dall’alto”, perché l’unico modo di aiutare davvero quelle popolazioni è capire anche ciò che sembra impossibile capire.
"E così il progetto, il sogno -dice ancora l’autore- di creare un villaggio alla maniera africana, per offrire l’esempio concreto che si può vivere anche senza violenze, senza paura, ma con affetto in una pacifica unione. E tutto ciò deve realizzarsi, perché l’integrazione non è un problema di un lontano futuro, ma è il problema per antonomasia del nostro mondo, del mondo di tutti . Forse finora si è sbagliato molto, si è data vita a una modernizzazione acefala, che ha creato città moderne ed occidentali come Freetown, nella quale sono totalmente assenti le più elementari ed essenziali infrastrutture, ma la speranza è che interventi concreti, mirati e culturalmente sostenibili, come quella che oggi ci è stata raccontata, possano agire come una terapia senza sosta, che convinca tutti ad intraprendere la via di un consapevole e sincero incontro fra culture".