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Al Direttore | 11 aprile 2025, 18:18

"Vorrei poterti fare un’ultima telefonata e dirti grazie, grazie amico mio": Piero Farina ricorda Alfredo Moreschi

Emozionante scritto che commemora la figura dello storico fotografo sanremese recentemente scomparso

"Vorrei poterti fare un’ultima telefonata e dirti grazie, grazie amico mio": Piero Farina ricorda Alfredo Moreschi

Piero Farina scrive alla nostra redazione per ricordare Alfredo Moreschi, storico fotografo sanremese recentemente scomparso. Si tratta di un emozionante scritto che è un vero omaggio alla sua persona e quindi lo pubblichiamo integralmente. 

A Sanremo poche sono le persone di buona cultura che non abbiano conosciuto Alfredo Moreschi, che non siano ricorse a lui per avere una ricca documentazione fotografica sulle vicende della città o sull’intero arco dell’entroterra ponentino. È stato sempre disponibile anche quando aveva ormai cessato l’attività di fotografo e riceveva non più nello studio di Corso Matteotti ma nel suo rifugio di via Volturno dove era capace di ripercorrere col computer la storia secolare delle coltivazioni dei fiori recisi, delle varie piante subtropicali nei parchi cittadini e con l’aiuto di pubblicazioni edite con rigore scientifico, delle piante fiorite lungo l’intero percorso della pista ciclopedonale. 

Dalla sua scomparsa sono trascorse alcune settimane e la memoria della sua persona, di ciò che per anni ha rappresentato per il Ponente ligure, mi induce a tornare molto indietro nel tempo quando, tra la fine degli anni cinquanta e l’inizio dei sessanta, io ero poco più di un ragazzo con un’identità ancora acerba, priva d’indirizzi, anche se cercavo di fare buone letture o tenere viva la mia ancora inespressa creatività ritirandomi in solitudine nell’immediato entroterra sanremese a fantasticare sul mio futuro, a scrivere racconti e poesie che finivano quasi sempre in un cassetto. Su di me pesava l’incapacità di scegliere un indirizzo universitario, la realtà di una famiglia paterna protesa quasi in modo esclusivo a incrementare le fortune del censo piuttosto che professioni capaci di trasmettere emozioni al cuore. Ero un ragazzo troppo passionale incapace d’impegnarmi in studi e attività che non stimolassero la mia interiorità, il desiderio di scoprire in me un uomo che ancora non ero. Mia madre mi conosceva nel profondo e fu lei che mi liberò dall’indirizzo quasi obbligatorio del lavoro praticato in famiglia. “Se non hai tendenza a fare il lavoro di tuo padre - mi diceva - non devi frequentare il mercato dei fiori, quell’attività rischia di essere solo un modo per tradire te stesso e pentirtene poi per l’intera vita.” 

Da un amico seppi quasi per caso dell’esistenza del Cine Club Sanremo dove in uno scantinato di corso Matteotti si proiettavano immagini girate con piccole cineprese otto millimetri. I filmati riguardavano per lo più la vita delle famiglie, i bambini che giocavano sulla battigia, battesimi, matrimoni, viaggi compiuti durante le vacanze. Facevano eccezione alcuni giovani che dalla vita sociale di quel tempo traevano lo spunto per raccontare quanto accadeva nel Ponente, a volte in modo drammatico, in altre umoristico. Ricordo che uno di questi lavori intitolato “Gli Ugolanti” fu firmato da Ario Calvini, Ruggero d’Ambrosi e Alfredo Moreschi, già allora il più noto fotografo della città. Il documentario mostrava un’Italia appena uscita dal boom economico, un paese impazzito per le canzoni del Festival della Canzone dove gli adulti anche durante il lavoro seguitavano ad ascoltare in modo ossessivo i ritmi e le melodie che si erano imposte ancora sul modesto palcoscenico del Casinò e i bambini, seguendo la volontà delle mamme, scimmiottavano gli adulti con gestualità che rasentavano il ridicolo. Gli autori colpirono nel segno con immagini acute, ironiche, con un film che già aveva una dignità di regia, fotografia, montaggio. 

Il gruppo più affiatato di cineamatori aveva in Alfredo un punto di riferimento e quasi tutti gli anni a Montecatini Terme si partecipava al Concorso Fedic del Cineamatore. Nel 1963 anch’io nella città toscana fui presente al concorso con “La Tenda sotto il Sole”, la mia opera prima, entrando a far parte delle giovani leve del Cineclub che più di una volta riuscivano a produrre dei “corti” sull’evolversi dei costumi nazionali. Per alcune sere nel nostro cineclub ci fu un accanito dibattito sul mio lavoro. Le sequenze erano ambientate in una natura resa aggressiva dai ritmi compulsivi, avvolgenti della grande musica de “La Sagra della Primavera” di Igor Stravinskij e narravano la vicenda di una giovane donna la cui bellezza era soffocata dalla brutale presenza di un corteggiatore. Ricordo che per lo più la maggioranza dei presenti sparò ad alzo zero contro il mio lavoro, Alfredo con ragione criticò anche lui alcuni errori tecnici del filmato ma seppe apprezzare l’originalità del mio linguaggio filmico. 

Da quei giorni, con l’assenso di Alfredo e del Direttivo, presi l’abitudine di pubblicare sul giornale “Eco della Riviera “ un commento settimanale alle proiezioni che si organizzavano al Cineclub con film del grande cinema di quegli anni. Ricordo in particolare un ciclo dedicato al regista svedese Ingmar Bergman, opere come “il Settimo Sigillo”, “Il Posto delle Fragole”, “Come in uno Specchio” e “Luci d’inverno” che ancora oggi sono considerati tra i film più toccanti di quel periodo. 

Fu un’esperienza indimenticabile che creò in me nuove emozioni, nuove possibilità di confrontarmi con la cultura del grande mondo dello spettacolo. Negli anni sessanta era in realtà nei locali cinematografici che si faceva cultura la cultura più popolare, che i giovani spesso si confrontavano con critici ben preparati presenti in sala partecipando ai dibattiti che, come accadeva nelle grandi città come Roma o Milan, con gli stessi registi che trasmettevano agli spettatori tutto il fascino del loro cinema. Nel corso della mia carriera ho conosciuto grandi personalità come il regista Luigi Zampa, che con Alberto Sordi protagonista mise in primo piano i problemi della nostra sanità; il regista Ettore Scola, uno dei grandi autori del cinema italiano che con “Una Giornata Particolare”, mise in primo piano due grandi attori Marcello Mastroianni e Sofia Loren. 

Furono esperienze importanti per me che però non mi hanno fatto dimenticare lo scantinato di corso Matteotti. Alfredo Moreschi per il cineclub Sanremo dalla fine degli anni cinquanta è stato il principale animatore, un uomo “solo al comando”, come Fausto Coppi, il più grande grande campione dello sport di quei tempi. Alfredo ha senz’altro influito sulla mia vita, sulla volontà di farmi trovare il bandolo di una matassa che solo a Roma poteva trovare il suo punto d’arrivo. 

In quell’epoca la cultura della televisione era ancora in fasce e lontani anni luce erano le presenze degli ”influencer“, che oggi spesso influiscono sui giovani facendo loro confondere ciò che è virtuale con la realtà della vita. 

Certo un piccolo mondo potrebbe ora sembrare quello scantinato di corso Matteotti ma c’era chi lo rendeva vero, per me un punto di partenza, un luogo dove ho trovato la determinazione di abbandonare l’attività della mia famiglia e nel 1969, dopo qualche anno, di mettermi assieme alla donna della mia vita alla guida di un’auto grande come una scatoletta, una “cinquecento” e giungere in una grande città dove per ragioni di forza maggiore ho dovuto camminare con le mie gambe.

Alfredo, anche se entrambe non lo crediamo possibile, vorrei poterti fare un’ultima telefonata in qualche luogo lontano dell’Universo e dirti grazie, grazie amico mio. 

Piero Farina


 

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