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Al Direttore | 25 dicembre 2013, 16:11

Cessione di Nizza e Savoia alla Francia nel 1860: il racconto del nostro lettore Andrea Gandolfo

Cessione di Nizza e Savoia alla Francia nel 1860: il racconto del nostro lettore Andrea Gandolfo

Nell’ambito della storia politica del nostro Risorgimento, assume particolare rilevanza la questione della cessione di Nizza e della Savoia alla Francia nel 1860. Per questo motivo il nostro lettore, Andrea Gandolfo, ci ha scritto per riassumere le principali vicende diplomatiche che portarono alla cessione di tali due province sino alla firma del Trattato di Torino del 24 marzo 1860, con cui venne formalizzata la cessione:

Il 4 gennaio 1860 si erano svolte a Nizza le elezioni municipali, che avevano visto il successo dei candidati antiseparatisti sostenuti dalla «Gazette de Nice». Il 6 febbraio, in occasione dell’anniversario della promessa di concessione dello Statuto, numerosi patrioti si radunarono presso il Teatro Regio per protestare contro la progettata cessione della città alla Francia, acclamando ripetutamente il re e facendo ripetere per ben sei volte l’inno nazionale, che venne lungamente applaudito. Un’altra manifestazione antiseparatista si tenne, sempre al Teatro Regio, il 4 marzo, mentre, tre giorni dopo, dodicimila persone parteciparono a una messa presso la chiesa votiva di Nostra Signora delle Grazie, e quindi a una processione per esprimere la loro contrarietà al tentativo annessionistico francese della loro città. Il quadro internazionale era comunque tale da indurre Cavour a ritenere come non ancora inevitabile la cessione di Nizza e della Savoia. In particolare, la posizione del governo britannico poteva costituire un valido ausilio per la politica del conte, che venne tuttavia involontariamente danneggiato da un intoppo causato da una leggerezza commessa dal ministro d’Azeglio, che finì col rovinare tutto, consentendo così a Napoleone di accusare ingiustamente il governo sardo di aver agito in malafede e di liberarsi dalla morsa abilmente strettagli attorno da Cavour. Il governo francese era infatti maldisposto verso quello inglese per l’atteggiamento assunto da quest’ultimo nei suoi confronti, e che invece avrebbe desiderato avere alleato nella sua politica antipiemontese. Peraltro, sia Napoleone che Thouvenel non cessarono di sollecitare Cavour, vantando l’appoggio del governo britannico, per costringere il Piemonte non solo a rinunciare al progetto di annettersi Toscana ed Emilia, ma anche ad esaudire le richieste francesi sulle altre gravi questioni italiane dell’epoca, quali le relazioni con lo Stato pontificio, la cessione di Nizza e della Savoia e altre minori, per la cui soluzione, come è noto, si stava discutendo la possibilità di organizzare una conferenza internazionale. Ma Cavour, respingendo le sempre più insistenti pressioni diplomatiche per la convocazione di un congresso tra le varie potenze europee, telegrafò al d’Azeglio il 21 febbraio a Londra per invitarlo a informare il primo ministro Russell che, piuttosto che rimettere la questione italiana ad una conferenza internazionale, egli avrebbe chiesto di lasciar discutere il governo sardo con la sola Austria. La risposta di d’Azeglio, non trasmessa peraltro in cifra, era così concepita: «Palmerston è talmente di questo avviso che ieri, quando gli ho prospettato questa ipotesi come il castigo che ci hanno riservato, egli ha risposto esattamente quello che mi avete comunicato». Cavour informò quindi Nigra a Parigi il 21 febbraio su quanto emerso nel frattempo, scrivendogli: «Ciò mi convince del tutto ad andare avanti e a non subire l’ultimatum all’acqua di rose che Arese mi ha annunciato. Le notizie da Berlino e da Pietroburgo mi incoraggiano ad agire egualmente, perché la Prussia e la Russia non ci impediranno di procedere all’annessione, sebbene a tutela della loro dignità esse non vogliano rinunciare al principio di legittimità e del diritto divino, senza avere almeno la soddisfazione di partecipare a un congresso o a una conferenza».

L’ultimatum in questione, redatto come nota diplomatica, era già stato letto da Thouvenel all’Arese, che appunto il 21 febbraio ne aveva informato del contenuto Cavour, riassumendolo in questi termini: la Francia consentiva al Piemonte di annettersi senza alcuna restrizione i ducati di Parma e Piacenza, come pure le Legazioni pontificie, sotto forma però di un vicariato retto dal sovrano sabaudo in nome del papa, con l’obbligo di corrispondere un canone alla Santa Sede; la Toscana sarebbe diventata invece un regno separato sotto un principe di Casa Savoia (il Carignano o il piccolo duca di Genova). Arese preannunciò inoltre al Cavour il prossimo invio, da parte del governo francese, di una breve nota concernente Nizza e la Savoia, riguardante un trattato che avrebbe dovuto rimanere segreto. Lo stesso Arese comunicò al primo ministro sardo che Thouvenel gli aveva comunicato che tale nota non sarebbe stata trasmessa subito al governo piemontese per la generale instabilità politica che permaneva allora non soltanto in Francia, ma in tutta Europa. In realtà il vero motivo per cui Parigi non mostrava fretta era il desiderio di Napoleone di verificare l’esito delle trattative in corso con le varie cancellerie europee in modo da poter così agire con il governo sardo in base alla situazione che ne sarebbe emersa. In attesa di conoscere la risposta delle principali potenze, il ministro degli esteri francese assunse un atteggiamento più rigido nei rapporti con i rappresentanti piemontesi, accusando sostanzialmente il d’Azeglio di aver dato uno smacco alla Francia con il suo famoso dispaccio non cifrato e appoggiando persino la tesi di Persigny, che ipotizzava loschi maneggi tra il governo sardo e quello inglese.

I contatti diplomatici avviati dalla corte imperiale avevano frattanto dato esito positivo, fornendo a Napoleone la garanzia che Inghilterra, Prussia, Austria e Russia non avrebbero mosso un dito contro la Francia se egli avesse usato il pugno di ferro con il Piemonte. Del resto, in Francia, aumentava sempre più il fermento dell’opinione pubblica sulla questione della cessione delle due province, che fornì tra l’altro al governo imperiale il destro non solo per giustificare la guerra impopolare dell’anno precedente, ma anche per compensare una certa perdita di consensi da parte dell’esecutivo presso la componente cattolica del paese. La sempre maggior rilevanza assunta dalla questione all’interno, la reazione negativa del governo inglese, lo stesso atteggiamento altalenante del gabinetto sardo, determinato sia da comprensibili cautele verso popolazioni da sempre fedeli alla dinastia sabauda, sia da precauzioni dettate da motivi di politica internazionale, indussero l’esecutivo francese ad assumere una posizione più rigida nelle trattative. Convinto quindi di aver ormai spuntato le armi a Cavour, il 26 febbraio Napoleone gli trasmise, tramite Thouvenel, la nota diplomatica preannunciata al conte cinque giorni prima da Arese, in cui era aggiunta, nel quinto punto, la richiesta di cessione alla Francia di Nizza e della Savoia.

Di fronte alle condizioni poste dai francesi, Cavour decise di non arrendersi e il 29 febbraio, il giorno dopo aver preso ufficialmente atto di quanto comunicato dal governo transalpino, emise una nota in cui dichiarò che il regime che si sarebbe voluto applicare alle Legazioni non avrebbe potuto essere accettato dalle popolazioni in quanto un vicariato avrebbe necessariamente comportato l’ingerenza della Santa Sede nell’amministrazione interna dello Stato, determinando una probabile, fortissima, opposizione da parte della cittadinanza. Affermò inoltre che se la Toscana si fosse espressa nel previsto plebiscito per la conservazione della sua autonomia, attraverso la creazione di un regno separato, non soltanto il Piemonte non si sarebbe opposto alla realizzazione di questo desiderio, ma avrebbe contribuito a superare tutti gli ostacoli che una tale soluzione avrebbe potuto incontrare prevenendo gli inconvenienti che ne sarebbero potuti derivare; il governo sardo avrebbe inoltre agito allo stesso modo anche nei confronti della Romagna e dei ducati di Parma e Modena. Cavour tenne però a precisare che se, al contrario, queste province avessero manifestato ancora una volta in modo esplicito la loro ferma volontà di essere unite al Regno di Sardegna, non sarebbe stato certo il governo da lui presieduto ad opporsi a tale soluzione.

Il 1° marzo Napoleone, nel corso di un discorso tenuto davanti al Corpo legislativo, rese note in forma ufficiale le intenzioni del suo governo in merito alla politica francese nei confronti del Piemonte lungo l’arco alpino, rivendicando apertamente «per la sicurezza delle nostre frontiere» i versanti francesi delle montagne. Per la prima volta la questione della cessione di Nizza e della Savoia veniva presentata solennemente all’opinione pubblica francese ed europea, imponendo all’imperatore stesso di concludere positivamente le trattative per non compromettere la sua immagine a livello internazionale. Ormai per Cavour non rimaneva altra scelta che chiedere al governo imperiale che le votazioni per l’eventuale annessione alla Francia in Savoia e nella Contea di Nizza venissero tenute con il sistema del suffragio universale. Il 2 marzo formulò ufficialmente tale richiesta in una nota inviata a Nigra. Il giorno successivo, trasmettendo la nota a Nigra, Cavour confessava all’inviato sardo nella capitale francese di essere rimasto stupito dalla proposta dell’imperatore, anche se in quel momento ciò che più gli interessava era ormai solo «di combinare i mezzi per arrivare al voto». In Savoia, aggiungeva, «continuo a credere che il partito francese avrà la meglio», mentre «non è lo stesso nella contea di Nizza, a meno che non si escluda tutta la valle del Bevera e una parte del litorale». Il 1° marzo Farini e Ricasoli avevano intanto provveduto a far pubblicare in Emilia e in Toscana i decreti che indicevano per l’11 e il 12 marzo i plebisciti. Tutti i cittadini maschi, che avessero compiuto i ventun anni e godessero dei diritti civili, erano chiamati ad esprimersi su una tra queste due alternative: “Annessione alla monarchia costituzionale del Re Vittorio Emanuele II” oppure “Regno separato”. Sia in Emilia che in Toscana i governi provvisori si attivarono immeditamente ed energicamente per assicurare il pieno successo all’imminente plebiscito. A Bologna e in Romagna la Società Nazionale, ricostituitasi in modo abbastanza efficiente, fornì un valido contributo all’opera propagandistica. Del resto, dato anche il carattere dittatoriale dei governi, mancò una vera e propria opposizione organizzata, mentre, negli otto mesi successivi a Villafranca, il sentimento unitario e annessionista si era ulteriormente rafforzato. I risultati confermarono ampiamente le previsioni della vigilia, superando addirittura le speranze degli stessi liberali. In Emilia su 526.218 iscritti i votanti furono 427.512 (81,1%), con 426.006 voti a favore dell’annessione, 756 per il regno separato e 750 nulli. In Toscana, su 534.000 iscritti, i votanti furono 386.445 (73,3%), di cui 366.571 favorevoli all’annessione, 14.925 per il regno separato e 4.949 nulli. I risultati del plebiscito dell’Emilia furono presentati solennemente al re il 18 marzo, quelli della Toscana il 22. Le due regioni furono quindi dichiarate parte integrante dello Stato tramite due regi decreti. Farini fu nominato ministro dell’interno, Ricasoli governatore generale della Toscana, il principe Eugenio di Carignano luogotenente del re in Toscana. Questa avrebbe avuto provvisoriamente un’amministrazione separata, mentre le province emiliane sarebbero state riunite a quelle ereditarie della monarchia sabauda senza passare però attraverso alcun regime amministrativo transitorio.

Il 4 marzo Napoleone III inoltrò un telegramma a Vittorio Emanuele II per esporre al re di Sardegna il suo parere in merito alle annessioni in Italia centrale e la cessione di Nizza e della Savoia. Lo stesso giorno Thouvenel propose che nella nota segreta da scambiarsi tra i due governi per la cessione delle due province fosse inserita una dichiarazione che escludesse in modo esplicito le modalità di votazione. Nello stesso tempo il ministro degli esteri francese continuava a insistere con Nigra, che ne informò prontamente Cavour il 4 marzo, che se il governo sardo insisteva a pretendere l’annessione della Toscana e dell’Emilia, esso sarebbe andato incontro ad una vera e propria catastrofe, pari a quella subita dall’esercito piemontese a Novara nel 1849. Il governo francese, dal canto suo, consapevole dei rischi che avrebbe comportato un voto effettuato con il sistema del suffragio universale in Savoia e nel Nizzardo, cercò di opporsi con tutti i mezzi a questa eventualità, ma Cavour rimase fermo sulle sue posizioni. Negli stessi giorni, il discorso di Napoleone davanti al Corpo legislativo del 1° marzo aveva avuto larga eco anche in Savoia e a Nizza, dove erano aumentate le preoccupazioni di molti cittadini contrari alla cessione. D’altronde, il 7 marzo, Nigra confessò a Cavour come l’imperatore avesse mostrato «malumore, più apparente che reale, per l’annessione della Toscana; diffidenza verso il Piemonte sulla questione della Savoia e di Nizza», aggiungendo che avrebbe finito «per cedere sulla Toscana per poco che si veda la possibilità di avere la Savoia e Nizza». Nel frattempo l’imperatore trasmetteva un altro telegramma a Vittorio Emanuele per sollecitarlo a rompere gli indugi sulla questione della cessione, auspicando che la condotta del governo sardo potesse mantenersi «franca e leale». Il sovrano sabaudo, che intendeva evidentemente non sorgesse alcun equivoco sulla sua buona fede, così rispose a Napoleone a stretto giro di posta: «Le istruzioni che per ordine mio il sig. Cavour invierà al sig. Nigra risponderanno al dispaccio telegrafico di S.M. provandogli la mia perfetta lealtà».

Tale richiamo alla lealtà da parte di Napoleone era stato provocato da un’errata interpretazione di Cavour di un telegramma di Nigra, nel quale l’inviato sardo a Parigi gli comunicava che, dietro esplicita richiesta di Thouvenel, aveva modificato la frase finale del penultimo capoverso della nota ufficiale da lui inviata al governo francese il 2 marzo, sopprimendo le parole, evidentemente sgradite all’esecutivo imperiale, relative alla volontà di savoiardi e nizzardi «prononcée d’une manière légale et conformement aux prescriptions du Parlement». Cavour, che aveva travisato il passaggio del dispaccio cifrato recante tale modificazione, aveva dimenticato di omettere le parole “contestate” nel testo dello stesso telegramma poi trasmesso all’intendente di Chambéry, il quale rese pubblica la nota che risultò difforme dal testo concordato fra Thouvenel e Nigra. Questo incidente provocò l’irritazione di Napoleone, che accusò di slealtà il Cavour e cominciò a pensare che il governo sardo fosse soltanto alla ricerca di futili pretesti per evitare la cessione di Nizza e della Savoia alla Francia.

Frattanto, al termine delle lunghe e complesse trattative diplomatiche che avevano visto confrontarsi per vari mesi le due cancellerie, il 12 marzo a Torino, e due giorni dopo a Parigi, Vittorio Emanuele II e Napoleone III avevano firmato il trattato segreto sulla cessione di Nizza e della Savoia alla Francia. In base al primo articolo del trattato il re di Sardegna consentiva formalmente alla “riunione” della Savoia e del circondario di Nizza alla Francia, il cui governo si impegnava a renderla esecutiva a patto che le relative popolazioni l’avessero approvata. Il secondo stabiliva che il re sardo passava all’imperatore francese la zona neutralizzata della Savoia, corrispondente all’Alta Savoia, alle stesse condizioni in cui egli la deteneva; Napoleone assumeva pertanto tutti gli impegni, derivanti da quanto stabilito dal Congresso di Vienna, verso la Svizzera e le altre potenze firmatarie dell’atto conclusivo del Congresso. Il terzo e quarto articolo prevedevano infine la costituzione di commissioni miste per la delimitazione dei confini, la ripartizione del debito pubblico e degli altri oneri finanziari concernenti le due province cedute. Sul fronte invece delle modalità di votazione Cavour non intendeva recedere dal proposito di sottoporre preventivamente al Parlamento la formula «Volete essere riuniti alla Francia sì o no?». Il conte sarebbe stato quindi disposto a procedere prima alla votazione, e poi alla sua approvazione, da parte del Parlamento, anche se, come comunicò a Nigra il 12 marzo, egli non avrebbe potuto garantire a Thouvenel che la formula da questi avanzata alle Camere sarebbe stata adottata testualmente e senza alcuna modifica.

Nigra aveva frattanto proposto di convertire il trattato da segreto in pubblico con alcune lievi varianti in modo da evitare i prevedibili gravi inconvenienti che si sarebbero verificati in seguito al ritiro delle truppe francesi dalla Lombardia e l’occupazione da parte di quest’ultime della Savoia e del Nizzardo. La stipulazione pubblica del trattato avrebbe poi consentito di giungere ad un accordo tra le parti anche sulla questione delle modalità di voto. Intanto la Giunta municipale di Nizza aveva deciso di inviare a Torino una delegazione per recare a Vittorio Emanuele (che la ricevette il 22 marzo) una petizione pubblica, in cui, a nome di una parte della cittadinanza, chiedeva al sovrano sabaudo di non cedere la loro terra alla Francia, invitandolo, per evitare tale cessione, a neutralizzare la zona, pur di non consegnarla ai francesi. Il re non poté far altro che assicurare alla delegazione che gli abitanti di Nizza avrebbero potuto scegliere liberamente del loro destino attraverso un regolare plebiscito, sul quale non sarebbe stata esercitata alcuna pressione da chicchessia. Questo era infatti quanto Cavour era riuscito alla fine ad ottenere da Napoleone dopo una serie di estenuanti trattative diplomatiche. Il governo imperiale aveva infatti chiesto che le votazioni a Nizza e in Savoia si tenessero soltanto dopo che le relative popolazioni fossero state messe al corrente degli accordi stipulati in merito al destino dei loro territori e dopo che le autorità sarde avessero lasciato le due province. Una volta effettuata l’annessione, l’imperatore avrebbe invitato i cittadini del Nizzardo e della Savoia a votare con il suffragio universale. Tali accordi avrebbero dovuto essere sanciti in un trattato pubblico, dopo la cui firma le truppe francesi provenienti dalla Lombardia avrebbero occupato Nizza e Chambéry. Il governo transalpino era però particolarmente interessato alla rapida conclusione delle trattative, perché, come riferì Nigra a Cavour il 20 marzo, «non si vuole il voto. Infine si è persuasi che il Governo sardo faccia il possibile per frapporre ostacoli a queste annessioni, e soprattutto a quella di Nizza. Ogni giorno arrivano all’Imperatore accuse e lamentele, che lo indispongono contro il Governo e le autorità del Re».

Il 22 marzo giunse intanto a Torino il Benedetti, inviato appositamente da Thouvenel non soltanto per firmare il trattato pubblico, ma anche per accordarsi con Cavour sulle condizioni per il passaggio dei poteri e le modalità del voto. Al testo del trattato, firmato a Torino il 24 marzo da Cavour e dal ministro dell’interno Luigi Carlo Farini per il Regno di Sardegna, e dall’ambasciatore transalpino Charles Talleyrand-Périgord e da Benedetti per la Francia, confermante sostanzialmente quanto già stabilito negli accordi segreti dell’11-12 marzo, Cavour riuscì a convincere Benedetti ad aggiungere la clausola che prevedeva l’entrata in vigore dell’accordo solo dopo la ratifica da parte del Parlamento subalpino. Un memorandum segreto siglato lo stesso giorno del trattato portò ad una serie di ulteriori intese tra le parti. Desiderando infatti i francesi designare subito le persone che avrebbero dovuto sostituire i funzionari amministrativi nelle due province, le delegazioni trovarono un’intesa sui nomi dei nuovi governatori, intendenti e sindaci, tutti francesi o filofrancesi. Si stabilì inoltre che l’Avvocato generale fiscale sarebbe stato richiamato immediatamente a Torino, mentre i governatori interinali avrebbero potuto, sentite le deputazioni provinciali, sostituire i sindaci e i comandanti della Milizia nazionale; i reparti nizzardi richiamati sarebbero stati subito congedati e le truppe regolari avrebbero evacuato le due province, non appena il governo francese avesse stabilito che i suoi contingenti dovessero muoversi dal Moncenisio e da Ventimiglia. Dopo la pubblicazione del proclama con cui Vittorio Emanuele liberava dal giuramento di fedeltà alla corona nizzardi e savoiardi, i due governi si sarebbero infine accordati, nel più breve tempo possibile, sul giorno e le modalità di votazione. Nei giorni immediatamente successivi alla firma del trattato circolò anche la voce di una possibile annessione alla Francia di Ventimiglia, tanto da indurre gli amministratori locali della cittadina ligure, capeggiati dal deputato Giuseppe Biancheri, a chiederne ragione a Cavour, che il 25 aprile rassicurò infine il sindaco della città intemelia sulla assoluta incedibilità di Ventimiglia e del suo mandamento alla Francia.

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