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Al Direttore | 06 agosto 2011, 13:34

Sanremo: la storia della funivia dagli albori ad oggi, raccontata dal lettore Elio Amoretti

Sanremo: la storia della funivia dagli albori ad oggi, raccontata dal lettore Elio Amoretti

Nel 1928, l’allora podestà Pietro Agosti, per valorizzare ulteriormente la città, pensa alla costruzione di Sanremo Vetta, un villaggio turistico sulla cima più alta dei dintorni, collegato al mare da una funivia. Nonostante la tragica morte del primo cittadino nel 1930, il piano prosegue e nello stesso anno la CIF (Compagnia Italiana Funivie) presenta al Comune il progetto di una funivia in tre tronchi, molto avveniristico per l’epoca, che sarà la base per altri impianti negli Usa. L’accordo prevede che il Comune trasferisca alla CIF 6 milioni di lire come contributo spese, i terreni per la costruzione degli impianti e porti l’acqua corrente fino a Bignone (indispensabile per il villaggio); la CIF, contemporaneamente, si impegna a gestire la funivia per 25 anni ed a versare al Comune il 25% degli incassi lordi (che nel ’61 sarebbero stati 72 milioni). Sin da subito, purtroppo, nascono i primi contrasti tra il Comune e la CIF, con conseguenti ritardi ed aumento dei costi. Solo nel 1936 la funivia può essere inaugurata ed entra in servizio regolare il 1 Luglio 1937: permette di raggiungere la vetta in 40 minuti, con i suoi 7'645 metri è la più lunga del mondo, e gode anche di un altro primato, ossia quello di campata più lunga sospesa tra due piloni, nel tratto San Romolo – Bignone. È, perciò, ricordata nell’Enciclopedia Universale Treccani, tra i principali impianti in Italia, assieme alle funivie del Cervino e del Monte Bianco.

I contrasti tra il Comune e la CIF, però, continuano (e sarebbero durati per tutto il tempo della gestione privata), l’acquedotto a Bignone non è ancora arrivato ed il ristorante nella stazione di arrivo è costretto a funzionare senza l’acqua corrente. Nonostante queste avversità, il bilancio al 1940 è in positivo, se, ovviamente, non si contano le spese di costruzione. Nel 1940 l’Italia entra in guerra, bloccando la costruzione di Sanremo Vetta, che in pratica non era mai stata avviata; la funivia, invece, continua il suo regolare funzionamento. Nel 1943 un bombardamento alleato colpisce la stazione di Sanremo, devastandola: il servizio sul primo tronco viene, quindi sospeso. Nel 1944, durante un rastrellamento dei Nazisti e delle Brigate Nere, vengono requisiti i telefoni e fermati quattro operai, mentre un altro operaio e l’ing. Groff, il direttore degli impianti, si salvano miracolosamente calandosi nel vano contrappesi, profondo 18 metri.

Gli operai catturati sono fucilati a Santa Tecla e solo due cadaveri saranno ritrovati. Una cappella ed una lapide sul fianco della chiesa di San Romolo ricordano il loro sacrificio. Il 23 Aprile 1945 i Nazisti in fuga fanno saltare la strada che collega Coldirodi a San Romolo: anche il secondo tronco viene danneggiato. Terminata la guerra, la CIF inizia le riparazioni, con grandi sforzi da parte degli operai, ed il servizio riprende, seppur con qualche interruzione. Solo nel 1946 il Comune, con 14 anni di ritardo, riesce a portare l’acqua a Bignone e possono iniziare i lavori per Sanremo Vetta; ma anche questa volta le incomprensioni tra il Comune e la CIF, nonché lungaggini burocratiche, fanno definitivamente svanire il progetto. Nonostante questo, la funivia continua a funzionare senza troppi problemi e tra il 1946 ed il 1961 trasporta ben 1'033'428 passeggeri di cui 450'170 (il 43,6%) a Bignone Vetta. È un vero successo, considerando la portata oraria di 80 passeggeri all’ora per ciascun senso. Con la fine del 1961 scade il periodo di gestione della CIF e si avviano le procedure per il passaggio al Comune, che saranno particolarmente travagliate, segnate ancora una volta da reciproche incomprensioni e cavilli legali sfociati in procedimenti giudiziari. Di fatto, la CIF continua a gestire l’impianto per oltre un anno.

La situazione diventa estremamente caotica e la funivia rimane priva di una gestione responsabile, cosa che porta al dissesto dei conti. Ad aggravare la situazione, si aggiunge il Ministero dei Trasporti che chiede il rinnovamento degli impianti. La vicenda giunge rapidamente all’epilogo, quando il Comune chiede ed ottiene il fallimento della CIF. Alla fine del ’62, però, il bilancio è ancora in pareggio. Nel 1963 si apre, così, il problema: chi deve gestire l’impianto, il curatore fallimentare od il Comune? Il Tribunale respinge l’istanza del curatore ed il Comune, che tanto ha fatto per avere la gestione della funivia, ora sembra non sapere bene cosa farsene. Infatti, nuovamente si riapre il problema della gestione: la Stel, una cooperativa, o l’Azienda di Soggiorno e Turismo? Il Comune propende per questa opzione e dopo tanti problemi, finalmente un po’ di fortuna: il Ministero concede un nulla osta provvisorio all’esercizio degli impianti che sarà rinnovato fino agli Anni ’80.

La gestione comunale sarà particolarmente non oculata, anzi disastrosa. L’ing. Groff (da sempre il direttore) fa notare come il rinnovamento della funivia, chiesto dal Ministero, aumenti la portata oraria e dimezzi il tempo per salire in vetta (circa 20 minuti), così che anche il turista di passaggio possa usufruirne, e per abbattere i costi fa montare il nuovo materiale dagli stessi tecnici dell’impianto. Il Comune, invece di risistemare la cima di Bignone per i turisti, in modo da incrementare le presenze (panchine, segnalazione sentieri, ecc), la lascia in stato di abbandono quasi totale e, per diminuire ulteriormente le spese, non riesce a trovare altra soluzione che ridurre le corse giornaliere a 5, con l’ultima alle 17 nella stagione estiva! Nel 1965 la funivia festeggia 400'000 corse e 2 milioni di passeggeri trasportati in 28 anni di servizio senza il minimo incidente. La dissennata gestione prosegue senza particolari note sino al ’74; solo da segnalare nel ’66 il nuovo passaggio di gestione dall’Azienda di Soggiorno e Turismo agli uffici comunali. Nel 1974 cominciano i disastri: una comitiva di turisti francesi rimane bloccata a Bignone a causa dell’ultima corsa estiva, nonostante questa sia stata spostata alle 18; è una scelta poco felice in quanto troppo in anticipo. I poveretti riusciranno a tornare a Sanremo solo dopo 3 ore.

Fioccano le accuse: gli impianti sono ormai vecchi e lasciati all’usura del tempo. L’ing. Groff, di nuovo, fa notare come dal ’68 sia stato approvato il progetto di rinnovamento, ma si attuato solo in parte. Perché? E così i bilanci cominciano ad andare in rosso dal 1975. Nel 1977 il ministero chiede l’adeguamento alle nuove norme cui il Comune provvede solo in parte, quanto basta per prorogare l’esercizio fino al Settembre 1981. Nel 1978 la funivia, pur nelle misere condizioni in cui è ridotta, vede aumentare i passeggeri e quindi anche i ricavi, effettuando ben 125'796 corse, nonostante la chiusura anticipata ad ottobre per la sostituzione di 14 funi su 16. Nel 1979, benché il servizio sia stato chiuso per più di due mesi e limitato per altri quattro, i ricavi salgono ulteriormente (il 30% solo nel mese di Agosto) effettuando ben 131'180 corse. Nel 1980 i ricavi sono in linea con il biennio precedente. Nell’Ottobre dello stesso anno, il Ministero precisa che alcuni lavori, tra cui la sostituzione delle cabine, dei carrelli e dei circuiti di sicurezza, devono essere assolutamente effettuati. Nell’Aprile del 1981 vengono chiusi i due tratti fino a San Romolo per manutenzione straordinaria. Nel Settembre 1981 viene chiusa anche l’ultima tratta, sempre per manutenzione straordinaria, stato che, paradossalmente, permane tutt’oggi. È la fine. Va rilevato che per rinnovare gli impianti erano stati previsti circa 540 milioni di lire, di cui 240 già spesi nel triennio ‘79’-’80-’81; la somma residua poteva essere coperta da fondi regionali, statali e comunitari già disponibili, ma mai richiesti.  

Da quel momento ogni Amministrazione, in campagna elettorale, promette la riapertura, molti soldi sono stati spesi in vari progetti, ma non si è mai arrivati ad un risultato concreto. Con la fine della funivia, comincia anche la fine di san Romolo. Nel 1983, viene dato l’incarico all’ing. Cocchi di predisporre un piano per la riapertura, dietro compenso di 2 milioni di lire. Di quel progetto si è persa ogni traccia. Nel 1986, la Giunta Pippione incarica l’ing. Barra Caracciolo di predisporre un nuovo piano. Egli prospetta diverse soluzioni, tra cui la riapertura totale (15 miliardi di lire) e lo smantellamento totale (2 miliardi e 240 milioni di lire), che però farebbe decadere vincoli e servitù, che, per fortuna, vi sono ancora oggi, a trent’anni di distanza. Da notare che i 540 milioni previsti inizialmente per modernizzare l’impianto, in pochi anni sono saliti a 15 miliardi. A questo punto l’ing. Barra Caracciolo “fiuta l’affare” e comincia a collezionare incarichi (sempre per la funivia), ma non risulta li abbia mai assolti (questa strana situazione terminerà solo più avanti). Rimangono, tuttavia, le sue parcelle. Intanto la funivia è sempre chiusa per manutenzione straordinaria! Nel 1991 viene effettuata una corsa di prova tra San Romolo e Bignone e, nonostante 10 anni di chiusura, le macchine si avviano regolarmente, a prova della bontà degli impianti. Il 1992 sembra l’anno della svolta, poiché si mobilita il Fai, con un concorso di idee cui partecipa anche il Comune con 30 milioni di lire.

Disgraziatamente, l’instabilità politica del biennio ‘92-’94 manda tutto in soffitta. Nel 1993 l’amministrazione è commissariata. Nel 1994 la Giunta Oddo, che ovviamente in campagna elettorale aveva promesso il ripristino degli impianti, prende in esame il piano di smantellamento delle funi, ormai da sostituire, ed anche dei piloni. Questo fatto riapre la questione della funivia. Nello stesso periodo, Daniela Cassini, in Consiglio Comunale, porta alla luce il caso Barra Caracciolo: l’ingegnere, in otto anni, non ha prodotto alcunché dopo il primo studio, ma ha fatturato circa 70 milioni di lire; il problema è aggravato dall’accordo stipulato: il Comune non può obbligare Barra Caracciolo ad andarsene se egli non si dimette spontaneamente (e dato che detiene il monopolio sulla funivia, non ne ha alcuna intenzione)! Vane, però, risultano le altre interpellanze della minoranza: la Giunta è intenzionata a demolire i piloni con conseguente decadimento delle servitù. Il caso va avanti anche con grande impegno da parte dei giornali. Diventa chiaro che non si può, comunque, indire un nuovo concorso se Barra Caracciolo non se ne va. Il Secolo XIX indice addirittura una specie di referendum tra i lettori per la riapertura della funivia, cosa che ottiene un buon successo (è del 2-12-94 l’articolo “Funivia, un plebiscito”). A questo punto, per una volta, l’instabilità politica è d’aiuto: nell’Aprile 1995 la Giunta viene commissariata ed il Commissario, dott. Piccolo, accertata la mancanza di titoli, annulla qualsiasi incarico affidato a Barra Caracciolo. Il Commissario, tuttavia, deve portare avanti l’appalto precedentemente approvato di smontaggio delle funi e demolizione dei piloni. Seguono giorni di concitazione e confusione. Viene indetta una nuova raccolta di firme per salvare gli impianti, poi si tenta la strada del referendum. Il 2 Giugno si rischia la tragedia: una molotov viene lanciata contro l’organo della ditta che deve smantellare i piloni ed il fuoco avrebbe potuto spezzare un cavo di 20 tonnellate. Si decide, così, di togliere solo le funi del primo tratto; quelle del secondo e terzo tratto saranno tolte solo più avanti, alla loro data di scadenza.

Nel 1998 la Giunta Bottini si impegna attivamente e si avvia un nuovo progetto che sarebbe veramente utile per la città: la funivia ricostruita dal centro a Bignone, ma con una fermata in più, ossia intercettando lo svincolo dell’Aurelia – bis al Borgo (oggi finalmente ultimato, ma al tempo ancora sulla carta), con la creazione di un grande parcheggio in modo tale che pendolari e turisti lascino là vetture e pullman, e prendendo la funivia per il centro non intasino la città. Inoltre, il problema della “funivia che sfiora i palazzi”, viene risolto adottando sul primo tratto la soluzione dei vagoncini a grappolo (un po’ come sul Monte Bianco). La Giunta Bottini, però, cade. Il resto è storia recente.   A questo punto si può notare come il Comune di Varallo (VC) abbia rimesso in funzione nel 2003 la funivia per il Sacro Monte, chiusa più o meni negli stessi anni della nostra, adottando diverse soluzioni, tra cui il divieto d’accesso al Monte con auto o bus. Nella nostra città, a causa della crisi, si potrebbe intanto costruire il primo tratto, dato che è una ottima soluzione al congestionato centro urbano.

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