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Eventi | 18 febbraio 2010, 18:06

Sanremo: inaugurazione per la mostra City Play Space

Sanremo: inaugurazione per la mostra City Play Space

Sabato pomeriggio alle ore 17.30, presso la sala Luci e Ombre della Galleria Immeginecolore.com a Sanremo, in via Saccheri 33, si svolgerŕ l’inaugurazione della mostra collettiva d’arte contemporanea “City Play Space”, a cura di Beatrice Ferri.

 

"Si tratta di un progetto che vuole mostrare lavori di documentazione e ricerca approfonditi dall'intenzione di prendere coscienza del territorio come contenitore del nostro agire, realizzando in quale misura le nostre azioni modifichino lo spazio e quest’ultimo a sua volta influenzi la nostra vita. - spiegano gli organizzatori - Otto artisti che mostrano e dimostrano le visioni del presente e del futuro della cittŕ, disegnando storie tracciate su paesaggi urbani quotidiani che cambiano rapidamente nella forma, nella luce, nella cultura e soprattutto nella testa di chi le dipinge, le fotografa, le scolpisce. Queste aree urbane diventano spazi da conquistare per tessere la rete di una cittŕ contemporanea che tutto è salvo che un nonluogo: identitaria, relazionale, storica".

 

Elisa Bardi, classe 1987, sceglie di affrontare concretamente la sua personale ricerca artistica rivolta all’urbanizzazione imperante e impietosa, che sembra averla vinta sul bello comunemente inteso, scegliendo di realizzare alle sue cromometalgrafie direttamente su scaffali di alluminio e lastre di zinco, attingendo in maniera tangibile dal mondo al quale i suoi soggetti appartengono.

 

Parigi, come non l’avete mai vista. Fotografata da Franco Cappelli, la sua è una cittŕ che si erige su geometrie personali che, se da un lato si voltano a un ultimo sguardo al cubismo, dall’altro prendono forma solo dalle sensazioni istintive che lui riceve dal mondo attuale che s’inseriscono in una situazione piů che mai moderna, fatto di cromatismi brillanti e di metropoli positive.

 

Sembrano ispirati alle periferie abbandonate di certe metropoli europee i lavori di Luca del Sordo che mette da parte le sue origini genovesi per raccontare quei paesaggi fatti di metalli e condutture che non sono solo frutto di un’esperienza concreta ma nascono come risposta a un’esigenza interiore. Il risultato è un assoluto, perfetto ordine geometrico e cromatico.

 

Luce e ombra, per mostrare l’oscuro e limare il superfluo. Emanuele Baciocchi assembla due universi complementari, non solo in termini di chiaroscuro, ma attraverso un gioco di incastri fatto di relazioni che i soggetti, a poco a poco, instaurano tra loro. Ricordi, residui onirici, suggestioni estetiche e culturali si fondono in una duplice scenografia che, per sopravvivere, ha bisogno dell’altra metŕ.

 

Si erigono su fili colorati tesi su uno spazio da rivestire, i paesaggi di Fatmira (Tiziano Cappelletti). In assenza di compiutezza come un buco o una voragine da colmare, la sua arte è fatta di equilibri instabili, acute riflessioni e strappi emotivi che intrattengono una fitta relazione con le problematiche quotidiane della vita, costruite perň sulla tela che diventa spazio neutro da aggredire, tirare e torcere per ricercare un appiglio stabile.

 

Affascinata dall’insieme di colori che compongono il paesaggio freddo dei grattacieli, Laura Barbatelli è stimolata a rappresentare l’immagine attraverso pennellate decise che costruiscono le forme rigide degli edifici. La sua è una cittŕ poliedrica che come un puzzle prende forma a ogni macchia di colore, gettando un ponte fra tradizione cubista e modernitŕ tecnologica e accostando la cultura del vedutismo formale alla rappresentazione del villaggio contemporaneo.

 

Hanno un’anima romantica i lavori di Yara Buyda, ucraina di nascita, che con i suoi cieli leggeri ma brillanti di colore risultano essere la traduzione personale del messaggio della sua anima. Ecco allora le tele di una personale “action painting” prorompente, reinterpretata in chiave poetica che abbandona la rabbia fisica tipica del movimento per indagare al femminile l’intimitŕ della giovane civiltŕ moderna.

 

Ci mostrano una possibilitŕ infinita di approcci i frammenti di cittŕ che Rocco Romano ruba al paesaggio, ma anche un confronto tra l’azione frenetica dell’uomo e la staticitŕ dell’ambiente, presa come testimone unico d’istanti irripetibili. Per l’artista, la fotografia sembra essere il tramite adatto per dare un effetto plastico alle immagini che, formate da spazi, volumi e ombre prendono forma creando architetture e prospettive.

 

Silenzio, intimitŕ e abbandono: l’occhio che osserva le opere di Pietro di Lecce trova un po’ di pace dagli accecanti bagliori urbani. Senza mai essere giudice, evitando di porre lo sguardo al di sopra degli accadimenti, l’artista ferma gli attimi del vissuto quotidiano con forme nette e squarci frontali come una finestra sul mondo, indagando gli eventi che gli si porgono dinnanzi ma prendendo atto dello scorrere del tempo che trattiene con sé storie di persone e luoghi mai dimenticati.

Stefano Michero

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