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Attualità | 03 gennaio 2021, 07:42

Da Nizza all’alta Valle Argentina, la storia di chi lascia tutto per la montagna. Michel Pugliesi “A Craviti vicino a Triora ho trovato il paradiso”

Dopo oltre 20 anni Triora ha un residente a Craviti vicino a Borniga, a 1300 metri d'altitudine. Il racconto di Michel Pugliesi, "Qui sono felice perché non vengono tutti a vivere qui e preferiscono l'inferno delle città?”

Dopo oltre 20 anni Triora registra un residente a Craviti vicino a Borniga, frazione del paese delle streghe in alta Valle Argentina. Una scelta di vita che oggi appare in controtendenza rispetto allo spopolamento dei borghi e dell’entroterra. Questa è la storia di Michel Pugliesi, originario della Corsica e abitante di Nizza che andato in pensione ha deciso di cambiare tutto. Si è trasferito in quella che per diversi anni era la sua seconda casa, a Craviti, uno sparuto gruppo di edifici vicino a Borniga.

Non si tratta di una scelta a cuor leggero, perché stiamo parlando di una realtà a oltre 1300 metri d’altitudine dove l’acqua è arrivata soltanto questa estate. Michel Pugliesi è una delle tante persone che scelgono di abbandonare la città per vivere in una dimensione più a misura d’uomo, immersi nella natura, con un ritmo di vita più lento, con i limiti e le difficoltà che soltanto la montagna impone. 

Come ha scoperto Borniga e Craviti?

“Ho scoperto questo luogo per caso una decina di anni fa, l’ho visto e mi è sembrato il paradiso. Mi sono subito innamorato di questo minuscolo borgo di poche case, alcune delle quali diroccate. Ho scelto Craviti che si trova in posizione dominante di fronte a Borniga, ai piedi del Monte Saccarello, sotto lo sguardo benevolo del Redentore. ‘La perla dell'alta valle dell'Argentina’ come ama definirla il nostro amico Andrea Biondo. Craviti si trova in una posizione eccezionale con una visuale a 360 gradi, si vede il mare e con un po' di fortuna in autunno si può vedere anche la Corsica. Un luogo dove la vita è bella in tutte le stagioni”.


Che cosa l’ha affascinata di questo angolo poco conosciuto della valle Argentina?

“Sono di origine corsa e mio nonno è stato l'ultimo artigiano corso a fabbricare selle per cavalli. Sono nato in Africa, in Costa d'Avorio dove sono cresciuto fino all'età di 16 anni perché mio padre era nell'esercito. Questi possono essere i motivi profondi per cui questo piccolo pezzo di terra brigasca mi ha affascinato. Quando ho comprato casa a Craviti, venivo ogni volta che potevo: all’inizio nei fine settimana, poi per tutte le vacanze estive e invernali. Con gli anni sono tornato sempre più spesso e sempre più a lungo tanto da arrivare a viverci quasi a tempo pieno".


Una scelta difficile quella di vivere in alta montagna.

“Ricordo che fin dal primo giorno ho avuto questo progetto di vivere qui tutto l'anno ma non è stato facile realizzarlo. Ho sempre vissuto in città e ho imparato presto che è molto diverso vivere in montagna rispetto all’andarci per fare escursioni nei fine settimana. Per tutta la vita ho viaggiato sulle montagne del Mercantour e pensavo di conoscere bene cosa volesse dire viverci. Purtroppo ho capito subito di ignorare molte cose e in diverse occasioni mi sono trovato in grande difficoltà, una volta con un incendio e un'altra con una tempesta di neve”.


“Poi ci sono anche altri limiti altrettanto importanti. La strada non arriva a Craviti e bisogna lasciare la macchina e finire a piedi percorrendo una piccola mulattiera e tutto deve essere portato a spalla. D'inverno lo spazzaneve si fermava a Realdo e se c’era troppa neve bisognava fare 5 km a piedi per arrivare a casa. Anche la mia abitazione all’inizio non era adatta per viverci in modo permanente: la pioggia e la neve scendevano dal tetto e il primo inverno in cui volevo restare lì, non è stato possibile. Ho lavorato due estati intere per riparare il tetto. Le altre sfide erano il riscaldamento e l'acqua. Nel tempo sono arrivato a un certo livello di comfort e la vita è ora possibile in modo piacevole”. 

Lei è l’unica persona che vive qui tutto l’anno.

“Esatto, qui fino a quest'anno non c’era nessuno da Ognissanti a Pasqua e i primi vicini sono a Realdo. Il telefono non prende molto e quando c'è un blackout sei totalmente isolato. Ho installato un collegamento satellitare che mi permette di avere una linea telefonica, televisione e internet e quindi di non essere tagliato fuori dal mondo. Ci sono stati momenti in cui ho passato anche due o tre settimane senza vedere nessuno. Ti ritrovi in ​​uno stato di meditazione permanente, solo di fronte a te stesso e alla realtà. Ne esci inevitabilmente cresciuto”.


Si è integrato con questa realtà?

“All'inizio parlavo di Craviti come di un villaggio abbandonato ma in realtà ogni casa ha un proprietario che ha mantenuto un legame con questo luogo dove viene di tanto in tanto a fare un giro o per coltivare la terra. Spesso mi è capitato di ritrovare tracce di una vita passata: un chiodo da falegname, un ferro di cavallo, un pezzo di piatto di terracotta e tante altre cose. Guardando i muri, i sentieri lastricati in pietra, immagino le persone che vi abitavano e l'intensità dell'attività rurale che doveva esserci. Da dieci anni cerco di scalfire questo passato per conoscerlo meglio. Ho forgiato legami con persone che hanno conservato parte della storia di questi luoghi, tramandandola oralmente”.


Consiglierebbe ad altre persone di valutare un cambio così radicale, andando a vivere in montagna?

“Spesso le persone mi chiedono perché voglio vivere lì. Non ho la risposta a questa domanda. So solo che quando sono a Craviti sono felice e mi sento bene nella testa e nel corpo! Qui non ho mai sofferto di depressione o ansia. Questo mi ha portato a domandarmi: perché non vengono tutti a vivere qui e preferiscono l'inferno delle città?” 


Ha trovato una risposta?

“In città si viene assorbiti dal traffico, dalla frenesia, dalle costrizioni di ogni genere e alla fine si perde il controllo della propria vita. Qui sei libero di scegliere come vuoi condurre la tua giornata. Molte persone pensano che abbia fatto questa scelta per motivi di ecologia, vita più sana, ideologia o altro. Per me è semplice, qui sono felice mentre in città sono infelice. Certamente la vita è più sana, più ecologica, siamo più vicini alla natura ma per me contano soprattutto la tranquillità, la calma e la serenità che trovo qui. A volte mi rivolgo alla statua del Redentore e dico una preghiera che ho inventato: "Grazie mio Dio per avermi concesso il paradiso prima che io muoia!”. 


La storia di Michel Pugliesi e del suo amore per Craviti prosegue su Facebook (LINK) dove posta pensieri, scoperte e foto contribuendo a mantenere viva nel tempo l’identità di questo mondo diverso. “Mi stupisco quante volte la gente mi dice che ha avuto uno zio, un nonno, un amico che viveva qui o conosceva qualcuno che era di questi luoghi. Ho anche conosciuto persone che hanno vissuto qui la loro infanzia, i genitori erano contadini e questi bambini andavano a scuola fino a Realdo. Da quando vivo a Craviti ho imparato, scoperto, apprezzato molte cose e tante persone".

"C’è un aneddoto che mi piace ricordare. La prima volta che ho visto il nome del paese scritto è stato dal notaio: Cravetti. È così che ho chiamato il borgo fino a quando qualche anno dopo i realdesi ridendo mi dissero che in dialetto brigasco non si dice Cravetti con la ‘e’ ma Cravitti con la ‘i’. Quindi sono stato davvero molto orgoglioso quando ho creato la mia pagina Facebook con il nome di Cravitti, era una prova di inclusione. Diversi anni dopo una sera ricevetti un messaggio da una signora, che vive a Sanremo, diventata poi mia amica. Mi disse: “Cravitti non si scrive con due ’t’ ma con una sola ’t’” Mi ha stupito che una sanremese sapesse dell’esistenza di Craviti e conoscesse anche come doveva essere scritto".

"Se racconto la storia dell'ortografia di Craviti è perché illustra perfettamente il mio rapporto con questo luogo: all'inizio, comprando una casa, pensavo di essermi appropriato di un pezzo di terra, di aver adottato un luogo, di poterlo domare. Adesso mi rendo conto che è proprio il contrario: è stato Craviti a impossessarsi di me, a domarmi e adottarmi”.

Stefano Michero

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