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Al Direttore | 24 luglio 2016, 10:29

Le vicende della preistoria della Liguria occidentale, la quarta puntata dello storico Andrea Gandolfo

Un periodo che va dalla comparsa dell’Homo erectus, circa un milione di anni fa, al periodo antecedente la conquista romana dell’estremo Ponente ligure

Grotta del Vallonet

Grotta del Vallonet

Proseguendo nel racconto della storia del Ponente ligure, lo storico Andrea Gandolfo in questa quarta puntata narra le vicende della preistoria della Liguria occidentale, dalla comparsa dell’Homo erectus, circa un milione di anni fa, al periodo antecedente la conquista romana dell’estremo Ponente ligure.

Ecco dunque il suo racconto della preistoria nel Ponente ligure:

    La zona costiera compresa tra Nizza a ponente e Finale Ligure a levante conserva testimonianze antichissime di frequentazione da parte di uomini preistorici risalenti a circa un milione di anni fa. A pochi chilometri di distanza dal confine di Stato italo-francese, e precisamente nella Grotta del Vallonet a Roquebrune-Cap Martin, sono stati infatti ritrovati alcuni strumenti in pietra e ossi lavorati che risalgono a circa 950.000 anni fa e provano la frequentazione del sito da parte di gruppi di ominidi appartenenti alla specie dell’Homo erectus, mentre altri reperti, rinvenuti presso l’attuale porto di Nizza nel sito detto di Terra Amata, testimoniano la presenza nella zona di alcuni gruppi di ominidi specializzati nella caccia agli elefanti e collocabili in un periodo compreso tra 500.000 e 300.000 anni fa, durante la glaciazione del Mindel. Successivamente, nel corso dell’interglaciale Mindel-Riss, la frequentazione umana della costa ligure è ancor più documentata grazie al ritrovamento di reperti nella Grotta del Lazaret presso Nizza, nelle grotte dell’Osservatorio di Monaco e soprattutto nelle celebri caverne dei Balzi Rossi, situate a Grimaldi di Ventimiglia a poche centinaia di metri dal valico di frontiera di Ponte San Ludovico. Il sito dei Balzi Rossi, uno dei più importanti dell’intero bacino mediterraneo, è stato frequentato da gruppi di cacciatori paleolitici, la cui presenza è attestata per diverse centinaia di migliaia di anni nella serie di caverne affacciate sul mare che costituiscono il complesso preistorico, le quali ci hanno restituito un gran numero di strumenti litici e ossei, resti fossili di vari animali, parecchi oggetti ornamentali e artistici, oltre a numerose sepolture, in base alla cui analisi scientifica è stato possibile ricostruire uno dei periodi più oscuri della nostra preistoria. Le caverne risultano essere state abitate per la prima volta nel periodo del Paleolitico inferiore, all’inizio dell’interglaciazione Mindel-Riss in un’epoca databile a circa 240.000 anni fa, quando le grotte furono frequentate da cacciatori, della cui attività sono rimasti alcuni strumenti in calcare locale, resti ossei di animali, oltre ad un reperto osseo di una donna che già camminava in posizione eretta e apparteneva con ogni probabilità al tipo razziale detto anteneandertaliano, derivato dall’Homo erectus circa 300.000 anni fa e progenitore dell’Homo sapiens neanderthalensis, apparso circa 80.000 anni fa. Durante l’interglaciazione Riss-Würm la zona dei Balzi Rossi venne interessata da una fase di trasgressione del livello marino che riportò la costa a lambire le caverne, sulla cui spiaggia il mare depositava anche caratteristiche conchiglie, gli strombi, mentre lungo la fascia costiera pascolavano liberamente elefanti, ippopotami e rinoceronti davanti agli accampamenti costruiti dai cacciatori insieme a numerose capanne.

    Anche durante il Paleolitico medio i Balzi Rossi continuarono ad essere frequentati sia nelle caverne che nei ripari ai piedi della falesia, quando il clima divenne di carattere temperato e comparvero esemplari di bue primigenio, cervo e orso, dopodiché subentrò un clima più freddo che permise l’ambientamento di marmotte, stambecchi, renne e mammut. La frequentazione dell’uomo di Neandertal è documentata inoltre in altre località costiere della Liguria, quali la zona di Finale con la Caverna delle Fate e l’Arma delle Mánie, Toirano con le grotte del Colombo e di Santa Lucia, e soprattutto Bussana con la Grotta della Madonna dell’Arma e Sanremo con la stazione paleolitica di via San Francesco. Nel successivo periodo del Paleolitico superiore le caverne dei Balzi Rossi ricominciarono ad essere densamente abitate da cacciatori dell’Aurignaziano inferiore, che ci hanno lasciato numerosi reperti risalenti a circa 30.000 anni fa, oltre a diverse sepolture, mentre un altro scheletro preistorico è stato rinvenuto nella caverna delle Arene Candide a Finale Ligure. Ai Balzi Rossi sono state inoltre trovate una quindicina di piccole statuine in steatite raffiguranti personaggi femminili, oltre ad una serie di piccoli segni incisi sulla roccia e ad una figura incisa in stile naturalistico su una parete della caverna del Caviglione e raffigurante il profilo di un cavallo, che rappresenta il punto più orientale di diffusione dell’arte preistorica franco-cantabrica. Altre testimonianze del Paleolitico superiore sono state rinvenute nelle numerose caverne della Val Pennavaira, e in particolare nel sito denominato Arma dello Stefanin nei pressi dell’abitato di Alto, dove è stata scoperta una notevole quantità di materiali gravettiani e epigravettiani affini a quelli di altri siti preistorici della regione e costituiti da raschiatoi, grattatoi, lame, collane di conchiglie, denti forati e pendagli litici, mentre altri giacimenti frequentati da uomini paleolitici nell’area del Ponente sono rappresentati dalla Grotta del Pertusello in provincia di Imperia e dall’Arma di Nasino, situata nelle vicinanze dell’omonimo paese, in provincia di Savona.

    Nel corso del periodo Mesolitico, iniziato all’incirca 10.000 anni fa, i gruppi di uomini preistorici abitanti l’estrema Liguria occidentale perfezionarono ulteriormente le tecniche di caccia, alternandola alla pratica della raccolta di frutti selvatici e recandosi anche in luoghi a notevole altitudine, dove fissavano bivacchi stagionali. Le caratteristiche tipiche del Mesolitico sono pure riscontrabili nel Riparo Mochi dei Balzi Rossi, dove sono state rinvenute numerose tracce di presenza umana mesolitica, mentre presso Punta della Mortola è stato scoperto un bivacco all’aperto di cacciatori e pescatori risalente a circa 7000 anni fa, simile ad un altro situato a Pian del Re presso San Romolo vicino a zone in cui sono state rinvenute altre tracce di presenza mesolitica. Durante la successiva età neolitica, la costa ligure iniziò ad essere colonizzata da popolazioni provenienti dal Medio Oriente, che si impiantarono nell’attuale Riviera avviando la diffusione di pratiche agricole quali la coltivazione di frumento, orzo e leguminose, i cui frutti venivano conservati in appositi contenitori di ceramica riccamente decorati, insieme ai quali si produceva vasellame d’uso comune costituito da tazze, bicchieri e piatti, oltre a vari idoletti e altri oggetti. Le varie tipologie della ceramica contrassegnano inoltre con il loro nome i gruppi umani che le produssero nel corso del Neolitico, che viene così suddiviso nei periodi della ceramica impressa (5500-4100 circa a.C.), della ceramica incisa e graffita (4100-4000), della cultura dei vasi a bocca quadrata (4000-3500) e della ceramica della Lagozza (3500-2800). Gli uomini neolitici praticarono anche l’allevamento del bestiame avviando la pratica della transumanza estiva delle greggi sui pascoli di montagna, dove vennero stabiliti i primi insediamenti temporanei destinati ad essere occupati stagionalmente dai pastori, di cui sono rimaste tracce nelle cavernette dell’Arma della Gastéa e della Tana della Volpe nei pressi di Triora in alta Valle Argentina, dove sono stati rinvenuti frammenti di vasi a bocca quadrata. Il Neolitico fu inoltre caratterizzato dalla diffusione sempre più ampia di nuove credenze religiose quali il culto della natura simboleggiata dalla Dea Madre, ma anche di tutte quelle espressioni del creato quali alberi, acque, pietre e fenomeni celesti, ai quali gli uomini neolitici attribuivano il potere di regolare la vita del cosmo attraverso la loro essenza divina.

    Dopo l’età neolitica, a partire dal 2800 circa a.C., subentrò un nuovo periodo caratterizzato dalla lavorazione dei minerali metalliferi e dalla produzione di oggetti prima in rame e poi in bronzo e in ferro, che diedero il nome alle età dei Metalli, suddivise nel periodo Eneolitico (o età del Rame) dal 2800 al 1800 a.C., in età del Bronzo dal 1800 all’800 a.C. e infine, all’inizio del periodo storico, in quella del Ferro. Durante tali età il territorio imperiese non fu peraltro coinvolto nelle correnti di traffico legate alla ricerca dei filoni minerari, ma venne toccato anch’esso, al pari di altri centri della penisola, dalla diffusione dei vasi campaniformi portati da un popolo di viaggiatori e allevatori, giunti nella Liguria occidentale probabilmente dalla Francia meridionale. Testimonianze del commercio di oggetti campaniformi in Riviera sono presenti in alcune cavernette dell’alta Valle Argentina, e in particolare nel Riparo di Loreto nei pressi di Triora, nell’Arma della Grà di Marmo a Realdo, dove sono stati trovati diversi sepolcri ricchi di corredi costituiti da oggetti in rame, strumenti litici ed elementi decorativi tipici della corrente campaniforme, nella Tana Bertrand, ubicata sulle pendici del Monte Faudo sopra l’abitato di Badalucco, che conserva anch’essa materiale ricollegabile alla cultura campaniforme, rilevabile pure in alcuni siti della Val Pennavaira e nell’Arma di Nasino, in cui sono stati scoperti oggetti di foggia campaniforme, che testimoniano la particolare vivacità commerciale dell’estremo Ponente, dove nell’età del Bronzo i rilievi delle zone più interne cominciarono ad essere popolati da numerose tribù di cacciatori, agricoltori e pastori. In questa zona era inoltre particolarmente diffusa la pratica della sepoltura in piccole cavità naturali e pozzi utilizzati anche per uso funerario collettivo, mentre la vita delle comunità si era spostata nei villaggi, dove vigeva un’economia pastorale integrata da modeste attività venatorie e agricole, unite alla pratica della pesca lungo la costa. Le più significative testimonianze di questo periodo sono costituite dalle cavernette sepolcrali presenti soprattutto nella zona di Triora, e in particolare nella Tana della Volpe, che ha restituito i resti di quattro inumazioni con abbondante corredo funebre, nella Tana di Borniga, nel Buco del Diavolo, dove, oltre a vari resti ossei, sono state rinvenute otto armille in bronzo facenti parte di un ricchissimo corredo funerario dell’età del Bronzo finale, a cui appartengono pure altri esemplari scoperti in località Ugello sempre in Valle Argentina, sul Monte Bignone di Sanremo, nell’Arma della Gastèa e nella Grotta del Pertuso a Goina in territorio triorese. Siti preistorici tipici dell’età del Bronzo sono inoltre quelli della Tana della Giacheria in Val Nervia, della Caverna del Tuvetto e della Tana di Tenarda, situata nei pressi dell’omonima diga, dove è custodita un’inumazione corredata da una collana di conchiglie, mentre l’Arma del Cuppà in Val Pennavaira presenta resti umani, focolari, frammenti di ceramica e reperti ossei, la Grotta del Pertusello resti di un grande vaso risalente alla metà dell’VIII secolo a.C., e infine la Grotta Cornarèa in Valle Arroscia, che venne occupata da una comunità di pastori, che vi costruirono davanti una rudimentale capanna, i cui resti, insieme a quelli di numerosi oggetti in ceramica e altri materiali, fanno datare presumibilmente il complesso a circa 1000-900 anni fa, proprio nello stesso arco di tempo in cui si andava affermando nell’Italia centrale la civiltà protovillanoviana e il rito della cremazione dei defunti stava gradualmente subentrando a quello dell’inumazione.

    Altre testimonianze dell’epoca intermedia tra l’età del Bronzo e quella del Ferro sono costituite dalla sepoltura del Monte Grange presso Castellaro, dove sono conservati i resti di un individuo incinerato accanto a tredici vasi tipici della cultura dei Campi di Urne ma provenienti dalla Francia meridionale, e da una tomba ad incinerazione, rinvenuta in località Piano d’Isola vicino a Pornassio in Valle Arroscia e risalente alla seconda età del Ferro, la quale denota una profonda influenza sugli abitanti del luogo da parte dell’evoluta cultura lombarda di Golasecca. Un altro importante riscontro sulla consistenza e diffusione della cultura delle età dei Metalli nella nostra zona è inoltre fornito dalle circa centomila incisioni rupestri preistoriche del Monte Bego, una vasta area montuosa un tempo facente parte del Piemonte e poi divenuta, a partire dal 1947, territorio francese. Queste antichissime testimonianze della vita quotidiana e della fede di generazioni di pastori della zona ponentina, ma anche del Cuneese e del Nizzardo, rappresentano un vasto patrimonio che ci permette di ricostruire, grazie al confronto con i reperti venuti alla luce negli scavi, la tipologia, la provenienza e la cronologia delle figure disegnate sulle pareti rocciose della montagna, il cui significato più pregnante è tuttavia quello spirituale, che ci ha trasmesso il messaggio più completo e organico delle antiche popolazioni liguri del Ponente. Nel corso dell’età del Ferro le comunità dell’estrema Liguria occidentale iniziarono a darsi una stabile organizzazione territoriale mirata soprattutto alla difesa della zona costiera da attacchi esterni, che si concretizzò attraverso la costruzione di fortificazioni situate alla sommità di colline e monti e costituite da muraglioni, torrette e recinti di grossi blocchi di pietra, che furono denominate castellari, la cui forma più comune era quella circolare o ellittica, protetta da una tripla cinta muraria. Altri castellari potevano assumere forma quadrangolare o pentagonale ed erano spesso preceduti da terrapieni e fossati, mentre altri erano costituiti da semplici muraglioni per consentirvi il ricovero del bestiame ed essere utilizzati come una sorta di collegamento con le fortificazioni più munite dell’interno, che potevano essere raggiunte dalla popolazioni e dalle greggi in caso di pericolo. I primi castellari ubicati nel territorio dell’attuale provincia di Imperia sono stati costruiti intorno al VI-V secolo a.C. e furono abitati senza soluzione di continuità fino al III secolo d.C., quando la sicurezza politica e sociale della piena età imperiale permise agli antichi abitanti dell’estremo Ponente di trasferirsi stabilmente nei villaggi. Il più importante sistema di castellari della zona è quello che corre lungo la dorsale che separa le valli Roia e Nervia, dalla Colla Sgarba sopra Ventimiglia al Monte Alto, sopra Pigna, dove gli Intemeli costruirono massicce fortificazioni per fronteggiare adeguatamente il pericolo di invasioni nemiche, edificandovi in particolare l’imponente castellaro di Cima d’Aurin, al cui interno sono stati rinvenuti resti di un villaggio abitato probabilmente in permanenza, al quale si raccordavano altri castellari che formavano una solida barriera sul mare e saldavano le fortificazioni di frontiera dell’area intemelia a quelle dei monti di Sanremo.

   Dopo i castellari di Colla Sgarba, Monte Santa Croce, Monte Bellavista e Cima Merello sulle alture di Bordighera, si ergevano quelli dell’area matuziana, rappresentati dalla fortificazione sul Monte Mucchio di Scaglie sopra Capo Nero, da quella costruita sul Monte Caggio, quella su Monte Bignone, la più elevata della regione, in prossimità della quale è stato rinvenuta una grande necropoli a tumuli in località Pian del Re, e infine da quella di Monte Colma lungo la dorsale tra Verezzo e Ceriana, che era difesa da una triplice cinta muraria e venne frequentata presumibilmente dal V secolo a.C. al III d.C. Altri castellari sono sono stati individuati sulla dorsale del Monte Merlo in Valle Armea, a Campomarzio presso Badalucco in Valle Argentina, sulla Rocca di Drego nei pressi di Agaggio, nelle valli di Dolcedo e Chiusanico e sul Capo Cervo nelle vicinanze del Monte Castellaretto. La parte orientale della provincia, soprattutto nella zona del Monte Faudo e del Monte Grande, conserva inoltre i resti di numerose caselle, delle unità abitative ad uso pastorale dalle forme tipiche dell’area del bacino mediterraneo e costruite secondo una tecnica antichissima, che servivano essenzialmente come rifugio temporaneo durante il periodo della transumanza, presentando singolari e misteriose affinità con altre costruzioni pastorali dell’epoca situate in zone anche molto lontane, come i trulli in Puglia e le casite in Istria. Dopo l’approdo presso le foci del Rodano di coloni focesi, che vi fondarono la città di Marsiglia intorno al 600 a.C., i Liguri si accordarono stabilmente con i Greci, che si stabilirono sulla fascia costiera, lasciando alla popolazione indigena il controllo delle zone più interne. All’inizio del IV secolo a.C. si verificò una prima massiccia invasione del territorio ligure da parte di popolazioni celtiche, che causarono lo spostamento ad est delle basi commerciali greche, mentre l’estrema Liguria occidentale pare non essere stata interessata dalle invasioni del nuovo popolo, che in altre zone della regione diede invece origine ad una civiltà celto-ligure, confermata dall’introduzione del culto al dio Belenus, al quale ogni anno veniva dedicata la festa del fuoco per la purificazione del bestiame. La seconda ondata celtica, esauritasi verso il 250 a.C., era stata quindi bloccata dalla barriera costituita dalle Alpi Marittime e dalla simultanea chiusura delle vie di comunicazione agli invasori, che non riuscirono ad infiltrarsi nel munitissimo sistema dei castellari, i quali si stavano proprio allora trasformando in oppida, cioè centri abitati permanenti in cui avevano sede i capi politici e religiosi delle comunità dei Liguri del Ponente, che il pericolo dell’invasione celtica e l’espansione commerciale dei Greci indussero probabilmente in questo periodo a creare una comune difesa militare del territorio e forse anche una primitiva forma di unione politica, che sarebbe stata comunque vanificata dall’imminente conquista romana della Liguria.

Dott. Andrea Gandolfo - Sanremo

Redazione

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