Mi è difficile figurare un’azione di terroristi su una delle nostre spiagge, che so, alla marina di Porto Maurizio. Un manipolo di fanatici incappucciati mitraglia bagnanti inermi in pausa pranzo. Ma non si sa mai. Lasciamo correre l’immaginazione obnubilata dalla paura. In fondo, la vicinissima Francia è già una delle zone in Europa considerate più a rischio di attentati, non soltanto a Parigi ma anche a Nizza e dintorni. Allora dovremmo valutare seriamente se rinunciare alla gita fuori porta in Costa Azzurra? Alla spesa multi etnica al Carrefour di Nice Lingostière e al pieno di gasolio super scontato? In altre parole: alle nostre abitudini come liberi cittadini e turisti?
C’è già una frontiera chiusa a Ventimiglia, quella dei migranti respinti. La nuova scia di terrorismo internazionale di questi giorni rimette ancora di più in gioco, facendole a pezzi, le nostre sensazioni comunemente associate al viaggio (qualunque esso sia). Sicurezza e tranquillità si assottigliano, fagocitate dal timore di destarci sotto l’ombrellone mentre un pazzo ci sta sparando. O sulla metropolitana, in treno, in uno stadio, un centro commerciale, una piazza qualunque. I terroristi del Califfato riprendono di mira la Tunisia del turismo. Dopo la strage al museo del Bardo e il conseguente abbandono delle crociere, è il turno del massacro sul litorale di Sousse, nel golfo di Hammamet. Così la Tunisia ha ancora più paura: di crollare sotto il peso della violenza dell’Isis, vedendo frantumarsi la sua fiorente economia turistica. Il Governo ha già fatto sapere che rafforzerà la vigilanza con poliziotti a difesa di resort e alberghi. La risposta più immediata e comprensibile dei vacanzieri, però, è la fuga.
Il problema, a questo punto, è che non si può sempre fuggire. Dovremmo restare chiusi nei nostri cantucci e provare (impossibile!) a lasciare il mondo fuori. O allenarci a combattere i demoni che possono fuoriuscire all’improvviso, senza dimenticare che il terrore può avere un volto che non c’entra minimamente con la jihad. Non è chiaro perché Yassin Salhi abbia tentato di far esplodere quella fabbrica di gas in periferia di Lione, dopo aver conficcato la testa mozzata del suo capo su una cancellata. È un atto di guerra santa, o un gesto folle, o chissà? Secondo il premier francese Manuel Valls, la domanda non è se succederà un altro attentato, ma quando. Bisogna reagire, questo è certo, ma la reazione più sensata, probabilmente, deve fare appello alla nostra quotidianità. Accettare sì più controlli ma, al contempo, continuare a comportarci come se nulla stesse accadendo.














