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Eventi | 17 ottobre 2017, 12:21

Ventimiglia: Repubblica ligure, ovvero i regimi invecchiano, tramontano e muoiono

Riassunto del Prof. Paolo Bernardini della conferenza al Forte dell’Annunziata: "Ringrazio qui il Prof. Carlo Iachino, consigliere comunale intemelio, per il graditissimo invito, ed il numeroso pubblico per le intelligenti domande che mi ha posto, alcune aldilà purtroppo dei miei ambiti di competenza".

Ventimiglia: Repubblica ligure, ovvero i regimi invecchiano, tramontano e muoiono

Vi sono momenti della Storia in cui si avverte, in cui ogni fibra della società avverte la necessità di un cambiamento. Questo, ad esempio.

Parlo oggi in una Ventimiglia letteralmente assediata da migranti, con una stazione ferroviaria ove si eleva un muro bianco in corrispondenza del binario ove transitano i treni per la Francia, su cui disordinatamente si gettano migranti in cerca di un futuro migliore. La città bassa, presso la fiume del Roia – il distretto del Roia fu il primo distretto della disgraziata repubblica ligure in questi luoghi, ove peraltro per prima la rivolta del 1797 scoppiò – sembra appannaggio dei migranti, compreso il piccolo parco voluto da Hanbury, lo stesso che creò, poco distante, la magnifica villa. Lungo il fiume vi sono le baraccopoli di questi disgraziati, ogni tanto qualcuno misteriosamente annega nelle acque di questo bel fiume che nasce lontano, in Piemonte; qualcuno ogni tanto misteriosamente annega in mare; il fiume è lercio delle loro deiezioni e dei loro rifiuti, e sta compromettendo anche le coste ove sfocia. A vederli dalla città alta passeggiare sulle spiagge (bellissime) a gruppi disordinati, questi migranti paiono le comparse di un film sui morti viventi. WWZ. Ma non siamo in un film e i cittadini di Ventimiglia, esasperati, lo sanno bene. Il degrado lo vivono sulla pelle giorno per giorno.

I regimi invecchiano, e tramontano. E muoiono. Fu così che dopo un millennio di vita, inframmezzato da dominazioni straniere, morì la Superba. Morì ufficialmente, per non nascere mai più, il 14 giugno 1797. Per due anni visse un vero e proprio “puppet state”, uno stato fantoccio nelle mani della Francia, la Repubblica Ligure, che poi dopo la parentesi del 1800 – con gran feste dei conservatori o reazionari, spesso giustificate – visse un prolungamento di vita larvale fino al 1805, quando Napoleone, stufo di fare il burattinaio di fantocci rancorosi e indolenti, la sciolse, per inglobarla nel suo vasto impero.

Non furono pagine gloriose, non fu una fine bella, a dire il vero, per un’entità che comunque viveva in grande stabilità costituzionale almeno dal 1528, dalla riforma di Andrea Doria, il grande ammiraglio e uomo politico la cui statua fu notoriamente decapitata dai giacobini nel maggio-giugno 1797. Distrussero tantissime icone del passato, come è vero che la storia si ripete.

Come titola il libro del maggior studioso del Settecento genovese, Carlo Bitossi, “la repubblica è vecchia”. Anche il libro lo è, ha venti anni almeno, ma resta tuttora validissima guida per capire il dramma di una oligarchia sempre più chiusa in se stessa, non disposta per nulla a cambiare, a modernizzarsi, ad aprirsi sulla strada delle riforme. Ma la repubblica giacobina che seguì, era propria l’unica soluzione possibile. Chissà. Ma è quello che ci fu.

Così la repubblica, senza troppo clamore, senza troppi

spargimenti di sangue, muore, e dalle sue ceneri nasce il fantoccio giacobino. Quel che la distingue dagli altri regimi satelliti di Francia, è il fatto che “repubblica” era, e “repubblica” rimane, da “oligarchica” passa a “democratica”, con tutta la rettorica della rigenerazione, certo, alberi della libertà e furto dei beni ecclesiastici, cortei mezzo pagani mezzo cristiani, e agitatori mesti e ignoranti che assurgono a grandi pensatori (uno, interessante, ma vuoto, c’era, in Liguria e proprio ad Oneglia, il Buonarroti).

Era stata retta da leggi di diritto pubblico concresciuto saggiamente nel tempo, e naturalmente le viene imposta una costituzione ricalcata su quella francese del 1795, o anno III, a sua volta presa in gran parte da quella dell’anno primo. Sciaguratamente, si parla di “repubblica una e indivisibile”, all’art. 1, mentre l’articolo 7 è una specie di omaggio alla Francia, che in pratica vuol dire: “Governate voi…”. La costituzione è un pasticcio, di difficile applicazione, articoli come il 281, che abolisce il maggiorasco, sono veri e propri colpi di grazia per una società già bella e morta, molti altri si contraddicono o non ci capisce letteralmente cosa vogliono dire e come siano applicabili al contesto della Liguria, uno staterello con meno di 600.000 abitanti, come la sola città di Genova oggi.

E’ una repubblica dunque che si trasforma. In peggio. Ma non c’era altro da fare. I veneziani saranno molto più incapaci, la loro municipalità, coeva a quella ligure, durerà solo cinque mesi, fino a Campoformio. Come ogni stato giacobino, come l’Italia di oggi, si moltiplicano le tasse, viene re-introdotta la famigerata “tassa sulle finestre”, e molti per evaderla murano le finestre delle case, che rimangono murate tuttora, e si inventano tasse nuove e mostruose.

E’ una repubblica, poi, di delazioni, epurazioni, malversazioni, delitti politici, guerre mal combinate, rivolte, insorgenze, stragi (ma compiute dai francesi, ai liguri faceva abbastanza ribrezzo versare il sangue dei propri connazionali). Rispetto a quegli stati che repubbliche prima non erano, ovvero la Cisalpina, la repubblica partenopea e quella romana, le tragedie sono minori, perché appunto la transizione è sì violenta, ma dal modello repubblicano non si fugge.

Quel che mi colpisce, rileggendo gli storici che se ne sono occupati – Antonino Ronco, Giovanni Assereto, e per Ventimiglia la brava Marisa De Vincenti Amalberti, scomparsa nel 2014 (che pubblicò nel 1996 un libretto introvabile sul distretto del Roia [“Ventimiglia capoluogo del distretto del Roia 1797-1798, Edizioni Alzani Pinerolo], molto interessante perché mostra bene come anche qui, non solo nel Levante, vi fossero immensi malcontenti, nella popolazione, nei nobili, nel clero, nei sudditi comuni, nei confronti del nuovo regime), è l’attenzione per il patriziato; in fondo sono i patrizi che divenuti cittadini guidano la nuova repubblica, eterodiretti certo da Napoleone, ma occorre dire, spesso, con grande dignità.

Il fatto che un doge, Brignole, sia anche il primo presidente della nuova repubblica, la dice lunga sulla continuità politica, in un contesto istituzionale del tutto mutato, e “moderno”. Molti hanno criticato questa cosa, e visto in un patrizio di antichissima famiglia un traditore delle proprie origini e della propria terra. Credo piuttosto che il patriziato ligure avesse (almeno, parte di esso) un altissimo senso delle istituzioni, e di responsabilità.

La continuità di uomini nello stravolgimento generale delle realtà e dei corpi istituzionali, può avere un valore positivo. Quel che conta è la repubblica, e il benessere della nazione. Le istituzioni possono anche mutare, e mutare del tutto.

Cosa succederà con la Catalogna oggi? Come – se ciò avverrà davvero – si passerà da un regime all’altro, chi gestirà il cambiamento, chi il governo provvisorio, chi il futuro governo definitivo? E se il Veneto diventasse indipendente, non si porrebbero gli stessi problemi? Sono problemi da rappresentarsi, forse, prima che il cambio politico avvenga. In realtà, spesso le rivoluzioni sono improvvise, e forse nessuna pianificazione era stata fatta per la Liguria e Genova nei primi mesi del 1797, o nella seconda metà del 1796, quando Napoleone era già in Italia.

Quando nel 1814 Luigi Corvetto pose il

problema della restaurazione della repubblica di Genova, purtroppo a Vienna non gli diedero retta. Il Regno di Sardegna era presenza assai più imponente. E interessata ad un (grande) sbocco al mare. Ma almeno – al contrario di Venezia, data per morta – il tentativo fu compiuto. I genovesi mal tollerarono i Savoia almeno fino al 1833, data dell’ultima grande rivolta contro di loro. Poi piano piano li accettarono, di malavoglia.

Questo splendido forte ove ora parlo, sede di un bellissimo museo archeologico, venne costruito dai Savoia ai tempi in cui il giovane Cavour frequentava la Liguria, innamorato della Nina Giustiniani, che poi, lasciata dal conte, si tolse la vita. Molti liguri speravano che Napoleone avesse portato loro la libertà, ma molti capirono subito che la libertà non è un regalo, se la si conquista da soli, in tutto e per tutto soli, si è veramente liberi.

Il mondo non si ferma, la storia ci presenta un Kurdistan ad oggi, 9 ottobre, in status incerto, una Catalogna dove il 10 ottobre forse verrà dichiarata l’indipendenza.

Un’Italia preda di un governo impresentabile e mai eletto, vergognosamente. Speriamo che la Catalogna dia una bella spinta ai popoli anche qui. Intanto Ventimiglia è sotto assedio.

Città tradizionalmente di migrazioni illegali, vede questa sua caratteristica esaltata in modo orrendo, ora. Ho sentito intemeli augurarsi una bella piena del Roia, che porti via le baracche ove vivono centinaia di migranti dal Centro dell’Africa, e chissà da dove. La tensione è percepibile nelle strade del centro. Le cose non vanno bene. Non andavano bene neppure nel maggio del 1797. La caparbia volontà di moltissimi genovesi e liguri di conservare la propria indipendenza portò ad un regime abortivo, ma non privo di conati verso una vera libertà, che i giacobini non potevano certo assicurare, e che durò 8 anni (poco ma non pochissimo rispetto alla repubblica romana e partenopea, ad esempio).

Dopo, la libertà fu però perduta, e per sempre.

Dal 1805 ad oggi, Genova ha fatto parte di dominazioni straniere. E ora né Genova, né la Liguria vivono in grande prosperità.

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