New Imperia Times

L’ho letto dalla prima all’ultima riga, oggi in pausa pranzo alla spiaggia, l’articolo del New York Times che descrive la vacanza trascorsa da una famiglia americana in Riviera, tra Ventimiglia e Finale Ligure, una settimana di mare, ottima cucina, storia e cultura che è l’antitesi dei nostri quotidiani mugugni.

Sono rimasto piacevolmente sorpreso dalla schiettezza con cui l’autore, Eric Lipton, racconta le esperienze vissute in località sconosciute ai turisti che provengono dagli Stati Uniti, con l’eccezione di Sanremo. Imperia, chi l’aveva mai sentita nominare oltreoceano? Lo stesso vale per Borgomaro, dipinto come un piccolo villaggio medievale da cartolina, dove non c’è nulla da fare, se non respirare l’aria pura di montagna o apprezzare la quiete delle strade semideserte. Chi avrebbe immaginato che perfino Ranzo, che molti rivieraschi sono soliti relegare nella categoria dei paesi tristi dell’entroterra, avrebbe meritato una menzione enogastronomica, anche se è un posto “così tranquillo da sembrare abbandonato”, si legge nel reportage.

Il centro storico di Ventimiglia, le spiagge di Finale, il porto d’Imperia: le parole del giornalista americano non trasmettono solo la bellezza dei luoghi visitati, ma anche la loro imperfezione, che diventa un punto di forza, un valore aggiunto. Quel fascino leggermente dirupato, diremmo noi. L’articolo è una lode del buon vivere italiano, di un mondo lento, familiare, lontano dalla folla, esente dal lusso che contraddistingue la Costa Azzurra, quindi un pochino ruspante, o spartano.

C’è un idillio appena forzato e ingenuo in certe descrizioni, quasi inevitabile nei resoconti di viaggio, soprattutto se a scrivere è una persona che sperimenta per la prima volta una stile di vita completamente diverso, che affascina e incuriosisce. È una prospettiva da valutare con attenzione, nelle sempiterne discussioni su quale tipo di turismo promuovere in Liguria e come.