Nell’ambito della storia dei comuni imperiesi, il nostro lettore Andrea Gandolfo ci ha scritto delle vicende del paese di Isolabona in Val Nervia, tratte, come sempre, dal suo libro sulla Provincia di Imperia edito nel 2005:
Isolabona è un tipico borgo di fondovalle, sito a 106 metri sul livello del mare, sviluppato con pianta regolare nello spazio racchiuso su tre lati, formando appunto un’isola, dall’ansa formata dal rio Merdanzo, subito prima che quest’ultimo confluisca nel torrente Nervia, e difeso a settentrione dal castello dei Doria, posto in alto su una scarpata. Il luogo rivestiva anticamente una funzione strategica di controllo delle varie strade che conducevano ad Apricale a levante, al Monte Morgi e Rocchetta Nervina a ponente e a Pigna e Dolceacqua nella Val Nervia. Il ponte tardomedievale del Molino immette nella strada principale del paese, orientata in direzione ovest-est, raggiunta da un tessuto viario regolare con isolati quasi ortogonali e inizialmente aperta in una piazzetta, dove è ubicata in un angolo una caratteristica fontana in pietra. La strada termina quindi in una piazza più grande, sulla quale prospettano vari edifici originari della fine del XV secolo ma rifatti in forme barocche nel Settecento e poi rimaneggiati nel corso dell’Ottocento. L’ingresso principale al borgo antico è situato oltre la strada che conduce ad Apricale, raggiungibile attraverso una rampa a gradoni e preceduto da uno slargo, dove un tempo un ponte levatoio regolava l’accesso all’antico castello dei Doria. Il tessuto urbano attuale, forse erede di un abitato altomedievale nell’area della chiesetta romanica di Santa Maria ubicata presso il cimitero, è strettamente legato alla localizzazione strategica del castello sul promontorio che separa la valle del Nervia da quella del Merdanzo. Il toponimo, attestato per la prima volta in un documento del 1287 come Insula Bona, poi sempre più frequentemente Insula per antonomasia, è formato dal termine latino insula, che ha acquisito il significato specifico di “territorio compreso tra due corsi d’acqua” (in questo caso il rio Merdanzo e il torrente Nervia), e dall’appellativo bona, dal probabile significato di terra “fertile”, mentre - secondo un’altra ipotesi, di natura peraltro piuttosto fantasiosa - il suffisso bona sarebbe riferito alla semplicità e cordialità della popolazione isolese. Al di fuori dei richiami legati alla felicità e alla beatitudine, il toponimo riflette tuttavia in un substrato linguistico la realtà di carattere extralinguistico che ne implica il significato. L’originario nucleo abitativo si presenta infatti come un’entità organica e discretamente amena, isolata dalla realtà contingente da un torrente, il Nervia appunto, e da aspre strutture geologiche di tipo collinare.
Il territorio dell’attuale Isolabona venne probabilmente frequentato da tribù di uomini preistorici dediti alla caccia e alla pastorizia, sostituiti poi in età preromana da gruppi di Liguri Intemeli, gli antichi abitatori dell’estremo Ponente ligure, che si stanziarono in apposite strutture difensive, i castellari, di cui rimangono alcuni significativi resti sulle sommità di aree collinari e montuose situate nelle immediate vicinanze del borgo. In un fondo, ubicato in località Veonigi sulla sommità di una collina a circa 500 metri sopra il livello del mare, durante dei lavori di sterro, sarebbero emersi, tra l’altro, resti di tombe costituite da lastre di pietra, frammenti di vasi, monete romane e altro materiale antico di grande interesse archeologico, che sono purtroppo andati perduti, tranne due elementi appartenenti ad una primitiva macina da grano. Tali reperti hanno un diametro di 0,40 metri con la parte fissa, in pietra arenaria, che presenta la forma di un disco con la superficie di utilizzazione convessa e perfettamente combaciante con la parte superiore concava. Nel centro la macina è attraversata da un foro biconico destinato a ricevere l’asse di rotazione in legno, presentando inoltre numerose piccole striature disposte in modo radiale, visibilmente logore dall’uso; tali incisioni permettevano infatti di fermare i grani e di sottoporli più rapidamente alla macinazione. È interessante osservare inoltre come la roccia da cui fu tratta la parte superiore della macina non fosse locale, né di ambito regionale, tanto da avvalorare l’ipotesi che la macina isolese sia stata importata già fatta, o almeno siano stati importati i minerali che la costituiscono. Per quanto concerne invece la datazione del reperto, in mancanza di qualsiasi elemento di giudizio concreto, sembra affermabile con sufficiente sicurezza che la macina risalga all’età romana, forse del periodo imperiale, per via anche del sistema di fabbricazione e per la tecnica relativamente evoluta, sebbene rustica, che caratterizza il reperto. Durante l’età imperiale il territorio dell’odierna Isolabona doveva presumibilmente appartenere alla circoscrizione di Albintimilium; dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente e le numerose incursioni barbariche, tra le quali quelle dei Visigoti, che nel 411 avevano distrutto e saccheggiato Albenga e Ventimiglia, il paese fu interessato, insieme a varie altre località costiere e dell’entroterra, dagli attacchi dei Saraceni, che devastarono i borghi del Ponente ligure fino alla loro definitiva sconfitta verso la metà del X secolo. Nell’ambito della generale rinascita nei decenni successivi al Mille, il paese entrò a far parte del Contea di Ventimiglia, strettamente legata alla Repubblica di Genova, alla quale il conte intemelio Oberto aveva prestato giuramento di alleanza nel 1146.
Il borgo viene citato ufficialmente per la prima volta in un documento del 1220, dove viene definito Castellum. Il signore di Dolceacqua Oberto Doria, che aveva acquisito il dominio sul paese della Val Nervia nel 1270, estese nel 1287 la sua autorità su Isolabona, oltreché su Perinaldo e Apricale. Il 3 gennaio dello stesso anno Oberto Doria aveva inoltre sancito l’aggregazione ad Apricale di Isolabona, i cui abitanti si impegnarono ad obbedire al podestà e ai consoli nominati dal signore di Apricale e a rispettare formalmente le leggi e le consuetudini stabilite dal Parlamento apricalese in modo che i due paesi potessero formare un corpo unico. La Curia sarebbe rimasta con sede ad Apricale e gli abitanti di Isolabona avrebbero da allora in poi pagato le imposte direttamente al signore di Apricale. Il lungo periodo di dominazione del paese da parte dei Doria non fu esente da gravi contrasti e aspre lotte tra fazioni contrapposte, come quelle che opposero nel corso del XIII secolo i Guelfi, capeggiati dai Grimaldi, e i Ghibellini, guidati dagli stessi Doria. Gli abitanti di Isolabona patirono soprattutto durante il tirannico dominio del signore di Dolceacqua Imperiale Doria, che si protrasse dal 1348 al 1387, con una politica di gestione del territorio caratterizzata da una ferocia sanguinaria e da ogni tipo di sopruso nei confronti dei sudditi. La fase di maggiore tensione si verificò tuttavia in concomitanza della lotta dei Doria con i Grimaldi di Monaco nei primi decenni del XVI secolo. Il 22 agosto 1523 il signore di Monaco Luciano Grimaldi fu ucciso da suo nipote e signore di Dolceacqua Bartolomeo Doria, provocando la ferma reazione del fratello dell’assassinato e vescovo di Grasse Agostino Grimaldi, il quale inviò un contingente armato a Dolceacqua e poi a Apricale, che furono devastate mentre Bartolomeo riusciva a salvarsi riparando precipitosamente in Francia. Dopoché l’imperatore Carlo V ebbe dichiarato decaduto per indegnità Bartolomeo Doria, il dominio sui paesi della Val Nervia passò ai primi di novembre del 1523 al luogotenente del vescovo Agostino Bartolomeo Grimaldi, ma nel marzo dell’anno successivo intervenne il duca di Savoia Carlo III, che reintegrò nei suoi domini lo spodestato Bartolomeo, che aveva donato tutti i suoi beni e diritti al sovrano sabaudo. Ritornato nel 1559 il paese ai Doria, passati ormai sotto la protezione sabauda, assunse il potere Stefano Doria, nel corso della cui reggenza feudale avvenne la divisione dei due comuni di Isolabona e Apricale, che erano uniti amministrativamente dal 1287 e che riacquistarono la loro tradizionale autonomia nel 1573 con l’elezione dei rispettivi parlamenti e l’assegnazione del territorio comunale, che fino ad allora costituiva un’unica entità amministrativa, per due terzi ad Apricale e per un terzo ad Isolabona. La firma dell’atto di divisione territoriale non avrebbe tuttavia portato la pace e la concordia tra le due comunità, come dimostrano chiaramente numerosi documenti successivi a tale data, relativi sia a vecchie liti e dissapori reciproci che a nuove vertenze sorte nel frattempo tra i due paesi, tra le quali quella regolata da una sentenza emessa nel 1663 dal Governatore di Nizza, che ordinava agli Isolesi di tenere aperte le porte del borgo pure di notte per facilitare agli Apricalesi l’accesso ai mulini anche durante le ore notturne.
In seguito all’occupazione del territorio isolese da parte del duca di Savoia Carlo Emanuele I nel 1627, il signore di Dolceacqua Carlo Doria fu costretto a fuggire dal suo feudo e a rifugiarsi a Torino, dove promise al duca sabaudo la cessione della sua signoria per la somma di 270.000 scudi d’oro. Pentitosi della promessa, Carlo decise allora di allontanarsi dalla capitale sabauda morendo poco dopo e lasciando il feudo in eredità al figlio Francesco, il quale giunse ad un accordo con il duca di Savoia, che non solo rinunciò alle sue mire sul possedimento conteso, ma concesse persino a Francesco Doria il titolo di marchese di Dolceacqua e conte di Rocchetta con atto emanato il 25 gennaio 1652, rinnovandogli nello stesso tempo l’investitura sul feudo di Dolceacqua, Apricale, Isolabona e Perinaldo, con l’acquisizione da parte del Doria della bassa e media giurisdizione, mentre l’ultimo appello spettava di diritto al sovrano sabaudo, che lo esercitava per mezzo del Senato di Nizza. Il territorio di Isolabona, compreso nel neocostituito Marchesato, entrò quindi definitivamente nell’orbita dei domini del duca di Savoia. Nel corso del Settecento la zona isolese fu interessata da una serie di eventi meteorologici di natura eccezionale, tramandatici dal notaio locale Lorenzo Borfiga, come le piogge del settembre 1705 e del 1738 che provocarono lo straripamento del Nervia, il gelo del 1709, che rovinò il raccolto delle olive, e la straordinaria siccità del 1718, mentre le cronache riportano anche notizia di una grave carestia nel 1735 e di una epidemia di peste nel 1720. Dopo l’invasione del Ponente ligure da parte delle truppe rivoluzionarie francesi, Isolabona, come del resto i comuni vicini, dovette sborsare ingenti somme di denaro per sovvenzionare le campagne militari dei Savoia contro la Francia giacobina. Nel periodo repubblicano e poi in quello napoleonico il territorio di Isolabona subì continue modifiche amministrative, passando prima dalla giurisdizione del circondario comunale di Monaco (nell’anno sesto dell’«era repubblicana»), a quella del cantone di Dolceacqua e successivamente a quello di Perinaldo, che dal 1805, anno del passaggio della Liguria all’Impero francese, fu legato al circondario di Sanremo, dipendente a sua volta dal Dipartimento delle Alpi Marittime con capoluogo Nizza. Sotto il profilo religioso, già nel 1802 una bolla papale emanata da Pio VII aveva provveduto ad incorporare le parrocchie dell’ex marchesato di Dolceacqua nella Diocesi di Nizza, il cui vescovo Colonna d’Istria venne calorosamente accolto dalla popolazione isolese nel corso di una visita pastorale svoltasi l’8 agosto 1805. Dopo la caduta di Napoleone, il paese ritornò sotto la giurisdizione dei Savoia, che nel 1815 estesero i loro domini anche al territorio dell’ex Repubblica di Genova, mentre i Doria, nonostante l’abolizione del loro feudo, mossero una lite contro il sovrano sabaudo nel tentativo di recuperare gli antichi privilegi sulle terre che erano state loro feudi e approfittando in particolare del ritorno alle istituzioni dell’ancien régime voluto dal re di Sardegna; tuttavia, malgrado un riconoscimento ottenuto il 4 gennaio 1817 dalla Regia Camera dei Conti di Torino, essi non poterono assicurarsi che una vecchia gabella del 12% sui prodotti dei mulini da olio, che gli abitanti dei loro ex domini erano soliti versare nei secoli precedenti alla famiglia feudale. Nel 1818 il territorio dell’antico marchesato, compresa quindi anche Isolabona, fu staccato dalla provincia di Nizza e aggregato a quella di Oneglia, rimanendo sempre sotto l’amministrazione del Dipartimento delle Alpi Marittime fino al marzo del 1860, quando, con la cessione della Divisione nizzarda alla Francia, Isolabona entrò a far parte della nuova provincia di Porto Maurizio.
Passato quasi indenne dal terremoto del 23 febbraio 1887, in seguito al quale furono concesse dal governo 2435 lire per la riparazione di alcuni edifici comunali lievemente danneggiati dal sisma e 1500 lire per altri enti, quali chiese, oratori, case canoniche e sedi di Confraternite lesionati dal terremoto, il paese diede il suo contributo allo sforzo militare italiano nel corso della prima guerra mondiale con diversi caduti al fronte. Dopo gli anni del regime fascista, Isolabona venne occupata dai Tedeschi dal giugno 1944 alla Liberazione. Nel luglio del ’44 il paese divenne sede di un alto Comando germanico, mentre i soldati nazisti avevano occupato le migliori abitazioni del borgo, lasciandosi andare alle consuete rapine e saccheggi. Particolarmente intensa fu anche l’attività delle formazioni partigiane nella zona, dove il 23 agosto del ’44 guastatori del distaccamento della V Brigata, guidati da Marco Dino Rossi (Fuoco) provocarono il crollo del ponte di «Bondà» sulla strada tra Isolabona e Pigna, mentre, due giorni dopo, elementi appartenenti sempre alla V Brigata, disarmarono alcuni militi sorpresi lungo la strada Pigna-Isolabona; il 4 ottobre successivo, in vista della battaglia di Pigna contro i garibaldini dislocati in Val Nervia, i Tedeschi mobilitarono tutti gli uomini di Isolabona dai 15 ai 55 anni, invitandoli a presentarsi entro le ore 17 di quel giorno per il trasporto di materiali militari, avvertendo la popolazione che i trasgressori e le persone sorprese per le campagne sarebbero stati fucilati, mentre i ponti sulla strada Isolabona-Apricale erano stati nel frattempo distrutti dai partigiani, che avevano provveduto anche ad interrompere la strada a sud del Monte Abbeglietto. Dopo la fine del secondo conflitto mondiale il paese ha vissuto una stagione di sviluppo economico, controbilanciato da un generale decremento demografico, comune peraltro alla maggior parte dei borghi dell’entroterra dell’estremo Ponente ligure. Nel settore primario si è registrato in particolare un aumento delle colture erbacee, un forte calo di quelle legnose e una sostanziale stabilità dei pascoli; anche i seminativi hanno subito un nettissimo incremento, che concerne soprattutto le piante da fronde ornamentali, mentre nella zona isolese sono presenti ancora diverse migliaia di piante di ulivo, i cui frutti vengono macinati nei due frantoi locali, alcuni vigneti, che danno ottime uve da vino, tra cui è particolarmente rinomato il Rossese, e modesti frutteti, tra i quali soprattutto pescheti. Negli anni più recenti ha inoltre raggiunto un discreto livello produttivo anche la floricoltura, che va gradualmente affermandosi in alternativa alle tradizionali colture dell’ulivo e della vite. Il settore secondario è invece estremamente ridotto con una sola fabbrica presente nel territorio comunale, dove è prevista l’attivazione di tre aziende produttive legate al comparto agricolo, mentre riveste particolare importanza il settore terziario, anche se la gran parte dei lavoratori impiegati in tale settore lavora prevalentemente nelle località costiere come Vallecrosia e Ventimiglia. Modesta rilevanza ha pure il comparto del turismo, che non sembra sufficientemente valorizzato nonostante negli ultimi anni si sia proceduto al restauro e recupero di diversi edifici del centro storico grazie anche a cospicui finanziamenti erogati dalla Regione Liguria per favorire il rilancio dei borghi antichi dell’entroterra. Nel territorio isolese sono pure attivi una pizzeria e tre ristoranti, dove è possibile gustare i piatti tipici della cucina locale come quelli a base di stoccafisso le saporite cubaite, il dolce tipico di Isolabona, costituito da due ostie di pasta ripiene di uno strato di nocciole impastate nel miele cotto, mentre un attrezzato camping consente ai turisti di soggiornare in luoghi puliti e accoglienti con interessanti possibilità di effettuare escursioni sui rilievi circostanti l’abitato come il Monte Altomoro e il Monte Morgi.













