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Al Direttore | 10 dicembre 2016, 16:40

Fuga di Pertini e Turati in Corsica (1926), il racconto dello storico matuziano Andrea Gandolfo

Un'importante vicenda, da quando il leader socialista lasciò la sua casa milanese, il 21 novembre 1926, all’arrivo dei fuggiaschi a Calvi, in Corsica, la mattina del 12 dicembre dello stesso anno

Fuga di Pertini e Turati in Corsica (1926), il racconto dello storico matuziano Andrea Gandolfo

In occasione della rievocazione storica della fuga di Pertini e Turati in Corsica, che si terrà domani a Savona, lo storico Andrea Gandolfo propone una breve trattazione storica di questa importante vicenda, da quando il leader socialista lasciò la sua casa milanese, il 21 novembre 1926, all’arrivo dei fuggiaschi a Calvi, in Corsica, la mattina del 12 dicembre dello stesso anno.

Ecco dunque il suo racconto di questa storica ‘fuga’:

“La sera di domenica 21 novembre 1926 scattò l’operazione predisposta da Carlo Rosselli e i suoi collaboratori: poco dopo le ventidue, Filippo Turati, dopo essersi rasato la folta barba, vestito con un pesante cappotto e con un grosso cappello calato sugli occhi, venne condotto da Rosselli e da sua moglie Marion Cave nel solaio del suo palazzo, il cui portone antistante piazza del Duomo era costantemente piantonato da vari agenti di polizia; dal solaio i tre passarono quindi, attraverso le soffitte, nell’attiguo edificio, che aveva un’uscita su via Ugo Foscolo. Qui l’autista del dottor Pini, uno dei medici curanti di Turati, che aveva messo a disposizione la sua automobile, manovrando in retromarcia nell’androne, fece salire a bordo il leader socialista, senza farsi vedere dagli agenti, e partì subito dopo a tutta velocità imboccando via Berchet, mentre Bauer e Umberto Ceva distraevano una pattuglia di due poliziotti in borghese, transitante casualmente nelle vicinanze, proprio nell’istante in cui Turati s’infilava nell’auto. Nel frattempo gli altri agenti che vigilavano l’ingresso principale in piazza del Duomo e il portone in via Foscolo non si accorsero praticamente di nulla, tanto che la polizia avrebbe scoperto la fuga dell’esponente socialista soltanto il venerdì successivo al fatto. Intanto il fuggiasco era stato condotto presso l’abitazione dell’altro suo medico curante, il dottor Gilardoni, in piazza Duse, dove però fu notato dal portinaio dello stabile, cosicché dovette essere tosto trasferito in una località più protetta, che venne individuata nel paese di Caronno Ghiringhello (oggi Caronno Varesino), in provincia di Varese, dove l’anziano leader fu accompagnato in automobile e ospitato nella villa di Ettore Albini, un vecchio militante socialista esiliato ai tempi dei moti del 1898 e allora impiegato in una locale cassa di risparmio, dopo una lunga collaborazione all’“Avanti!” come critico teatrale. Nella residenza di Albini, secondo i piani originari dell’espatrio, Turati avrebbe dovuto trattenersi un giorno solo, ma poi finì per passarvene ben undici in attesa che gli organizzatori della fuga trovassero il modo di fargli varcare il confine e portarlo al sicuro all’estero. In un primo momento, Parri pensò all’eventualità di far espatriare Turati attraverso la frontiera italo-svizzera, ma poi questo progetto venne scartato per il fatto che i valichi di alta montagna mal si addicevano alle precarie condizioni di salute dell’anziano esponente socialista, mentre quelli a bassa quota della via comasca erano tenuti sotto strettissima sorveglianza da agenti di polizia, che stavano dando la caccia al pericoloso bandito Sante Pollastro. Pertanto l’unica alternativa che rimaneva era quella di effettuare l’espatrio di Turati via mare. 

         Intanto a Milano, ancora cinque giorni dopo la fuga, la polizia continuava a sorvegliare la casa dell’uomo politico socialista senza accorgersi di nulla fino a quando, al sesto giorno, venne finalmente scoperta l’evasione. Alla notizia della clamorosa fuga, Mussolini, letteralmente infuriato per lo smacco subito, inviò un ispettore generale di pubblica sicurezza a Milano con l’incarico di ritrovare a tutti i costi il fuggitivo, per la cui cattura il capo della polizia Bocchini aveva contemporaneamente mobilitato tutte le forze dell’ordine disponibili nella zona; vennero inoltre disposte indagini a tappeto per scoprire eventuali complici presso amici milanesi di Turati, alcuni dei quali, anche solo come semplici indiziati, sarebbero poi finiti nel carcere di San Vittore. Intanto Rosselli, venuto a sapere che la polizia era ormai sulle tracce di Albini e il rifugio varesotto di Turati stava per essere scoperto, si recò immediatamente nella notte del 2 dicembre a Caronno prelevandovi l’esponente socialista per condurlo in un luogo più sicuro. Poche ore dopo giunsero nella villa di Albini il prefetto di Milano e numerosi poliziotti praticamente certi di sorprendervi ancora Turati e procedere al suo arresto, mentre, con loro grande stupore, vi trovarono il solo Albini, che venne arrestato e condotto in carcere, dove avrebbe scontato con otto mesi di detenzione la sola colpa di aver dato alloggio per qualche giorno al politico socialista. 

         Nel frattempo Pertini, consapevole dei rischi che avrebbe potuto correre nell’imminente operazione in corso di preparazione per consentire a Turati di riparare all’estero, decise di scrivere nuovamente alla sorella da Milano per confidarle i suoi sentimenti in un momento particolarmente tormentato della sua esistenza, quando tutto sembrava congiurare contro di lui, che oltretutto era anche senza lavoro e viveva dei pochi sussidi che gli passava la famiglia, ma sentiva che alla fine tante lotte avrebbero portato al trionfo della sua «fede» socialista. Pertini era appena giunto dalla Liguria, dove si era recato per mettere a punto il piano per la partenza di Turati, prevista per l’11 dicembre con imbarco notturno dal molo di Vado Ligure, e fissare gli appuntamenti con le persone che avrebbero dovuto preparare la traversata in motoscafo verso la Corsica. Nei giorni che precedettero il trasferimento di Turati dalla Lombardia alla Liguria, Pertini, resosi conto che i soldi racimolati dal fondo pro-perseguitati politici non erano sufficienti per finanziare la fuga del leader socialista, oltre a quelli che gli sarebbero serviti per sopravvivere in Francia, decise di inviare in tutta fretta un telegramma alla famiglia per chiedere di vendere la sua parte di un podere e di spedirgliene poi nel più breve tempo possibile il ricavato. Ma la richiesta venne accolta con qualche malumore dai parenti che gli fecero pervenire una risposta negativa. Intanto Turati era stato condotto a Ivrea, dove fu ospitato dall’ingegner Camillo Olivetti, mentre pochi giorni, insieme a Adriano Olivetti, si trasferì a Torino presso l’abitazione dell’anatomista Giuseppe Levi. L’8 dicembre, accompagnato da Rosselli e Parri, a bordo di un’automobile guidata da Adriano Olivetti, Turati venne condotto infine a Savona, dove prese alloggio in un albergo insieme a Rosselli. La mattina dello stesso giorno Pertini, che si trovava ancora a Milano, presso l’albergo diurno Cobianchi in piazza del Duomo, scrisse la sua ultima lettera milanese alla sorella, prima di recarsi a Caronno a prendere ordini in merito all’operazione che stava ormai per mettersi in moto

     Giunto a Caronno, Pertini fu informato che l’operazione sarebbe iniziata quello stesso pomeriggio e così non tornò più a Milano, ma si recò direttamente a Quiliano, dove raggiunse Turati, che fu ospitato in casa di Italo Oxilia, rimanendovi nascosto per tre giorni insieme a Pertini. Verso le otto di sera dell’11 dicembre Turati e Pertini partirono quindi alla volta di Vado Ligure, dalla cui rada ― secondo i piani della fuga ― si sarebbero dovuti imbarcare su un motoscafo proveniente da Savona condotto da Lorenzo Da Bove e Italo Oxilia. Dal momento però che Da Bove e Oxilia avevano dovuto rinunciare ad attraccare con il natante al molo di Vado per la presenza nei paraggi di una motovedetta della Guardia di finanza, Pertini, Rosselli, Parri e gli altri fuggiaschi pensarono che i due compagni di fuga avessero avuto dei problemi a raggiungerli e stavano già per rientrare nelle loro abitazioni, quando sopraggiunse improvvisamente Oxilia a bordo di un taxi, il quale li informò dell’inatteso imprevisto, per cui i fuggitivi decisero di fare precipitosamente ritorno a Savona, da dove la comitiva si sarebbe infine imbarcata, verso le ventidue, in località Pesci Vivi, nei pressi dell’omonimo ristorante situato a fianco del molo del “Lanternino verde”, alla volta della Corsica.

         Dopo una traversata piuttosto agitata durata circa dodici ore, durante la quale il motoscafo, guidato da Oxilia e Da Bove al timone e dal giovane meccanico Emilio Ameglio al motore, fu ripetutamente investito da violente ondate alimentate da un forte vento di libeccio, Turati e i suoi compagni di fuga attraccarono al molo di Calvi verso le dieci del mattino del 12 dicembre. Appena giunti nel porticciolo della cittadina corsa, dove già li attendeva una piccola folla di curiosi, Pertini, Turati, Rosselli, Parri e gli altri quattro fuggiaschi furono immediatamente arrestati da alcuni gendarmi e condotti dal comandante della locale capitaneria di porto, il quale, una volta appresa l’identità di Turati, allora molto noto in Francia per la sua statura politica e la sua fama di rigoroso antifascista, decise inaspettatamente di venire incontro alle loro richieste. Il vecchio esponente socialista inviò allora due telegrammi, uno al ministro della Guerra Painlevé e l’altro al ministro degli Esteri Briand, per chiedere formalmente al governo francese la concessione dell’asilo politico per lui e per Pertini. Le autorità francesi accolsero quindi favorevolmente la richiesta turatiana, riconoscendo senza alcuna difficoltà ai due militanti socialisti lo status di rifugiati politici in Francia e ordinando nello stesso tempo alla gendarmeria di Calvi di fornire al gruppo degli esuli italiani tutta l’assistenza possibile. Il locale Circolo repubblicano, venuto a conoscenza della presenza di Turati in città, organizzò addirittura un ricevimento in onore dell’illustre ospite, nel corso del quale il leader socialista prese brevemente la parola per descrivere a fosche tinte la situazione politica italiana e salutare la «libera» terra di Francia.  

Dott. Andrea Gandolfo – Sanremo”.

Redazione

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