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Eventi | 05 febbraio 2020, 00:03

Il monologo di Rula Jebreal a Sanremo: "Che non si chieda mai più a una donna cosa indossava quando è stata stuprata"

Due leggii per la giornalista e scrittrice, un libro bianco e uno nero: "Noi non vogliamo più avere paura, non vogliamo più essere vittime e orfane. Vogliamo essere libere nello spazio e nel tempo, vogliamo essere silenzio e rumore, musica"

Il monologo di Rula Jebreal a Sanremo: "Che non si chieda mai più a una donna cosa indossava quando è stata stuprata"

Due leggii, un libro "bianco" e uno "nero". A destra, parole forti, intrise di violenza, sangue, tragedia. A sinistra, la dolcezza e l'intensità di alcune tra le più belle canzoni d'amore scritte da cantautori italiani: "La cura" di Franco Battiato, "La donna cannone" di Francesco De Gregori, "Sally" di Vasco Rossi, "C'è tempo" di Ivano Fossati. Al centro, Rula Jebreal e la sua denuncia contro la violenza di genere, l'omertà della società, le umiliazioni imposte dalla visione malsana e patriarcale del mondo. 

"Lei aveva la biancheria intima quella sera? Si ricorda di aver cercato su internet il nome di un anticoncezionale quella mattina? Lei trova sexy gli uomini che indossano i jeans?". Sono  alcune delle domande poste in un’aula di tribunale in Italia a ragazze che avevano denunciato una violenza sessuale. "Domande insinuanti - ha commentato Rula -, che sottintendono che noi donne non siamo mai innocenti, perché abbiamo denunciato troppo tardi o troppo presto, perché eravamo disinibite".

"Sono cresciuta in un orfanotrofio - ha raccontato -, insieme a centinaia di bambine. La sera, una per volta, noi bambine raccontavamo una storia, le nostre storie. Non favole di mamme che conciliano il sonno, ma favole di figlie sfortunate, che il sonno lo toglievano. Ci raccontavamo delle nostre madri: torturate, uccise, violentate".

"Io amo le parole. Ho imparato, venendo da luoghi di guerra, a credere nelle parole e non ai fucili, per cercare di rendere il mondo un posto migliore. Anche e soprattutto per le donne. Ma poi ci sono i numeri".

"Negli ultimi tre anni - ha proseguito - tre milioni e 150 mila donne hanno subito violenze sessuali sul posto di lavoro. Ogni tre giorni viene uccisa una donna, sei solo la scorsa settimana. E nell’85 % dei casi, il carnefice non ha bisogno di bussare alla porta, per un motivo molto semplice: ha le chiavi di casa. Ci sono le sue impronte sullo zerbino, l’ombra delle sue labbra sul bicchiere in cucina".

Poi Rula ha ricordato la madre, Nadia, che ha subito violenze quando aveva tredici anni per poi uccidersi dandosi fuoco. "Ha perso il suo ultimo treno quando avevo cinque anni. E' stata brutalizzata e stuprata due volte: prima dal suo carnefice, poi da un sistema che l’ha costretta al silenzio".

"Le canzoni citate stasera - ha concluso - sono tutte scritte da uomini: quindi è possibile raccontare l'amore, il rispetto e la cura. Ora è il momento che quelle parole non siano solo cantate, ma siano finalmente vissute ogni giorno. Dobbiamo lottare, urlare da ogni palco, anche quando ci diranno che non è opportuno. Sono diventata la donna che sono grazie a mia madre e mia figlia Miral".

"Lasciateci essere quello che vogliamo essere - ha detto, rivolgendosi agli uomini -: madri di dieci figlie o di nessuno, casalinghe o donne in carriera. E indignatevi con noi".

"Domani chiedetevi com’erano vestite le conduttrici di Sanremo: ma che non si chieda mai più a una donna stuprata com’era vestita lei quella notte".

"Noi non vogliamo più avere paura, non vogliamo più essere vittime e orfane. Vogliamo essere libere nello spazio e nel tempo, vogliamo essere silenzio e rumore, musica".

Manuela Marascio

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