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| 05 giugno 2016, 06:30

La vera storia di Oscar Rafone: Occhi verdi in cui tuffarsi (cap.15)

Pubblichiamo ogni domenica il libro di Enzo Iorio, suddiviso per capitoli, per offrire a tutti un momento culturale nella 'giornata on line'

La vera storia di Oscar Rafone: Occhi verdi in cui tuffarsi (cap.15)

Ebbi un tuffo al cuore. Non so perché, in realtà la conoscevo appena, ma mi sentii improvvisamente come nudo e indifeso di fronte a lei. Forse arrossii. Lei ritirò la mano dalla mia fronte.

— Scotti ancora, — disse. — Come ti senti?

— Be... — volevo dire bene, ma la voce mi si strozzò. Avevo la gola secca e la bocca sembrava un deserto infuocato.

— Aspetta.

Infilò la mano nel sacchetto che aveva accanto a sé e ne trasse una bottiglietta di acqua minerale, la stappò e me la avvicinò alle labbra. Bevvi alcuni sorsi. Feci fatica ad ingoiare. Altro che bene, stavo piuttosto male.

Ritrovai la voce e farfugliai: — Mi sento tutto rotto, come se mi fosse passato addosso il rullo dell'asfalto.

Sorrise. Aveva un piccolo neo appena sopra il labbro.

— E la gamba come sta?

Mi ricordai dello squarcio che mi ero fatto cadendo. Cercai di scoprire la gamba ma dovette aiutarmi lei perché io facevo troppa fatica. C'era qualcosa che copriva la ferita, un rettangolo bianco tenuto fermo da due laccetti fatti con un sacchetto di plastica.

— Era l'unica cosa che avevo.

— Che... Che cos'è? — chiesi.

— Un assorbente.

Sgranai gli occhi.

Rise.

— Chissà perché voi maschi avete sempre queste reazioni quando le donne parlano di certe cose. Preferivi che ti venisse un'infezione?

— N... No.

— Comunque stai tranquillo, tra un po' te lo cambio e ti ci metto un bel cerottone. Ho preso anche dell'acqua ossigenata e un antidolorifico per la botta sotto l'occhio. Ti fa male?

— Un po', ma soprattutto me la sento gonfia.

— L' antidolorifico te la sgonfierà.

Inclinò la testa di lato: vuoi andare al pronto soccorso?

— No, non voglio vedere nessuno.

— L'avevo immaginato. Facciamo così, vediamo oggi come va. Se domani mattina non starai meglio dovrai andarci.

Domani mattina? Pensai. Ancora un giorno e una notte in quel postaccio? E se mi prendevo davvero un'infezione? E se in ospedale fossi arrivato troppo tardi per essere salvato? Forse stavo esagerando. In fondo era solo un po' di febbre e qualche graffio qua e là. Non ero un ragazzo fragile e non avevo mai avuto grossi problemi di salute. Probabilmente sarebbe bastato solo un po' di riposo per rimettermi in forma. E poi c'era la questione che non volevo veramente vedere nessuno, mio padre prima di tutto. Non ne avevo proprio voglia e invece andando al pronto soccorso lo avrebbero sicuramente chiamato.

— Ok, — dissi,— va bene. Mi dai l' antidolorifico?

Rise: — E quanto ne vuoi? Te l'ho appena dato, mentre bevevi. Non te ne sei accorto? Vuol dire che sei ancora confuso. Ti ho dato anche qualcosa per dormire. È meglio. Almeno recuperi le forze e starai bene prima. Ti avevo portato da mangiare ma se stai digiuno non muori, anzi.

Aveva un modo di parlare che mi tranquillizzava. Non so, forse era la voce, oppure il suo italiano un po' straniero, con certe vocali troppo larghe o troppo strette. Mi accorsi che non riuscivo a guardarla negli occhi. Erano di un verde bellissimo, mi ricordavano il mare al mattino presto quando andavo a pescare sulla scogliera della Madonnina e avrei voluto guardarli a lungo, tuffarmi dentro, ma mi imbarazzava.

Mi chiese se volevo che mi portasse qualcosa per vestirmi, visto che ero praticamente in mutande. Volle sapere dove abitavo. Mentre glielo spiegavo mi addormentai.

 

Enz Iorio

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