ELEZIONI COMUNE DI SANREMO
 / Attualità

Attualità | 04 giugno 2015, 07:11

L'Irlanda e la legge sui matrimoni omosessuali vista da Benedetta, imperiese, gay, da tre anni a Dublino. L'intervista

La cattolicissima Irlanda, attraverso un referendum, ha da poco approvato una legge sulle unioni omosessuali. Un passo avanti per la democrazia in Irlanda ed anche per l'intera Europa. La scelta degli irlandesi è un invito implicito alla riflessione sull'arretratezza della normativa italiana, che sempre più rappresenta un gap legislativo, il vero "spread", con le democrazie dell'Europa Occidentale

L'Irlanda e la legge sui matrimoni omosessuali vista da Benedetta, imperiese, gay, da tre anni a Dublino. L'intervista

La cattolicissima Irlanda, attraverso un referendum, ha da poco approvato una legge sulle unioni omosessuali. Un passo avanti per l'Irlanda, ma anche per l'intera Europa. La scelta degli irlandesi è un invito implicito alla riflessione sull'arretratezza della normativa italiana, che sempre più rappresenta un gap legislativo, il vero "spread", con le democrazie dell'Europa Occidentale.

Ne abbiamo discusso con Benedetta Bianchi, 27 anni, imperiese, gay, che da tre anni vive a Dublino dove sta portando a termine un dottorato di ricerca in macroeconomia internazionale al Trinity College.

Come hai vissuto un referendum non direttamente tuo? 
"Ho vissuto il referendum irlandese con grande coinvolgimento. Quando lo annunciarono l’anno scorso sembrava una cosa lontana, e la vittoria improbabile. Da italiana, pensare che si possa scrivere sulla costituzione che il matrimonio è riconosciuto indipendentemente dal genere degli sposi mi sembrava fantascienza. Oltretutto, la mia opinione sui matrimoni gay non era ancora sedimentata. Mi dicevo: ma chissenefrega di chiamarlo matrimonio? Chiamatelo come volete, ma dateci gli stessi diritti degli etero. Se la gente vuole che il matrimonio si riferisca solo a un’unione tra uomo e donna, amen! non mi interessa, purché io possa vivere la mia vita in santa pace e possa sposarmi se un giorno lo volessi. La campagna per il Yes irlandese mi ha fatto vedere tutta la questione sotto un altro punto di vista. La questione non è solo se i gay si possano sposare o no. È una questione più profonda, ideologica, di uguaglianza. La legge non può e non deve trattare le persone diversamente a seconda di alcuna delle loro caratteristiche. Se la legge lo fa, significa che nel paese la discriminazione non solo è tollerata ma è praticata dallo Stato. Se ammettiamo che il matrimonio per i gay si chiami in un altro modo (diciamo 'narriage', eventualità che è stata dibattuta qui in Irlanda), sarebbe come ammettere che i neri devono andare in scuole separate (diciamo squole). Non c’è alcuna differenza. La Yes Equality campaign mi ha insegnato questo. E quando ha vinto il sì, mi sono sentita fiera di vivere questo momento storico che rappresenta un grande passo avanti per l’evoluzione dell'umanità".

Come vedi la situazione italiana? "Be', su questo diventerò un po’ più pessimista. Spero di sbagliarmi, ma credo che un referendum come quello irlandese avrebbe un esito ben diverso in Italia. Mi sembra che per gli italiani sia molto difficile pensare al di fuori di certi binari impartiti dalla Chiesa, ma anche da qualche partito. Entrambi tendono a dirottare il discorso su cose irrilevanti. Per esempio, Giorgia Meloni parla della spesa che dovremmo sopportare per la reversibilità delle pensioni dei gay. In una discussione su un pilastro fondamentale dell’organizzazione della nostra specie, lei parla di soldi. Lasciando perdere i calcoli di economia (discutibilissimi), ti sembra che nella decisione su cosa è giusto o sbagliato, in una materia completamente aliena all'economia, debba in qualche modo entrarci una cost-benefit analysis? A me sembra di no. Per continuare il parallelismo coi neri, è come se uno dicesse: aspetta ma se aboliamo la schiavitù poi dobbiamo pure pagar loro la pensione. Andiamo...Questo mi fa essere pessimista sull’Italia: la discussione è di una miopia disarmante. E anche quando si parla in termini più alti, l’incoerenza logica implicita in certe discorsi è lampante. A parte la ridicola storia dell’estinzione (mica mi sono messa la cintura di castità permanente, per Dio, e comunque esiste la procreazione assistita, se proprio non volessi far sesso con un uomo. Siamo nel 21esimo secolo, sveglia!)… A parte la questione 'non è naturale' (io spendo qualche euro in più per comprare prodotti in legno invece che in plastica tossica per la natura, tu?)… A parte queste argomentazioni poco convincenti, una delle preoccupazioni è l’impatto sulla società dei matrimoni gay. Il giusto paragone da fare è: una società con le famiglie arcobaleno senza diritti riconosciuti contro una società con le famiglie arcobaleno con i diritti riconosciuti. Il paragone non è una società senza i gay contro una società con i gay. L’assenza di matrimoni gay non mi farà sposare un uomo. Non farà sì che tuo figlio non sia gay. Tuo figlio sarà gay comunque, ma con più problemi di accettazione personale. Se i matrimoni gay accresceranno il numero di gay nella società non sarà perché hanno una brutta influenza sui bambini, ma perché ci saranno meno persone represse. Insomma, mi sembra che in Italia la discussione sia fuorviante. La questione dovrebbe incentrarsi sul tema della libertà personale, di dove mettiamo il limite tra quello che possiamo fare e quello che lo Stato può dirci che non possiamo fare. E io amerò comunque la mia fidanzata, indipendentemente dalla possibilità di sposarla: lo Stato non può togliermi questa libertà. Può solo rendermi la vita più difficile. È questo quello che vogliamo?".

Come spieghi il sì irlandese? "L’Irlanda è un paese cattolico ma, prima di tutto, è un paese di irlandesi. Un popolo che ha subito 800 anni di occupazione inglese. Per secoli sono stati trattati dagli inglesi come esseri inferiori, per così tanto tempo che l’eguaglianza di tutti e senza condizioni è diventata un pilastro della cultura irlandese, e la lotta contro l'oppressione e contro chiunque voglia imporsi sul prossimo ha sempre visto gli Irish in prima fila. Sono cattolici ma meno influenzati dalla Chiesa, probabilmente anche per questo. Forse ha anche contribuito la cultura anglosassone. In Italia purtroppo siamo stati abituati a discorsi che si basano su informazioni sbagliate, allusioni infondate e malignità. Persino i giornali quotidiani in Italia riportano rumors che, ti posso assicurare, sui giornali inglesi non hanno spazio (sono tutti relegati sul The Sun), perché gli inglesi non vogliono leggere storielle costruite intorno a casi macabri. Vogliono solo sapere cosa è successo obiettivamente. Se una persona è stata uccisa, per loro non è rilevante se stesse facendo sesso o giocando a scacchi. Le insinuazioni su cosa può essere successo prima rimangono solo al livello di pettegolezzo (The Sun indeed). Questo si riflette nel modo in cui si affrontano le discussioni importanti. Così, in Irlanda l’insinuazione che i gay adotterebbero i bambini per stuprarli è considerata dai più un gravissimo atto di pregiudizio e discriminazione. Non è accettabile, perché non è supportata da altro che da un'allusione completamente infondata, cioè che i gay sono pedofili. Certamente gli italiani non sono tutti così. Ma pochi si indignano, e pochissimi cercano di fare qualcosa di concreto per cambiare una società che non sarà libera finché i falsi urleranno più di quanto i sinceri si indignino. Sul fatto che sia meglio per i bambini avere una figura materna e una paterna, posso anche essere d’accordo. Che questo debba avvenire per forza con le modalità della famiglia tradizionale, credo di no".

Cosa ne pensi di questa legge? "Credo che aver scritto sulla Costituzione che i matrimoni sono riconosciuti e protetti indipendentemente dal genere degli sposi sia un traguardo eccezionale, soprattutto per un paese dove il sesso omosessuale è stato formalmente illegale fino al 1993. Oscar Wilde sarebbe fiero dell’odierna Irlanda. L’Irlanda ci ha insegnato che si può crescere in fretta, e che lo si può fare indipendentemente dalle proprie convinzioni religiose".

A che età hai fatto coming out? Come l’hanno presa i tuoi? Trovi che adesso sia più facile? "Ti racconto volentieri della mia famiglia perché è soprattutto a loro che devo la mia serenità. Dissi ai miei che mi piacciono le ragazze quando avevo 14 anni. Lo sapevo da molto prima, diciamo da quando sono nata, ma è stato solo allora che mi sono resa conto che per tanta gente non era così normale come io lo vedevo dentro di me. E lì le crisi, i pianti, le parlate con l’amica del cuore per ore e ore, e alla fine parlai con mamma e papà. Siamo una famiglia molto aperta, gliel’ho detto perché avevo bisogno del loro aiuto. Loro mi avevano sempre detto che qualunque cosa fossi diventata nella vita, qualunque cosa mi fosse piaciuto fare o qualunque cosa fosse voluto dire la realizzazione di una mia aspirazione avrebbe avuto il loro supporto, e così non ho avuto alcuna difficoltà a parlare con loro. All’inizio erano preoccupati perché avevano paura che avrei avuto la vita difficile, poi col passare degli anni hanno capito che per fortuna non è così. Quando lo dissi a mia sorella Leila, lei rispose 'Io lo sapevo già, aspettavo che lo digerissi dentro di te', e mio fratello Leonardo vede mie ragazze in casa da quando aveva 6 anni: credo che questo gli abbia dato un gran vantaggio in termini di apertura mentale. Quando leggo di quei ragazzini che si suicidano perché sono gay, spesso piango. Mi sembra che adesso sia più facile di 15 anni fa, perché tutti ne parlano, mentre prima a me sembrava quasi un tabù per certa gente. Ma credo che dipenda molto dalla famiglia in cui uno vive. Vorrei dire a tutti i genitori: siate aperti con i vostri figli, fate capire loro che non bisogna mai vergognarsi di niente, fuorché delle cattive azioni (insegnamento di mamma Bissi). E state loro vicini sempre, anche quando credete che stiano sbagliando (insegnamento di papà Franco)".

In questo momento hai una storia? Qual è la reazione della gente se ti vede mano nella mano con un’altra donna? "Trovi le reazioni più disparate. La più comune è quella che mi sono resa conto di avere anche io quando vedo qualche coppia lesbica o gay mano nella mano: guardo le mani, guardo le loro facce, poi guardo di nuovo le mani intrecciate. Credo sia la reazione dettata dalla curiosità. Un giorno recentemente ero con la mia fidanzata all’aeroporto di Bergamo e ci stavamo baciando intensamente perché sapevamo che non ci saremmo viste per qualche mese, e una è passata dietro di me e ha detto 'bleah che schifo' … Chiara s’è messa a ridere e ha detto 'hai sentito?' Io subito sono diventata nera dalla rabbia ma l’ho vista ridere così di gusto che sono scoppiata in una risata pure io. La amo anche per questo, perché riesce a far andar via dal mio cuore i sentimenti negativi con un solo sguardo".

Francesco Li Noce

TI RICORDI COSA È SUCCESSO L’ANNO SCORSO A MAGGIO?
Ascolta il podcast con le notizie da non dimenticare

Ascolta "Un anno di notizie da non dimenticare" su Spreaker.

Google News Ricevi le nostre ultime notizie da Google News SEGUICI

Ti potrebbero interessare anche:

Prima Pagina|Archivio|Redazione|Invia un Comunicato Stampa|Pubblicità|Scrivi al Direttore|Premium