Libereso ha scritto articoli per numerosi giornali ed ha collaborato con molte riviste specializzate. Nel cassetto della sua scrivania tiene un appunto cui tiene molto. E' la copia di un testo pubblicato nel 2004 all’interno del mensile “Garden Repubblic”. Parla di un’erba ed un fiore particolare, la cui lettura rimane interessante e per questo la riproponiamo.

Una mandragora per amuleto
Il nome di mandragora deriva probabilmente da due parole greche che significano “pericolo per le mucche”. Già ai tempi di Plinio veniva usata come ottimo anestetico: prima delle operazioni si dava ai pazienti un pezzo di mandragora da masticare insieme alla pervinca.
Apulus nel suo “Herbarium” dice che in piccole dosi si usava contro i casi maniacali.
Conosciuta dagli Arabi come “mela di satana” in passato è sempre stata oggetto di strane superstizioni, sia nell’Europa meridionale che nel Levante. Secondo gli erboristi medioevali è governata dal pianeta Mercurio.
Il botanico Turner la descrive nel suo “ New Herbal”, stampato nel 1562. In Inghilterra, al tempo di Enrico VIII, con la sua radice si facevano piccole immagini per raffigurare un uomo – si usavano dei grani di miglio per gli occhi – e si riteneva che queste immagini, chiamate “puppettes” o “mammettes” avessero forti poteri magici.
Secondo le cronache del tempo, le signore per bene, specialmente quelle italiane, pagavano sino a 30 ducati d’oro per questi amuleti. In mancanza della mandragora, spesso si utilizzava la radice della comune Byonia, una rampicante spontanea.
Nel periodo elisabettiano era uso comune legare la radice di mandragora ad una fune e farla sradicare da un cane per non sentire il grido delle radici al momento di essere estratte dal terreno. Si riteneva infatti che quell’urlo avrebbe provocato la morte dell’uomo che estraeva la pianta.
Dopo aver coltivato due mandragore nel giardino delle erbe dell’Università di Londra, ho cominciato ad amare questa solanacea dalla copiosa fioritura e dal passato misterioso, che ne fa una delle piante più menzionate nelle leggende di magia, di stregoneria, di superstizione e di misteri. I suoi frutti, dal sapore dolce acidulo, mi toglievano la sete nelle calde giornate estive. Al momento della maturazione il suo profumo di ananas e banane riempiva l’angolo del giardino dove i frutti, simili a pomodori tondi riuniti al centro delle foglie che facevano corona, attiravano l’attenzione per il colore giallo paglierino.
Solo oggi, però, dopo averla vista in un diverso habitat, ho riconosciuto la sua parte migliore: la resistenza, il potere di crescere in un ambiente avverso ad ogni tipo di vegetazione. Nei pressi di Agrigento, in un clima terribilmente arido dopo mesi e mesi di siccità, ho visto le sue corolle rispecchiare il blu violaceo del cielo, sola tra le pietre ed i resti di un lontano passato, su di un suolo rosso bruciato, che dava risalto al verde smeraldo delle sue ampie foglie.
Unici compagni, in lontananza, un gruppo di asfodeli slanciavano verso il cielo le lunghe e forti spighe di corolle bianche, abbarbicati con le forti radici fasciculate in queste terre aride.
Nei miei vagabondaggi in Sicilia, visitando la piana di Selinunte, dove i resti dei grandiosi templi si specchiano nel mare, fra le agavi dalle svettanti e sinuose foglie blu acciaio, opuntie e terebinto giganti, ho visto le foglie della Mandragora officinalis var. autumnalis, bellissima nella sua semplicità, e così forte da poter rompere l’aridità di uno suolo malvagio con la forza racchiusa nelle grandi radici umanizzate nei secoli dalla storia.

Mi sono chinato per osservarla meglio, per ringraziarla ancora una volta di offrirmi la sua volontà di vita nella luce accecante del Sud.
Questa grande gioia di vivere quasi nell’impossibile dovrebbe essere premiata, facendocela amica, offrendole un angolo nel nostro giardino, una parte del nostro amore. Sono sicuro che saprebbe ricompensarci con la sua parte più bella.
Libereso Guglielmi














