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Al Direttore | 22 maggio 2016, 10:06

Il racconto dello storico matuziano Andrea Gandolfo della millenaria storia del borgo di Ceriana

Il piccolo paese alle spalle di Sanremo, in valle Armea, affonda le sue radici nell’età romana

Il racconto dello storico matuziano Andrea Gandolfo della millenaria storia del borgo di Ceriana

Lo storico Andrea Gandolfo, proseguendo nella sua trattazione della storia dei paesi della provincia di Imperia, si sofferma, in questa puntata, sulle vicende dell’incantevole borgo di Ceriana, alle spalle di Sanremo, in valle Armea, che affonda le sue radici nell’età romana.

Ecco dunque il suo racconto della millenaria storia di Ceriana:

Le più antiche testimonianze della frequentazione umana del territorio di Ceriana sono ascrivibili al periodo dei castellari, i caratteristici insediamenti fortificati posti in genere sulla sommità delle alture per scopi prevalentemente difensivi, dei quali sono rimasti dei ruderi proprio sui monti circostanti il paese, quali quelli rinvenuti su Monte Bignone e sul Monte Colma, dove sono stati identificati i resti di capanne in pietra a secco, che risultano circondate da cinta di mura e che furono abitate a partire dal IV secolo a.C. fino ad età imperiale inoltrata. Alcuni toponimi del territorio cerianasco, chiaramente riconducibili alla categoria dei castellari, sono la zona sottostante al Monte Colma, che è denominata Castellin e nelle cui vicinanze è stata rinvenuta una punta di hasta databile al I secolo a.C., una modesta altura situata poco dopo l’abitato, chiamata Castellà, le cui caratteristiche generali autorizzano a supporre che in loco fosse ubicato un castellaro protostorico, la località denominata Castello presso il Monte Merlo, che sembra essere stata sede anch’essa di un castellaro ligure in funzione di avvistamento, ipotesi che è supportata dal ritrovamento nella zona di alcuni reperti e di un enorme accumulo di pietra di forma circolare, che potrebbe essere il resto di un antico sito oppure essere stata una tomba a tumulo sul tipo di quelle ritrovate a Pian del Re tra Baiardo e Apricale, mentre in località Carmu de Gallè è stato rinvenuto oltre mezzo secolo fa del materiale ceramico e dei resti ossei umani, che attestano una presenza particolarmente antica di tribù liguri nel comprensorio. La vera e propria fondazione del primo nucleo abitato del futuro borgo pare invece risalga all’età romana, quando il celebre nobile romano Marco Celio Rufo, amico di Cicerone e personaggio di spicco della Roma del I secolo a.C., avrebbe iniziato la costruzione della sua casa nella zona dove attualmente sorge l’acropoli di Ceriana, assumendo quindi il titolo di antico proprietario del borgo primitivo, tanto che ancora oggi è intitolata a lui una delle vie più importanti e centrali del paese. Sembra comunque da scartare l’ipotesi che tale nobile, il quale nel 49 a.C. fu sicuramente a Ventimiglia per sedare una rivolta contro Cesare, si sia effettivamente trattenuto per un periodo di tempo sufficientemente lungo a Ceriana, in una zona oltretutto molto decentrata rispetto alla linea viaria costiera, da consentirgli di acquistare delle terre, mentre risulta assai più plausibile l’ipotesi che alcuni esponenti della gens Coelia, residenti nella vicina Monaco ma esercitanti cariche pubbliche ad Albintimilium, possedessero delle tenute agricole, in grado di garantire rendite tali da permettere loro di giungere ai vertici dell’amministrazione civica, proprio nella zona dell’odierna Ceriana, dove lasciarono la testimonianza di questi possedimenti dando al sito il loro nome.

L’esame del repertorio dei toponimi limitrofi a Celiana fa quindi supporre che tali terre fossero appartenute in età romana a famiglie notabili di Albintimilium, che sovente potevano avere dei fondi che oltrepassavano il confine municipale ubicato lungo il corso del torrente Armea. A differenza però di Sanremo, Bussana e Santo Stefano al Mare, dove sono stati rinvenuti resti di ville romane, a Ceriana, toponimo prediale certo più settentrionale, non sono venuti alla luce finora avanzi di costruzioni vere e proprie che si possono far risalire con certezza all’epoca romana, ma è tuttavia presumibile che vi sia stata una struttura abitativa, seppur ridotta alle minime dimensioni, a controllo del circondario agricolo, dove esisteva probabilmente un primitivo nucleo abitato sulla collina della Colla, sulla quale sorgono le costruzioni medievali più antiche del paese. A conferma delle origini antichissime di Ceriana la tradizione vuole inoltre che il cristianesimo sia stato importato nella zona fin dal I secolo d.C. da papa San Lino, primo successore di Pietro, che avrebbe fatto edificare la chiesa di San Salvatore, posta su una collina sovrastante il borgo, sopra un masso utilizzato dai pagani come altare al «dio Sole», sul quale sarebbero state incise delle croci di cristianizzazione e delle scritte inneggianti a papa Lino. Tale leggenda parrebbe confermata dalla segnalazione di resti ossei umani nei pressi della chiesa, che farebbero parte dell’antico cimitero del paese, mentre pure la chiesa dei Santi Pietro e Paolo, detta localmente la «chiesa vecchia» o del Santo Spirito, sarebbe stata ricostruita sui resti di un’antica cappella paleocristiana, consacrata al solo San Pietro, la quale attesterebbe che il cristianesimo si sarebbe diffuso a Ceriana con molta probabilità a partire dal II o III secolo d.C. quando i templi pagani furono distrutti e al loro posto sorsero le prime chiese cristiane. La tradizione vuole inoltre che anche la chiesa di Sant’Andrea, situata alla sommità della collina su cui si è sviluppato il nucleo medievale del paese, sia di origine antichissima, anzi si debba considerare una basilica paleocristiana databile al IV secolo e costruita sui resti di un antico tempio pagano dedicato al dio Apollo, le cui colonne litiche sarebbero state utilizzate con la stessa funzione nell’edificazione della chiesa nuova, ma sembra certo che tali colonne, pur richiamando genericamente elementi classici, siano databili all’età bassomedievale, contemporanee all’erezione dell’edificio sacro attestato per la prima volta in un documento del 1216. Tali presunte origini paleocristiane sono ricollegabili anche ad una testimonianza orale che riferisce che i santi Placido e Germanione, i cui resti sono venerati nella chiesa di Santa Marta, fossero dei soldati romani martirizzati a Ceriana all’interno del gruppo dei martiri Tebei che subirono la persecuzione sotto Diocleziano, a sicura garanzia dell’antichissima e precoce cristianizzazione della zona. L’origine romana del borgo parrebbe inoltre confermata da un’antica iscrizione incisa su una lapide infissa in un muro di una casa esistente un tempo nelle vicinanze della chiesa di Sant’Andrea, la quale confermerebbe che Ceriana avrebbe assunto il suo nome da quello di un proconsole romano che ne sarebbe stato il fondatore, anche se appare molto improbabile che un proconsole abbia frequentato questa zona, assai periferica ed isolata rispetto alle altre province romane. La segnalazione di tale passaggio potrebbe tuttavia essere stata incisa su una pietra in arenaria locale incastrata nel muro presso l’ingresso della chiesa di Sant’Andrea, che sembrerebbe la fronte resecata di un’arula mutila in basso e ai lati, dotata di coronamento e forse di accenno pulvinare sul tipo di esempi assai noti nel mondo romano; essa potrebbe appunto corrispondere alla suddetta epigrafe anche se la scalpellatura dello specchio non consente di stabilire con certezza l’eventuale presenza di un’iscrizione.

Dopo la caduta dell’Impero romano, il paese subì le incursioni dei Goti e quindi dei Longobardi, passando sotto il dominio franco alla fine dell’VIII secolo, quando l’intera zona entrò a far parte della giurisdizione del Comitato di Ventimiglia. Attaccata in più occasioni dai Saraceni nel corso del IX e X secolo, Ceriana venne difesa con successo dai suoi abitanti che sfruttarono l’ottima posizione strategica del borgo, dal cui interno essi gettavano sui nemici l’olio bollente dalle botole sopra le porte dell’oppidum a picco sul torrente Armea. Le prime notizie storiche sicure sul paese risalgono a due documenti del 979 e del 980, quando il vescovo di Genova Teodolfo, concedendo delle sue terre ad alcune famiglie di coloni sanremesi, indicò come confine orientale della Curtis Sancti Romuli l’intero corso dell’Armea, il che dimostra che alla fine del X secolo il territorio dell’attuale Ceriana faceva ancora parte del comprensorio sanremese. Tra la metà del X secolo e la metà del XII, nella periferia nordorientale del territorio matuziano, si andò quindi formando ed acquistando piena autonomia amministrativa un borgo che prima o non esisteva o doveva avere estensione e importanza assai limitate, per una serie di vari fattori, tra i quali lo spostamento verso l’interno di popolazioni rivierasche causato dalle invasioni saracene e la ripresa economica che caratterizzò l’estrema Liguria occidentale intorno all’anno Mille quando le mutate relazioni tra i signori feudali e i coltivatori indussero gli abitanti del primitivo borgo cerianese a trasformare il loro insediamento provvisorio in dimora stabile e ad acquistare piena coscienza comunale tanto da arrivare ad autogovernarsi e a rompere ogni legame di dipendenza dal Castrum Sancti Romuli, del cui territorio in origine facevano parte. Considerati i caratteri peculiari che furono alla base della nascita del borgo di Ceriana, è presumibile che all’origine del Comune siano state Compagne di agricoltori e pastori che costituivano il nucleo più importante e numeroso della popolazione, mentre il ceto mercantile-artigiano, che nelle città più avanzate aveva dato origine al Comune, doveva essere piuttosto limitato. Al vertice dell’amministrazione comunale vi furono in un primo tempo i consoli, che erano molto graditi alla popolazione in quanto, essendo eletti tra gli abitanti, non gravavano sul bilancio del Comune, e successivamente il podestà, che era in genere di provenienza esterna al paese, mentre quando si dovevano assumere decisioni importanti e d’interesse generale, veniva radunato il Parlamentum hominum Ciliane, al quale si affiancavano giudici, cancellieri e notai che completavano il quadro dell’organismo burocratico del paese, le cui leggi furono raccolte nel Libro degli Statuti, dei quali è giunta sino a noi soltanto la copia del 1538, dal titolo Statutum Municipale loci Ceriane, dato che quella più antica è andata distrutta nel 1814.

Nei secoli del Medioevo le principali fonti di sussistenza della popolazione furono costituite dall’agricoltura e dalla pastorizia, alle quali la tradizione popolare ha voluto aggiungere le industrie della seta e della concia delle pelli, quest’ultima facilitata dalla presenza nel territorio comunale di un cospicuo allevamento di bestiame e della quale sarebbe rimasto un ricordo nella piazza, detta appunto della Conceria, fiancheggiata da un canale destinato allo scolo dell’acqua. Frattanto, nel 1038, il paese era passato dalla giurisdizione dei Conti di Ventimiglia, che dominavano tutta la Valle Armea ad eccezione di Bussana, a quello del vescovo di Genova Corrado, che vi istituì una contea rurale assumendo i diritti di scitatico, placito e riparia, mentre il Conte intemelio Corrado tratteneva per sé i diritti che già esercitava sugli abitanti di Sanremo e sugli altri beni non appartenenti alla Chiesa, oltre naturalmente ai diritti di hoste et cavalcata, che sarebbero poi passati dal conte al Comune sorto nel frattempo. La tutela dei terreni destinati allo sfruttamento agricolo e pastorale portò poi al primo atto pubblico nel quale è nominato il paese di Ceriana, ossia il giuramento prestato nel 1146 dalla Compagna dei Consoli di Sanremo, che dichiararono di attenersi, in merito al contrasto sorto con i Cerianaschi per la proprietà del Monte della Valle, alle decisioni che avrebbe assunto sulla questione l’arcivescovo di Genova, il quale divise il territorio conteso in tre parti, di cui il terzerio mediano toccò a Ceriana, quello superiore a Sanremo, mentre quello inferiore fu trattenuto dall’arcivescovo per sé. Durante il successivo episcopato di Siro, quando i domini ecclesiastici genovesi nella Liguria occidentale raggiunsero la loro massima estensione, i rapporti tra il Comune di Ceriana e l’arcivescovo furono regolati da una serie di atti di ordinaria amministrazione, locazioni di terreni, nomine dei vari funzionari e norme per il versamento e la riscossione dei tributi, da cui traspare uno stato assai teso nella natura delle relazioni tra il Comune e l’arcivescovo Siro, che nel 1156 aveva concesso agli uomini di Ceriana il diritto di cacciare, attingere acqua e fare legna in una zona ben delimitata del territorio cerianese, specificando anche il preciso ammontare dei tributi del dritto e del fodro che i Cerianaschi erano tenuti a versare al loro signore entro Natale o, al massimo, entro l’Epifania, oltre al pagamento delle spese per l’alloggio e la permanenza del presule genovese in occasione di sue visite pastorali nel territorio di Ceriana.

Intanto continuavano i profondi dissidi tra il paese e la Repubblica di Genova, come dimostrato dall’assalto compiuto nel 1204 da uomini di Ceriana, spalleggiati da quelli di Taggia, ai danni di un drappello genovese guidato da Alberto Sommaripa, che rimase ferito a morte, mentre gli assalitori si impadronivano del bottino trasportato, scatenando però la reazione del governo genovese, che vendicò l’aggressione subita distruggendo il castello di Taggia, devastando le campagne cerianesi e multando gli uomini di Ceriana. Tale episodio non fece che surriscaldare ulteriormente il clima già teso tra le città della Riviera e la Repubblica e la stessa lotta tra la fazione filogenovese e quella contraria al governo di Genova a Sanremo, tanto da indurre l’arcivescovo Ottone a recarsi nel 1216 a Ceriana per esercitarvi i suoi poteri, anche se nel paese della Valle Armea gli abitanti versavano in condizioni economiche alquanto precarie, come attesta un documento del 9 novembre 1216, dal quale traspare che il Comune non era in grado di pagare i diritti di viatico all’arcivescovo, mentre in un altro atto del giorno successivo viene riportato il giuramento prestato dal gastaldo Oberto, che promise solennemente di eseguire, in tutto e per tutto, gli ordini dell’arcivescovo e di difenderne i beni da ogni eventuale danno, sottoscrivendo quindi delle clausole quanto mai impegnative che rappresentano peraltro anche una evidente dimostrazione del disordine e dell’acerrima resistenza nei confronti dell’autorità ecclesiastica che regnava in paese a quell’epoca. Pochi mesi prima del giuramento prestato dal gastaldo Oberto, l’arcivescovo Ottone aveva intanto inviato a Ceriana un suo messo, il vescovo di Nebbio, che, giunto in paese il 25 febbraio 1216, riuscì nei limiti delle sue possibilità a far riconoscere dai Cerianaschi la legittimità dei possedimenti arcivescovili. Tali iniziative non furono però sufficienti a placare gli animi degli abitanti del borgo, tanto che la Curia genovese si vide costretta a condannare all’esilio e alla confisca dei beni alcuni individui colpevoli di omicidio, segno questo inequivocabile dello stato di estremo disordine e anarchia che doveva regnare a Ceriana nella prima metà del XIII secolo. Il 13 maggio 1225 il podestà di Ceriana Fulchino di Castello fece quindi riunire a Parlamento gli uomini del paese per giurare ancora una volta fedeltà all’arcivescovo di Genova, mentre dodici anni dopo, con delibera del 14 novembre del 1237, l’arcivescovo Ottone nominava massaro e rettore dei paesi di Sanremo e Ceriana, per il periodo di un anno a partire dalle calende del mese di febbraio, un certo Guglielmo, al quale vennero affiancati cinque rettori di Ceriana nominati il 13 dicembre dello stesso anno. L’11 febbraio 1243 l’arcivescovo Giovanni, succeduto nel frattempo ad Ottone, nominò quindi il nuovo rettore di Sanremo e Ceriana conferendogli i pieni poteri. Frattanto si acuiva ulteriormente il dissidio tra gli abitanti del paese e l’arcivescovo di Genova, soprattutto in merito al pagamento del dritto e del fodro, che molti Cerianaschi si rifiutavano di pagare per varie ragioni, tanto da indurre alla fine il nuovo arcivescovo Jacopo da Varagine a chiedere ufficialmente alla Santa Sede il permesso di alienare i suoi possedimenti nell’estrema Liguria occidentale, e in particolare Sanremo e Ceriana, per via soprattutto del disordine che vi regnava, della eccessiva lontananza di questi territori da Genova e delle frequenti ribellioni causate dall’insubordinazione degli abitanti all’autorità ecclesiastica, che non era più in grado di sedarle tempestivamente. Il sempre più diffuso malcontento e l’ormai aperta ribellione dei sudditi indussero alla fine la Curia genovese a vendere i suoi possedimenti ai due signori di parte ghibellina Oberto Doria e Giorgio De Mari, appoggiati dal governo genovese che mirava a consolidare ulteriormente la sua posizione nella Liguria occidentale soprattutto in funzione antiangioina, con atto stipulato a Genova l’8 gennaio 1297, a cui seguì la nomina di Enrico di Castiglione a procuratore per il trapasso di proprietà di Ceriana, dove il 4 febbraio successivo fecero il loro ingresso ufficiale i nuovi proprietari del paese.

Il 9 febbraio del 1298 Giorgio De Mari, a nome suo e di Oberto Doria, nominò quindi vicario in Ceriana Pantaleone degli Arnoldi, che prestò giuramento di eseguire in modo corretto e leale il suo mandato. Dopo la morte di Oberto, che aveva cullato il sogno di costituire una vasta signoria nella Liguria occidentale unendo a Sanremo e Ceriana i suoi possedimenti di Dolceacqua, Isolabona, Apricale e Perinaldo, i suoi eredi si divisero tra di loro i territori paterni e così Sanremo e Ceriana passarono a Simone, che venne però cacciato pochi anni dopo da Roberto d’Angiò, il quale dominò su Sanremo e Ceriana dal 1319 al 1330, quando Aitono e Accellino Doria con una flotta di 15 galee e molti altri legni recuperarono i possedimenti perduti. Successivamente, per evitare una condanna da parte delle autorità genovesi per aver infranto una legge che vietava di comprare o costruire castelli nel tratto da Albisola a Monaco, Cassano e Argentina Doria vendettero tra il 1350 e il 1351 il loro feudo di Sanremo e Ceriana alla Repubblica, che nel 1359 acquistò anche la parte posseduta da Accellino in modo tale che il governo genovese entrò in possesso di quasi tutti i «carati» in cui il feudo stesso era stato diviso. Nel marzo 1361 venne infine emessa una sentenza arbitrale tra il doge di Genova Simon Boccanegra e i rappresentanti di Sanremo e Ceriana, che avrebbe regolato in futuro i rapporti tra la Repubblica e i suoi possedimenti nell’estremo Ponente con l’impegno da parte delle autorità genovesi a eleggere un podestà che amministrasse la giustizia e ad osservare scrupolosamente gli Statuti delle due comunità. Dalla seconda metà del XIV secolo Ceriana entrò quindi a far parte dei possedimenti della Repubblica nell’estremo Ponente, rimanendo legata a Genova fino alla costituzione della Repubblica Ligure nel 1797. Il carattere prevalentemente rurale del paese nei secoli del Basso Medioevo è confermato inoltre dalle convenzioni concluse con Taggia nel giugno del 1377, quando le delegazioni dei due comuni, al fine di conservare per il futuro i buoni rapporti esistenti tra i due paesi, concordarono, per mezzo dei loro rappresentanti, alcune norme, aventi valore di reciprocità, miranti a garantire appunto le relazioni di buon vicinato, e tendenti soprattutto a difendere da eventuali probabili danni i pascoli e i boschi, tramite una serie di sanzioni previste per coloro che avessero violato le norme pattuite, relative in particolare alla delimitazione delle zone destinate al pascolo e alla tutela del patrimonio boschivo e forestale, mentre venivano precisati scrupolosamente i confini tra le due comunità anche attraverso la collocazione di pietre per segnare i confini stessi. L’assenza inoltre, in tali convenzioni, di norme finalizzate alla regolamentazione di rapporti di carattere commerciale denota ulteriormente la natura essenzialmente agropastorale dell’economia di Ceriana in questo periodo, quando le attività commerciali dovevano rivestire un’importanza estremamente limitata o comunque tale da non richiedere norme particolari per il suo esercizio. Nel corso del Quattrocento e del Cinquecento il paese intavolò degli stretti rapporti di natura economica con la vicina Bussana, testimoniati dalle numerose convenzioni riguardanti i diritti di pascolo, lo sfruttamento dei boschi e i dazi, oltre a vari altri argomenti come il furto di legumi e frutta, per cui si stabilì di comminare una multa di tre soldi per ogni accusa, oltre alla rifusione del danno. Le relazioni tra i due borghi dovettero comunque essere state molto buone e amichevoli per diversi secoli, nonostante siano sorte pure delle sporadiche discordie, per evitare le quali si pattuì di comune accordo nel 1610 di inasprire le pene per coloro che avessero contravvenuto alle convenzioni esistenti. Nel frattempo anche le pesanti tasse che la Repubblica di Genova imponeva con sempre maggiore frequenza e intensità sui territori di Sanremo e Ceriana, contribuirono ad aumentare il malcontento popolare, acuito ulteriormente dalle decime che i Cerianaschi erano tenuti a versare al vescovo di Albenga, le quali procurarono malumori, sommosse e scomuniche nel 1479, fino a quando le autorità cerianesi, dopo aver deciso di staccarsi da Sanremo alla quale il paese era stato fino ad allora legato, stabilirono di versare le decime soltanto ai propri ministri dei Santi Pietro e Paolo.

All’inizio dell’età moderna Ceriana aveva ormai acquisito l’aspetto urbanistico che conserva ancor oggi, tanto che verso il 1530 il borgo contava circa 2000 abitanti, di cui molti erano addetti, oltreché alle attività primarie, anche alle professioni liberali e al commercio, come dimostrato dal fatto che, secondo la «caratata» (una sorta di indagine statistico-catastale ufficiale) effettuata nel 1531, il paese produceva olio in eccedenza rispetto al proprio fabbisogno interno, a differenza dei vicini centri di Sanremo, Taggia a Santo Stefano, tanto da doverne certamente vendere pure alle cittadine costiere. Tali discrete condizioni economiche e sociali dei primi secoli dell’età moderna sono inoltre indirettamente confermate dai molti lavori di riattamento e di costruzione di edifici di carattere religioso, che ancora oggi ammontano a circa una ventina tra chiese, oratori e cappelle campestri. Ai primi del Cinquecento il borgo venne colpito anch’esso da una gravissima epidemia di peste, che fece molte vittime, mentre nel 1543 fu attaccato da un’orda di Barbareschi, che infestavano le coste della Liguria. Dopo essere stato per breve tempo sottomesso ai duchi di Savoia nel 1625, il paese e tutti i territori della Riviera di Ponente passarono nuovamente alla Repubblica di Genova, la cui vessatoria politica fiscale acuì il malcontento popolare, che sfociò in aperta ribellione nel 1729. Nel 1794 Ceriana venne occupata dalle truppe rivoluzionarie francesi, che costrinsero la popolazione a sfamare i soldati invasori, mentre, dopo la proclamazione della Repubblica Ligure, il borgo entrò a far parte del Distretto delle Palme con gli abitanti di nuovo sottoposti ad una onerosa tassazione da parte delle autorità francesi, che causò una vera e propria rivolta da parte dei Cerianaschi, i quali, alla notizia della caduta di Napoleone nel 1814, assaltarono la sede comunale bruciandovi l’archivio, le cui carte furono scambiate dalla folla inferocita per i ruoli delle imposte, così gravose durante il periodo del dominio francese, facendo così scomparire quasi tutti i documenti importanti per ricostruire la storia del paese. Dopo l’annessione al Regno di Sardegna insieme al resto della Liguria nel 1815, Ceriana divenne sede di mandamento, dal quale dipendeva anche Baiardo, e di tribunale di giudicatura (poi pretura), oltre ad essere discretamente collegato mediante vie comunali a Sanremo, Taggia, Bussana e Baiardo, mentre l’economia risultava basata soprattutto sulla produzione di olive, che venivano lavorate nei frantoi azionati dalle acque del torrente Armea, utilizzato anche per scopi irrigui, castagne, uva e altra frutta, legumi, ortaggi e funghi, sull’allevamento del bestiame e sullo sfruttamento dei boschi, e in particolare quercete e pinete di Pinus silvestris, ancora oggi molto diffusi. Nei primi decenni dell’Ottocento si svolgeva pure a cadenza annuale un’importante fiera, in occasione della festa di Sant’Andrea, della durata di tre giorni, mentre nel paese si tenevano regolari corsi scolastici, i cui maestri erano stipendiati da lasciti di cittadini cerianaschi con il contributo del Comune, e vi era pure un ospedale che poteva accogliere quattordici ammalati su una popolazione, che, verso la metà del XIX secolo, si aggirava intorno alle tremila unità.

In seguito alla cessione della Divisione di Nizza alla Francia nel marzo 1860, il paese fu annesso alla nuova provincia di Porto Maurizio. Dopo il terremoto del 23 febbraio 1887, che provocò cinque morti, una dozzina di feriti e ingenti danni a vari edifici pubblici e privati, Ceriana ebbe numerosi caduti sul fronte italiano nel corso della prima guerra mondiale, mentre gli anni del dopoguerra e del regime fascista registrarono un sostanziale assestamento delle principali attività economiche e sociali. Dopo l’annuncio dell’armistizio con gli Alleati, il 12 settembre 1943 cinque Tedeschi giunsero in paese per minare la galleria della strada Ceriana-Baiardo, mentre gli antifascisti locali si organizzavano costituendo sempre nel mese di settembre del ’43 il CLN di Ceriana, che risultò composto da Edmondo Asquasciati, Tullio Assandri, don Giacomo Crespi e Livio Crespi. Da ottobre il borgo venne quindi presidiato da compagnie tedesche, sostituite l’una all’altra ogni quindici giorni. Il 14 agosto 1944 i Tedeschi consegnarono allora il presidio locale alla 7ª compagnia bersaglieri repubblichini, il cui Comando vi si trasferì da Taggia il primo novembre, quando, a causa delle numerose diserzioni, era ormai ridotta a sessanta uomini. Nell’ottobre del ’44 sostarono in paese alcune truppe tedesche per riposare e al presidio dei bersaglieri si aggregò la 5ª compagnia della brigata nera, il cui commissario politico si rese responsabile di efferate torture contro i partigiani. Ceriana rimase quindi occupata fino all’immediata vigilia della Liberazione, quando, alle ore 23,30 del 23 aprile 1945, i Tedeschi in ritirata fecero brillare delle mine che distrussero la galleria con oltre settanta famiglie che persero l’abitazione per cause belliche. Nel secondo dopoguerra si verificò una generale ripresa delle attività economiche, tra cui spiccano quelle legate alla floricoltura (soprattutto delle piante ornamentali e dei fiori recisi), all’artigianato e al comparto alimentare, rappresentato in particolare dalla ditta Crespi, che esporta i suoi prodotti anche nei mercati di vari paesi esteri, come Stati Uniti, Austria, Francia, Regno Unito, Svezia e Germania, mentre risulta assai rilevante anche il settore terziario con numerosi addetti nel commercio e nei servizi pubblici e privati. Discreto sviluppo ha avuto negli ultimi anni il comparto turistico, che si può avvalere anche delle «seconde case», con un incremento della popolazione durante il periodo estivo pari al 10-15%, anche se il paese non sembra molto ricercato dalla clientela turistica per la sua relativa lontananza dalle località dove si possono fare i bagni di mare, mentre la sua posizione non abbastanza elevata non costituisce un’attrattiva sufficientemente appetibile per coloro che desiderano trascorrere una vacanza in montagna al fresco. Negli ultimi anni, tuttavia, per venire incontro alle esigenze di maggiore vivibilità da parte di residenti e turisti, l’Amministrazione comunale ha avviato notevoli lavori per il potenziamento del sistema stradale (compresi i parcheggi), dell’acquedotto e delle fognature, che hanno subito peraltro un durissimo colpo con la recente alluvione del novembre 2000, la quale ha provocato il parziale franamento della zona meridionale dell’abitato causando due vittime e ripetuti sgomberi precauzionali di parte della popolazione interessata dagli eventi alluvionali, che sono tenuti attualmente sotto stretto e costante controllo dalle autorità preposte alla protezione civile al fine di garantire la massima sicurezza possibile alla popolazione del paese.

Dott. Andrea Gandolfo - Sanremo

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