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Sanremo Ospedaletti | 08 settembre 2015, 08:50

La storia della città di Sanremo dal 1815 al 1823 narrata dallo storico matuziano Andrea Gandolfo

Dall’inizio della dominazione sabauda, nel 1815, all’indomani del Congresso di Vienna, alla nomina di Alberto Nota a intendente della provincia di Sanremo nel 1823.

Dopo aver concluso la sua storia di ‘Sanremo nel Novecento’, il nostro lettore Andrea Gandolfo ci scrive per soffermarsi sulle vicende storiche della città nel corso del XIX secolo, iniziando a narrare, con questa puntata, la storia cittadina dall’inizio della dominazione sabauda, nel 1815, all’indomani del Congresso di Vienna, alla nomina di Alberto Nota a intendente della provincia di Sanremo nel 1823. Ecco il suo racconto dell’importante decennio di storia matuziana:

A Sanremo l'inizio della dominazione sabauda, dopo l’annessione della Liguria sancita dal Congresso di Vienna nel dicembre 1814, coincise anche con una serie di eventi funesti che colpirono la città nel corso del 1815. Il 22 gennaio si verificò un'intensa gelata, che, accompagnata da una fitta nevicata, danneggiò gravemente i numerosi agrumeti situati nel comprensorio sanremese. Una calamità ben più pericolosa era destinata tuttavia ad abbattersi sulla già provata popolazione poco tempo dopo: a partire dal mese di maggio infatti i boschi circostanti l'abitato di Sanremo cominciarono ad essere infestati da un branco di voraci lupi cervieri, che seminavano morte e terrore. Il 18 maggio i lupi mutilarono orribilmente due sorelle che si trovavano nel bosco di San Romolo, mentre alla fine di agosto si contavano già 46 vittime dei lupi nella zona di Apricale. In seguito a questi fatti, l'intendente di Sanremo promise ingenti premi in denaro a chiunque avesse ucciso dei lupi, che venivano braccati anche da squadre di cacciatori. Per contrastare la minaccia dei felini, il 24 agosto il Capo degli Anziani Tommaso Borea d'Olmo decise di inviare dei messi comunali forniti di tamburo nelle valli di Sanremo per avvertire gli abitanti quando potessero addentrarsi nei boschi per fare legna senza correre il rischio di incontrare le pericolose fiere. Intanto continuavano gli attacchi dei lupi: il 2 settembre un certo Donato fu ucciso nel bosco di Perinaldo, il 12 due grossi lupi uccisero un bambino di sei anni nel prato di San Romolo, e ancora il 19 una ragazza veniva ferita gravemente a Sanremo. Mentre accadevano questi episodi iniziavano intanto a dare i loro frutti le contromisure adottate dall'amministrazione civica: il 9 settembre, ad esempio, tre cacciatori di Verezzo uccisero con due colpi di fucile un esemplare maschio, che vagava nei boschi vicino a Baiardo, mentre il 17 giungevano in città venti cacciatori del Reggimento di Nizza, inviati dal governatore generale per dare manforte agli uomini del posto nella caccia ai pericolosi predatori.

Nel frattempo non cessavano gli attacchi mortali sferrati da questi feroci animali: a Coldirodi un branco di lupi uccise una ragazza di sedici anni, a Baiardo il 16 ottobre un altro lupo uccise una donna mentre raccoglieva del fieno, a novembre le fiere sbranarono due donne nel bosco di San Romolo e infine, il 5 dicembre, altre due povere donne rimasero uccise, mentre una terza venne orribilmente mutilata, ma riuscì miracolosamente a salvarsi. I lupi continuarono a seminare vittime e terrore anche l'anno successivo: il 2 gennaio alcune persone furono sbranate alle porte della città, il 2 aprile una donna fu trucidata da due lupi nei boschi di Ceriana e ancora il 4 aprile altre tre donne, di cui due di 18 anni e una anziana, furono uccise nei boschi di Castelvittorio. Nel corso del 1816, comunque, un'intensa attività venatoria svolta da gruppi di abili cacciatori, tra i quali anche alcuni valdostani inviati appositamente dal governo sardo, riuscì a sgominare definitivamente la piaga dei lupi cervieri, che avevano infestato i boschi sanremesi per due anni.

Nell'aprile del 1817 si verificò invece una forte siccità, che minacciava di compromettere il raccolto degli agrumi; le autorità comunali decisero allora di istituire delle novene a Nostra Signora del Rosario e ai santi patroni della città Siro e Romolo, che si tennero nella chiesa di San Siro e in seguito anche negli oratori di San Rocco e della Madonna della Costa, e nella chiesa dei Sette Dolori. Visto il persistere della siccità, il clero cittadino stabilì di istituire anche un Triduo di penitenza, che si svolse a partire dal 9 maggio alla presenza del Capo degli Anziani e di alcuni consiglieri; l'11 maggio si tenne inoltre una processione di penitenza con la statua della Vergine. Le calamità naturali non erano però ancora terminate: il 23 febbraio 1818 si ebbe infatti una forte scossa di terremoto, che si ripetè per due volte nel corso della mattinata. Subito dopo la prima scossa, la gente si rifugiò atterrita nelle campagne, dove rimase anche nei giorni successivi dormendo nelle capanne disseminate per i campi. Il sisma non causò comunque dei danni particolarmente gravi agli edifici pubblici e alle case dei privati, delle quali le più danneggiate furono quella di Francesco Spinola e un'altra appartenente alla famiglia Borea d'Olmo nei pressi della Fontanassa; risultarono inoltre leggermente colpiti la chiesa di Santo Stefano e l'Ospedale civico, dove il terremoto provocò anche delle piccole crepe nei muri. Sempre nel febbraio del '18 la popolazione sanremese fu colpita da una vasta epidemia di febbre tifoidea, che fece molte vittime. Per invocare l'aiuto divino contro il morbo, in giugno si svolse una processione con esposizione del quadro miracoloso della Vergine, mentre il governo adottava le prime contromisure inviando a Sanremo il medico Luigi Marchetti, che si mise a disposizione della Commissione di Sanità, istituita appositamente dal presidente del Consiglio Comunale Tommaso Borea d'Olmo per fronteggiare la grave pestilenza. Su ordine dello stesso Borea d'Olmo, la Commissione versò poi 1.000 lire all'Ospedale per sostenere le accresciute spese di cura dei malati. Grazie a questi tempestivi interventi, nel corso dell'anno il morbo andò gradualmente scemando fino a scomparire del tutto. L'8 gennaio 1819 si verificò un altro rovinoso terremoto, che colpì soprattutto Sanremo e Porto Maurizio causando peraltro soltanto lievi danni agli edifici senza provocare vittime. Nel gennaio del '19 venne quindi nominato sindaco Francesco Gismondi, che, dimessosi nel successivo mese di aprile, fu sostituito da Gio Carlo Laura.

Nel gennaio 1820 una nevicata particolarmente abbondante, accompagnata da un forte vento di maestrale, causò il congelamento delle piante degli agrumi e delle olive con pesanti danni al raccolto della primavera successiva. In questo periodo si registra anche un fatto rilevante sul piano politico-amministrativo: nel 1821 infatti il nuovo re di Sardegna Carlo Felice emanò un decreto che restituiva alla città di Sanremo il rango di capoluogo di provincia, già concesso una prima volta nel 1815 da Vittorio Emanuele I e poi revocato sempre nel '15 dallo stesso sovrano. Il 1821 fu inoltre caratterizzato dalla spietata repressione ordinata da Carlo Felice nei confronti di tutti i sudditi sospettati di aver appoggiato il moto carbonaro scoppiato nel mese di marzo di quell'anno in Piemonte sotto la direzione del patriota Santorre di Santarosa. Anche a Sanremo numerosi cittadini, in genere appartenenti alla classe intellettuale, furono inquisiti dalla polizia per aver tenuto un comportamento favorevole ai costituzionalisti nei giorni immediatamente successivi allo scoppio dell'insurrezione. L'avvocato Pietro Baccini, nato a Sanremo nel 1775 e morto l'11 ottobre 1836, venne inquisito semplicemente perché aveva manifestato opinioni costituzionali, il medico chirurgo Carlo Baldissone prese invece parte alla ribellione di San Salvario; considerato uno dei più attivi sostenitori del sistema costituzionale, dopo il fallimento del moto restò per qualche tempo nascosto sulle colline vicino a Torino finché non ottenne il passaporto per la Spagna nel luglio 1821. Ritornato dalla Spagna nel 1833, si stabilì definitivamente a Sanremo dove esercitò la professione di medico condotto senza interessarsi più di politica fino alla morte, sopravvenuta nel 1838.

Tra le altre vittime sanremesi della repressione piemontese ricordiamo il dottor Giacomo Biria, commissario del vaccino, che, indagato per aver sostenuto pubblicamente i princìpi costituzionali, fu licenziato in tronco e sospeso dalla sua attività; il negoziante Giovan Battista Barone, che manifestò opinioni costituzionali nelle giornate che seguirono all'insurrezione; il praticante avvocato Bernardo Bonfante, che finì nelle maglie della polizia per aver mostrato chiaramente la sua fede liberale ed essere stato uno dei capi del gruppo costituzionale di Porto Maurizio; il sergente di brigata Tommaso Pietro Francesco Borea d'Olmo, che il 3 aprile 1821 venne nominato sottotenente nel presidio di Alessandria dalla Giunta Costituzionale; il notaio Pietro Borea, denunciato per aver professato idee liberali ed essersi opposto al governo legittimo; l'avvocato Bartolomeo Bruni, inquisito per aver mostrato idee totalmente liberali; l'avvocato Pietro Carbone, consigliere comunale di Sanremo, che era stato accusato di aver usato espressioni sfavorevoli verso il governo nelle sedute del Consiglio Comunale e di aver fatto affiggere un proclama annunciante la Costituzione, fu immediatamente destituito e sorvegliato per due mesi a Nizza a partire dal 28 novembre 1821. Un altro illustre liberale sanremese fu il capitano della Brigata Piemonte Emanuele De Bustoro, nato a Sanremo il 4 novembre 1766 da Giuseppe e da Caterina Sorba. Dopo aver prestato servizio come volontario nel reggimento corso dell'esercito francese nel maggio 1787, De Bustoro venne promosso capitano dell'esercito della Repubblica di Genova il 1° agosto 1792. Dopo la Restaurazione fu arruolato come capitano pensionato nell'esercito sardo il 16 marzo 1815 e il 4 agosto dello stesso anno trasferito alla Brigata Piemonte. La polizia piemontese lo inquisì per essere stato nominato maggiore dalla Giunta Costituzionale il 31 marzo 1821; nonostante avesse beneficiato dell'indulto, fu cancellato dai ruoli e inviato sotto vigilanza a Sanremo il 27 ottobre 1821 per un periodo di quattro anni. Successivamente De Bustoro si imbarcò per Barcellona col brigantino sanremese Le anime, rimanendo tuttavia in Spagna per pochi mesi. Nel 1831 era ancora vivo, ma la sua condotta politica non destava più preoccupazioni alle autorità di polizia.

Le indagini sull'eventuale partecipazione di cittadini sanremesi ai moti carbonari del '21 interessarono anche il ricevitore della dogana principale di Sanremo Genovesi, che fu inserito nelle liste delle persone inquisite soltanto perché, allo scoppio del moto, aveva portato addosso in pubblico la coccarda tricolore; i due studenti Giacomo Martini e Antonio Orengo, accusati di essere dei fanatici liberali e quindi sorvegliati dalla polizia; e l'artigliere Pietro Martini, che, nominato artigliere di prima classe il 1° aprile 1815, fu retrocesso ad artigliere di seconda classe per aver partecipato attivamente alla rivoluzione combattendo contro l'armata reale. Risulta inoltre schedata per intero la famiglia sanremese dei Rambaldi, che partecipò attivamente all'attività insurrezionale. Tra i membri di questa famiglia spiccano il consigliere comunale Pietro, che aveva mostrato idee liberali ed era stato uno dei promotori della Guardia Nazionale, per cui venne rimosso dall'incarico il 29 agosto 1821 e relegato per quattro mesi ad Oneglia sotto stretta sorveglianza, finendo poi per essere riammesso nel suo incarico il 26 febbraio 1822; il proprietario Raffaele, che ebbe anche lui dei guai con la giustizia per i suoi princìpi liberali fino a quando non fu riabilitato nel 1841 e nominato Ispettore ai Boschi ed alle Selve; e infine il capitano del secondo Reggimento di artiglieria di marina Sebastiano, sicuramente il personaggio più interessante della famiglia. Nato a Sanremo da Giuseppe e da Silvia Sardi, Sebastiano Rambaldi aveva ricoperto il ruolo di capitano di artiglieria nell'esercito provvisorio genovese nel luglio 1814, passando poi nell'aprile dell'anno successivo all'artiglieria di marina. Partecipò quindi attivamente al moto del 1821 guadagnandosi la nomina a maggiore della Guardia Costituzionale e combattendo contro l'armata di Carlo Felice. Dopo un periodo di espiazione per la sua adesione all'insurrezione fu infine definitivamente riabilitato nel 1840. Nel 1841 venne quindi nominato vicesindaco di Sanremo, il 1° luglio 1848 promosso maggiore a riposo e il 21 ottobre 1848 colonnello a riposo. A completamento di questa lunga lista di Sanremesi implicati nei moti del '21 si può infine citare l'avvocato Antonio Zirio, che finì nelle liste della polizia per aver tenuto una condotta politica sospetta. Tra gli altri eventi notevoli che interessarono la città nel corso del 1821 spicca anche la furiosa mareggiata, che nel dicembre di quell'anno causò gravi danni all'area portuale e in particolare al molo di ponente, che venne in larga parte sbrecciato dall'impeto delle onde. La fenditura così provocata venne quindi otturata con una serie di lavori di restauro, che, realizzati tra il 1825 e il 1827 sotto la direzione dell'ingegner Sassernò, comportarono una spesa complessiva di 25.000 lire. Il regno di Carlo Felice non fu comunque caratterizzato soltanto dalla repressione dei moti carbonari, ma anche da una serie di iniziative volte ad arrecare beneficio alla popolazione. Tra queste una interessò anche Sanremo, dove nel 1822 Carlo Felice ricostituì la sede locale del Tribunale di Prefettura, che nel 1815 Vittorio Emanuele I aveva trasferito a Oneglia. Tale importante decisione, che seguiva a quella dell'anno precedente che aveva restituito alla città il titolo di capoluogo di provincia, fu accolta molto favorevolmente dalla cittadinanza sanremese, che vide in questi atti del re di Sardegna un particolare interessamento del sovrano sabaudo verso le legittime aspirazioni dei suoi sudditi.

Il 3 febbraio 1823 il re Carlo Felice nominò il torinese Alberto Nota vice intendente, e poco dopo intendente, della provincia di Sanremo. Il dottor Nota era laureato in legge ed era conosciuto ed apprezzato per la sua ampia cultura letteraria e per aver scritto numerose commedie, che, tradotte in diverse lingue, erano rappresentate con successo nei maggiori teatri italiani e stranieri. Nota giunse a Sanremo dopo aver ricoperto il ruolo di segretario del Principe di Carignano Carlo Alberto nel 1817 e vice intendente di Bobbio nel 1820. Appena insediato nella nuova carica, Nota si occupò soprattutto della riorganizzazione del sistema stradale provinciale, adoperandosi in particolare per facilitare alcuni accessi stradali verso l'entroterra. Nel 1826, in occasione della visita di Carlo Felice a Nizza, l'intendente Nota si recò a portare il saluto della provincia di Sanremo al sovrano sabaudo, accompagnato da una delegazione di rappresentanti dei vari comuni, tra cui il sindaco Vincenzo Manuel Gismondi e il marchese Tommaso Borea d'Olmo per Sanremo, il cavalier Alessandro Galleani per Ventimiglia, il marchese Federico Spinola per Taggia, il cavaliere Luigi Stella per Triora, l'avvocato Luigi Novaro per Bordighera, e il conte Novaro di Castelvecchio per Dolceacqua. Nel corso della visita, Nota incontrò anche la regina Maria Cristina, che, detestando i viaggi per mare e desiderando vivamente potersi recare in futuro a Genova su una strada carrozzabile, lo pregò di affrettare i lavori per il completamento della strada della Cornice, che, iniziata durante l'età napoleonica, non era ancora stata terminata. L'intendente ordinò l'immediata prosecuzione dei lavori della strada, che, per quanto riguarda il tratto attraversante l'area urbana di Sanremo, venne portata a termine nel 1827 per una estensione complessiva di 44.600 metri lineari.

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