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Attualità | 25 agosto 2013, 15:13

La 'dolorosa' cessione di Briga e Tenda alla Francia, il racconto dettagliato dello storico Gandolfo

Lo studioso matuziano riassume le principali vicende che hanno portato alla cessione dei due paesi e degli altri territori della val Roia alla Francia nel lontano 1947

La 'dolorosa' cessione di Briga e Tenda alla Francia, il racconto dettagliato dello storico Gandolfo

"A tanti anni dagli avvenimenti, per certi aspetti dolorosi, credo che sia giunto il momento di analizzare le vicende della cessione di Briga e Tenda alla Francia nel 1947 con la 'lente' dello storico, senza farsi più coinvolgere dalle passioni di parte, siano esse filoitaliane o filofrancesi. Ecco perché ho pensato di riassumere per sommi capi, pacatamente, e, almeno spero, per quanto mi è stato possibile, obiettivamente, le principali vicende che hanno portato alla cessione di Briga e Tenda e degli altri territori della val Roia alla Francia, per i Suoi gentili lettori:

Nello stesso tempo in cui cominciava l’occupazione francese di Ventimiglia, le truppe transalpine si impadronivano anche gradualmente dei vari centri dell’alta val Roia, avviando un processo di lenta penetrazione che si sarebbe concluso soltanto con il passaggio della zona sotto la sovranità francese nel settembre 1947. Tuttavia, la mobilitazione popolare in favore del passaggio dell’alta Roia alla Francia era già iniziata il 10 settembre 1944, quando il quotidiano gollista di Nizza «Combat» aveva pubblicato un articolo-manifesto dal titolo: «Tenda e Briga devono ritornare francesi». Cinque giorni dopo, su iniziativa del presidente del Club alpino delle Alpi Marittime Vincent Paschetta, i rappresentanti della zona dei Sei Comuni delle valli Vésubie e Tinée costituirono un Comitato di studio per la rettifica della frontiera, stilando nello stesso tempo una dettagliata relazione sull’intera questione destinata al Ministero degli Esteri francese. Alla riunione avevano partecipato anche i delegati del Comité d’action en vue du retour à la France des territoires de la Haute-Roya, presieduto dall’oriundo brigasco Charles Fenoglio, affiancato da Marius Barucchi nelle vesti di vicepresidente e da Aimable Gastaud, che - come segretario generale del sodalizio - sarebbe diventato il principale promotore della campagna volta ad ottenere il "rattachement" (ricongiunzione) di Briga e Tenda alla Francia. Erano intervenuti pure due rappresentanti della Société des Enfants de la Roya, che chiedevano invece l’annessione di Ventimiglia per togliere il loro paese di origine, Breil-sur-Roya, da quello che essi giudicavano uno svantaggioso isolamento. Il dottor Paschetta, temendo che richieste territoriali troppo ampie potessero nuocere anche a quelle più eque e ragionevoli, fece approvare la costituzione di tre comitati, che avrebbero condotto separatamente la propaganda annessionista con il coordinamento di un apposito organo di collegamento destinato a trattare le questioni di interesse comune e rappresentato dal Comité d’Études des Frontières. Il 18 settembre una delegazione di circa duecento oriundi tendaschi e brigaschi fondò il Mouvement pour le Rattachement de Tende et de La Brigue à la France, mentre i tre comitati pro-annessione si assicuravano l’appoggio del comandante delle forze francesi nel settore delle Alpi Marittime colonnello Sapin, del vescovo di Nizza Rémond e del sindaco della stessa città Barel. Il 4 ottobre ’44 il Comité départemental de Liberation des Alpes-Maritimes approvò invece una mozione in cui si associava alle istanze dei tre comitati e chiedeva formalmente per la prima volta l’annessione alla Francia della stessa Ventimiglia. Poco più di due settimane dopo gli Enfants de la Roya abbandonavano però il Comitato di coordinamento estendendo il campo delle loro rivendicazioni anche alla val Nervia. Nel dicembre ’44 il Comité d’Études des Frontières provvide poi a trasmettere al governo parigino una relazione nella quale veniva ulteriormente ribadita la necessità di una rettifica confinaria nella zona del dipartimento delle Alpi Marittime, il cui prefetto Paul Escande chiese il 3 febbraio ’45 ai dirigenti del Comité de Rattachement di organizzare una marcia di oriundi di Tenda e Briga non appena i due paesi fossero stati liberati dalle truppe transalpine. Ormai la questione della Roia era però passata direttamente nelle mani del governo francese, che l’avrebbe presto portata all’attenzione dei competenti organi internazionali, mentre ai comitati rimanevano soltanto funzioni di mera propaganda delle idee annessioniste a livello locale.

Dopo la partenza dei tedeschi dall’alta Roia il 24 aprile 1945, il giorno successivo Briga e Tenda vennero liberate dai partigiani italiani del 10° distaccamento della V Brigata «Nuvoloni», che la mattina del 26 avrebbe occupato anche San Dalmazzo, mentre, poche ore prima dell’arrivo dei garibaldini della Brigata Nuvoloni nei due paesi roiaschi, un capitano francese e un sergente marocchino avevano raggiunto in perlustrazione Tenda, dove si aspettavano con ansia le truppe liberatrici. Nel pomeriggio del 26 aprile giunsero a Tenda alcuni reparti del Corpo coloniale francese di occupazione costituiti da oltre un centinaio di soldati del 29° Régiment Tirailleurs Algériens, che si installarono nel paese. Nel pomeriggio dello stesso giorno il colonnello francese Widerspach ordinò il disarmo dei partigiani del 10° distaccamento (ai quali erano concesse sei ore di tempo per lasciare la zona) e il ritiro della bandiera italiana da tutti gli edifici pubblici. Nel frattempo erano apparsi sui muri di Briga dei manifesti intitolati «République Française. Ville de La Briga de Nice», sui quali era riportato un testo in francese in cui si annunciava trionfalmente che dopo 85 anni di umiliazioni i cuori di seimila contadini, nonostante la barbara propaganda fascista, erano ritornati definitivamente francesi, a firma del Comité de Libération de La Briga de Nice, mentre militanti filofrancesi iniziavano contemporaneamente a distribuire fotografie di De Gaulle nei vari centri della vallata. Il 28 aprile la zona fu raggiunta pure da una colonna di oriundi tendaschi e brigaschi di Nizza guidati da dirigenti del Comité de Rattachement, che vennero accolti festosamente da una parte della popolazione. La notte successiva militanti filofrancesi tappezzarono i muri di Tenda e Briga con manifesti su cui era scritto: «Nous sommes français», mentre a Tenda il sindaco Dalmasso, il segretario comunale e altri impiegati del municipio venivano destituiti da rappresentanti del Comité, il cui presidente Charles Fenoglio dichiarò lo stesso giorno che, in virtù di una deliberazione del Consiglio dei ministri francese, nonché di accordi con il governo italiano, Briga e Tenda venivano cedute alla Francia. Venne quindi annunciato che nel corso di quella stessa giornata si sarebbe tenuto un plebiscito per formalizzare l’annessione come previsto dalla legge francese. Le modalità con cui si svolse la consultazione non furono tuttavia completamente regolari in quanto le schede di voto contenevano soltanto una pura e semplice dichiarazione di assenso al passaggio dei territori in questione alla Francia senza dunque la possibilità di poter esprimere neppure teoricamente un voto favorevole all’Italia, tanto che l’unico modo per opporsi rimaneva soltanto quello di non riempire la scheda, fatto che annullava però il diritto di usufruire dell’allora indispensabile tessera annonaria. I risultati quasi plebiscitari favorevoli alla Francia furono tra l’altro abilmente sfruttati da De Gaulle e dal suo governo per chiedere l’annessione della Roia, in nome del principio dell’autodeterminazione dei popoli riconosciuto nel 1942 dalla Carta Atlantica.

Nello stesso giorno del plebiscito venne arrestato anche il principale rappresentante dell’opposizione italiana, dottor Guido Alberti, conte della Briga, accusato di atteggiamento fascista per aver ospitato un ufficiale italiano in missione segreta su autorizzazione del Comando alleato. Nei giorni successivi i dirigenti del Comité, forti dei risultati del plebiscito, vararono una serie di provvedimenti anti-italiani quali la proibizione dell’uso della lingua italiana in pubblico, la chiusura definitiva delle scuole e la riduzione degli approvvigionamenti alimentari a coloro che si erano rifiutati di votare nel plebiscito del 29 aprile. Quest’ultimi protestarono però vivacemente riuscendo ad ottenere dal tenente francese Ricci la revoca del provvedimento. Il Comité rispose allora con la nomina di una commissione di epurazione anti-italiana e la creazione di una polizia locale armata per poter controllare meglio l’attività delle opposizioni. Il 6 maggio il prefetto delle Alpi Marittime installò ufficialmente l’amministrazione francese a Tenda e a Briga, mentre due giorni dopo veniva arrestato e incarcerato, malgrado le sue precarie condizioni di salute, il direttore della centrale idroelettrica di San Dalmazzo di Tenda per aver incitato le proprie maestranze a rimanere fedeli all’Italia. Dopo i momenti di confusione iniziale, gli italiani tornarono a farsi sentire costituendo un gruppo di resistenza a Briga, centro principale della propaganda dei filofrancesi, mentre aumentava l’incidenza degli episodi di intolleranza tra le parti contrapposte. Nel mese di maggio il colonnello Widerspach, su disposizioni del generale Doyen, aveva nel frattempo esteso il controllo delle forze armate francesi alla Val Vermenagna e ad altre valli del Cuneese, provvedendo nello stesso tempo ad isolarle dal resto d’Italia tramite l’istituzione di numerosi posti di blocco. Alla fine di maggio giunse a Tenda un contingente di  militari americani con l’intenzione di estendere l’occupazione alleata anche all’alta Roia in applicazione delle clausole armistiziali con l’Italia, per cui venne ripristinata l’amministrazione italiana, che però fu subito rovesciata dal Comité. Gli alti comandi francesi fecero allora presidiare tutti gli accessi della valle per poter contrastare un eventuale colpo di mano degli Alleati nella regione, che il governo di Parigi considerava ormai come parte integrante del territorio metropolitano francese. Le autorità transalpine locali consentirono tuttavia al Governo Militare Alleato di installarsi provvisoriamente a Tenda e Briga, senza però alcun potere civile. Il successivo accordo di Caserta tra il governo francese e il Comando alleato sbloccò la situazione e così il 10 luglio i militari del 29° Régiment Tiralleurs Algériens lasciarono ordinatamente l’alta Roia, dove già nel pomeriggio dello stesso giorno giungevano i primi reparti di carabinieri italiani. Alcuni giorni dopo si recarono in zona anche il viceprefetto di Cuneo Montemurri e il suo segretario per coordinare l’attività di formazione delle nuove amministrazioni municipali, alle quali vennero ammessi pure membri del Comité, mentre agenti segreti francesi avviarono un’intensa propaganda tra la popolazione locale per convincerla a optare per la Francia, nazione che le avrebbe garantito una maggiore libertà economica, politica e fiscale.

Nel frattempo la questione dell’alta Roia non sembrava suscitare un particolare interesse da parte del governo italiano, allora impegnato in vertenze ben più intricate e complesse com’era quella della Venezia Giulia, anche se non mancarono voci autorevoli che si levarono in varie sedi per sottolineare l’importanza e l’urgenza del problema della Roia, tra le quali spiccano quelle degli onorevoli Badini Confalonieri, Brusasca e Fazio. Il 13 novembre ’45 il CLN provinciale di Imperia aveva intanto trasmesso al presidente del Consiglio Parri un ordine del giorno con cui si sollecitava l’adozione di provvedimenti severi nei confronti di tutti quelli che continuavano a svolgere una deleteria propaganda antinazionale, mentre anche varie autorità locali e alleate si interessarono del problema disponendo la stesura di inchieste sulla questione. Il 28 novembre il Consiglio generale del Dipartimento delle Alpi Marittime approvò invece una mozione in cui sosteneva la necessità di una equa rettifica della frontiera, mentre il 31 dicembre successivo l’amministrazione civile dell’alta Roia ritornava nelle mani del governo italiano. Il 17 gennaio 1946 il deputato nizzardo Jean Médecin intervenne all’Assemblea Nazionale per ribadire l’urgenza di una rettifica del confine nel comprensorio delle Alpi Marittime, a cui seguì una ventina di giorni dopo la presentazione ufficiale, da parte della delegazione francese presso il Consiglio dei quattro ministri degli Esteri delle potenze vincitrici, della richiesta di rettifica del confine italo-francese senza alcuna variazione rispetto a quello delineato nel «Memorandum di Algeri» del novembre 1943. Il 31 gennaio il prefetto di Imperia Viale comunicò invece al Ministero dell’Interno che dal giorno 27 precedente un ufficiale americano del Comando alleato aveva assunto il controllo del valico di Ponte San Luigi, lasciando passare soltanto coloro che erano muniti di passaporto con visto consolare, passaporto diplomatico o lasciapassare fornito dal Governo Militare Alleato, mentre venivano annullati tutti i permessi di transito ed espatrio rilasciati dalla Prefettura di Nizza e dal Commissariato della Polizia di frontiera italiana. Si parlò allora di una speciale autorizzazione concessa all’ufficiale americano dal Comando alleato, ma tutto venne chiarito da una corrispondenza da Nizza del quotidiano genovese «Tribuna del Popolo», che spiegò come la chiusura del valico fosse da ricollegare all’esposizione di una bandiera francese in cima al campanile della chiesa parrocchiale di Isolabona avvenuta nella notte tra il 26 e il 27 gennaio, oltre alla comparsa sui muri dello stesso paese di numerose scritte inneggianti all’annessione della Val Nervia alla Francia. Nei primi giorni di febbraio i filofrancesi fecero ancora un nuovo atto di propaganda anti-italiana distribuendo volantini in cui esaltavano le grandi vittorie ottenute nei plebisciti, terminando il messaggio con la scritta «Viva la Francia». Nello stesso tempo i CLN e i rappresentanti di tutti gli organi politici e amministrativi delle province di Imperia e Savona, convenuti in assemblea ad Albenga, redassero una mozione comune nella quale chiedevano l’istituzione di un unico collegio elettorale comprendente le due province per contribuire a contrastare in modo più netto ed efficace le tendenze separatiste affiorate nei mesi precedenti nella zona di frontiera.

Il 27 aprile venne varata una commissione interalleata formata da otto membri (due britannici, due americani, due sovietici e due francesi), che furono incaricati dal Consiglio dei quattro di svolgere un’accurata inchiesta nella zona di Briga e Tenda in merito alle risorse idroelettriche della regione, alla situazione etnico-linguistica della popolazione locale e all’atteggiamento degli abitanti della vallata nei confronti del problema dell’annessionismo e dell’occupazione italiana. Nonostante la massiccia propaganda delle due fazioni avverse, la commissione, che visitò Tenda il 1° maggio e Briga il giorno successivo, poté tuttavia lavorare in maniera piuttosto indipendente da comprensibili condizionamenti esterni. I risultati dell’inchiesta, informati quindi ad uno spirito di sostanziale equanimità, parlarono di una maggioranza indubbiamente a favore della Francia a Briga, mentre a Tenda vi sarebbe stata una maggioranza tendenzialmente italiana, dovuta soprattutto all’affluenza di immigrati attratti dalla presenza delle centrali idroelettriche. Il 17 maggio 1946 si era intanto costituito a Torino il «Comitato per la tutela degli interessi dell’Alta Valle Roia», il quale venne in un primo tempo appoggiato dal nostro Ministero degli Esteri, che tuttavia avrebbe presto ridimensionato la sua collaborazione per non compromettere ulteriormente il complesso lavorio diplomatico volto ad ottenere le condizioni migliori per una piena riconciliazione con la Francia. Dieci giorni dopo l’ambasciatore italiano a Parigi Meli Lupi di Soragna presentò ai quattro supplenti dei ministri degli Esteri un memorandum che esponeva il punto di vista ufficiale del governo italiano sulla questione senza tuttavia convincere pienamente sulla bontà delle nostre tesi i supplenti; questi decisero l’istituzione di una nuova commissione di tecnici per studiare a Parigi il problema idroelettrico della Val Roia, lasciando ai delegati italiani la possibilità di presentare un altro memorandum sulla questione della frontiera italo-francese, su cui la delegazione sovietica ottenne un rinvio della discussione con vivo rammarico da parte francese.

Nel corso della campagna elettorale per il referendum istituzionale del 2 giugno 1946, intervennero anche a Tenda e Briga numerosi parlamentari, tra cui l’onorevole Fazio, che riportò all’attenzione dell’opinione pubblica i diritti all’autonomia dell’alta Roia sanciti dagli accordi doganali del 1861, suscitando l’interesse pure di molti sostenitori del rattachement, che guardavano allora all’Italia con uno stato d’animo assai più benevolo rispetto a quello dell’immediato dopoguerra, mentre numerosi abitanti della vallata di sentimenti filoitaliani facevano ritorno ai loro paesi. Alle consultazioni referendarie del 2 giugno si presentò a votare in alta Roia oltre il 90% degli aventi diritto, fatto che - al di là dell’esito elettorale - si può indubbiamente interpretare come una dimostrazione di attaccamento delle popolazioni valligiane verso l’Italia. Ma ormai il destino dell’alta Roia era segnato: il 27 giugno la radio comunicò ufficialmente che il Consiglio dei  ministri degli esteri aveva accettato le richieste francesi in cambio di garanzie da parte del governo di Parigi sulla fornitura di energia elettrica all’Italia. La decisione, che significava per la nostra zona la cessione definitiva alla Francia di Briga e Tenda, fu appoggiata in modo particolare dal ministro degli Esteri sovietico Molotov, dopo che pure i ministri degli Esteri americano e inglese Byrnes e Bevin si erano espressi a favore delle richieste francesi nel corso di una precedente riunione, dedicata alla questione del confine italo-francese e tenutasi il 24 giugno. Dunque Briga e Tenda passarono alla Francia nonostante i pur generosi tentativi in senso contrario da parte del governo italiano, che mise sul piatto della bilancia la notevole importanza economica che rivestivano per l’Italia le centrali idroelettriche della valle, mentre non mancarono prese di posizione contro la decisione del Consiglio dei ministri degli Esteri anche da parte di autorevoli esponenti del mondo politico francese come il socialista Léon Blum, che, sul quotidiano «Le Populaire» del 2 luglio, criticò apertamente l’atteggiamento del suo governo verso l’Italia individuando in ragioni esclusivamente di carattere strategico la motivazione principale delle rivendicazioni transalpine nei confronti del nostro Paese.

Il 3 luglio si diffuse invece la notizia che dei francesi originari dell’alta Roia intendevano recarsi armati nei maggiori centri della valle per effettuarvi una vasta azione di epurazione, al che i filoitaliani decisero di approntare un comitato d’azione segreto per contrastare il minaccioso progetto. Per difendere i legittimi interessi delle popolazioni interessate dalle modifiche del tracciato confinario era stato intanto costituito a Bordighera nell’agosto ’46 un «Comitato per l’Italianità della Valle Roia» su iniziativa della militante democristiana sanremese Nilla Gismondi, che avrebbe svolto, dalla sede centrale del comitato in piazza Colombo a Sanremo, un’intensa attività per ottenere un trattamento più equo alla conferenza di pace (come attestato tra l’altro dalla petizione di oltre ventimila italiani residenti nelle zone di frontiera inviata  dalla stessa Gismondi a De Gasperi) e per recare assistenza e conforto ai numerosi profughi tendaschi e brigaschi stabilitisi nelle province di Imperia, Cuneo e Torino, dopo la cessione dei loro paesi d’origine alla Francia. Gli sforzi compiuti dai rappresentanti italiani per annullare le richieste francesi risultarono però vani e la Conferenza dei Ventuno approvò così il 31 agosto la cessione dei territori rivendicati dalla Francia lungo la frontiera con l’Italia. Nei mesi successivi non cessarono tuttavia le critiche e le proteste da parte italiana nei confronti delle deliberazioni della conferenza di Parigi, come testimoniato dal discorso tenuto dal leader socialista Pietro Nenni a Canzo il 13 ottobre e dalla nota inviata dal governo italiano al Consiglio dei quattro il 3 novembre sempre del ’46. Anche la stampa italiana non mancò di associarsi al coro delle proteste contro le decisioni dei Ventuno, mentre numerosi manifestanti si diedero convegno a Roma sotto le sedi diplomatiche transalpine per esprimere il loro profondo dissenso verso quanto era stato stabilito nella capitale francese. Tutto fu però inutile e non cambiò le decisioni prese dalla conferenza dei Ventuno che confluirono praticamente senza alcuna modifica nelle clausole territoriali del Trattato di pace, che venne firmato a Parigi dai rappresentanti delle Potenze alleate e dal delegato italiano Meli Lupi di Soragna il 10 febbraio 1947. In virtù di tali clausole, passavano alla Francia - nel settore delle Alpi Marittime - le ex «terre di caccia», costituite dai valloni della Guercia, Chastillon, Mollières e Millefonts nell’alta valle Tinée e dai valloni di Salse, del Boréon, della Madonna delle Finestre e della Gordolasca nell’alta Valle Vésubie, con il piccolo paese di Mollières staccato dal comune italiano di Valdieri e aggregato a quello francese di Valdeblore; il comune di Tenda compresa la frazione di San Dalmazzo; la parte del territorio comunale di Briga Marittima comprendente il capoluogo e Morignolo in valle Levenza, che formarono il nuovo comune francese di La Brigue (mentre le ex frazioni di Briga Piaggia, Upega e Carnino, nonché il bosco delle Navette, già appartenente al comune di Tenda, avrebbero formato dal 7 ottobre 1947 il comune di Briga Alta in provincia di Cuneo e la ex frazione di Briga Realdo sarebbe stata aggregata al comune di Triora in provincia di Imperia); le ex frazioni del comune italiano di Olivetta San Michele Piena Alta e Libri, nonché le tre casermette e le altre costruzioni adibite ai servizi doganali e frontalieri di Piena Bassa, annesse al comune francese di Breil-sur-Roya; 7 milioni e mezzo di metri quadrati di superfici boschive e pascolative di proprietà comunale e 350.000 metri quadrati di boschi, pascoli e seminativi, di proprietà privata, appartenenti al comune di Pigna; 3 milioni di metri quadrati di superfici boschive e pascolative comunali e 300.000 metri quadrati di boschi e pascoli privati facenti parte del comune di Rocchetta Nervina; e infine alcune limitate strisce di territorio appartenenti ai comuni di Dolceacqua e Triora e una piccola porzione del comune di Airole in direzione della località di Forquin, cedute allo scopo di rafforzare ulteriormente il saliente francese di Saorgio. Per quanto concerneva invece la questione dello sfruttamento delle centrali idroelettriche della val Roia cedute alla Francia, l’articolo 9 della Sezione seconda del Trattato stabilì una serie di speciali garanzie, che imponevano al governo di Parigi di far funzionare le centrali della vallata in modo tale da produrre i quantitativi di energia elettrica di cui l’Italia potesse aver bisogno per un periodo di tempo che venne allora indicativamente fissato con scadenza al 31 dicembre 1961, mentre altre clausole prevedevano una serie di ulteriori garanzie relative all’equa utilizzazione delle risorse idriche del fiume Roia. Intanto venne anche deciso che il passaggio definitivo della zona di Briga e Tenda dalla sovranità italiana a quella francese sarebbe avvenuto alle ore 0,00 del 16 settembre 1947. Trascorsi i quasi sette mesi previsti dal trattato non senza i soliti episodi di insofferenza verso l’amministrazione italiana uscente, alle 18 del 15 settembre il nuovo amministratore francese dei territori annessi alla Francia e sottoprefetto di Nizza Louis Bourguet ricevette i poteri sovrani dal commissario italiano Giacomo Lombardi, a Tenda, dal cui municipio veniva contemporaneamente ammainato il tricolore nazionale salutato dagli onori militari di un plotone di carabinieri. Nel corso della notte successiva tutti i reparti delle forze dell’ordine italiane lasciarono quindi l’alta val Roia, per essere sostituiti da gendarmi e funzionari della dogana francese nelle prime ore della mattina dopo. Nel pomeriggio seguente militanti filofrancesi e numerosi abitanti della zona ceduta festeggiarono con musica e balli, che si sarebbero protratti fino a notte fonda, l’avvenuta annessione alla Francia di Tenda, Briga, Piena e Libri. Il 12 ottobre 1947, a norma della legge transalpina, si tenne infine un referendum che diede una larghissima maggioranza a favore dell’annessione con punte del 95% a Tenda, 96% a Briga e addirittura 99% a Mollières, mentre più contenuti risultarono i suffragi per la Francia a Piena e Libri, con, rispettivamente, il 65% e il 67% di voti a favore dell’annessione.

Dott. Andrea Gandolfo - Sanremo".

Redazione

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