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Al Direttore | 06 settembre 2020, 10:02

Radici liguri nel Mediterraneo e oltre. Il dialetto e altre consuetudini di "noi altri" in giro per il mondo

Ecco il consueto approfondimento storico di Pierluigi Casalino

Andrea Doria

Andrea Doria

Se nel XII secolo e prima ancora colonie liguri si segnalavano dal Mar Nero al Medio Oriente, dal Nord Africa al Mediterraneo centrale, a Malaga, a partire dal XIV secolo, si formò, a sua volta e in tempi diversi, una fiorente comunità ligure-genovese grazie ai consolidati rapporti tra la Superba e la Spagna. Nel XVIII secolo tale comunità conseguì una posizione di notevole importanza, non soltanto numerica. E ciò in virtù delle gloriose fortune di Andrea Doria, celebre ammiraglio genovese, onegliese di nascita e alleato della Corona imperiale, la cui notorietà in certi casi supera quella dello stesso Cristoforo Colombo.

Non mancheranno più tardi altre presenze genovesi, anzi soprattutto liguri, in altre parti del mondo, quali il Sud America. Un capitolo a parte, invece, fu quello assai noto dei liguri trapiantati in Sardegna grazie ai Savoia, dopo l'esperienza di Tabarka, in Tunisia. Genovesi, come già ricordato in altre occasioni, si definiscono tuttora pure gli abitanti di molti borghi della Francia meridionale. Le loro origini risalgono a quei coloni del Ponente ligure che, in particolare alla fine del XV secolo, ma anche, in diverse occasioni persino in precedenza, si erano trasferiti nella Francia meridionale e in Provenza, se non addirittura nella stessa Genova. La pubblica opinione della Metropoli vedeva, tuttavia, con una certa preoccupazione lo stabilirsi in essa di questi gruppi di irregolari; non era un caso, infatti, che molti di tali coloni venivano dirottati spesso verso la Corsica, dove il governo della Repubblica di San Giorgio li confinava per togliersi da torno gente poco gradita. E genovesi erano qualificati pure quei liguri che le autorità della Superba spingeva in direzione delle aree montane della Liguria, dove il nomignolo "genovesi" indica ancora ai giorni nostri, paradossalmente e al contrario, gli abitanti della costa.

Altri "figoni" (mangiatori di fichi perché non vi era altro da mangiare) avevano accettato, di buon grado, come ricordato in altra circostanza, gli inviti loro rivolti da feudatari e signorie civili ed ecclesiastiche della Provenza, al fine di andare a ripopolare villaggi e centri abbandonati a seguito di stragi, carestie, epidemie altre calamità verificatesi durante i conflitti dinastici per il controllo della regione. Questi "figoni" si aggiungevano in molti casi ad altri liguri che avevano tentato la sorte, prima di loro (successivamente alla sconfitta dei Saraceni di Frassineto), da quelle parti. Abbiamo già parlato di una ventina di località alle spalle di Cannes e di Saint Tropez, che, come detto, furoni rifondate dai liguri e che furono la meta di tante famiglie provenienti, spesso guidate dal loro clero, dalle zone rurali di Oneglia e in larga misura da Albenga (l'odierna Campochiesa nello specifico) e dintorni. Esse portarono nel Sud della Francia le loro doti di artigiani e di contadini, ma anche la loro lingua. Tant'è che a metà del XVII secolo il "figon" (o genovese corrotto, come si è scritto) si era radicato come idioma al pari del provenzale in tutto l'arco che partiva dal Var sabaudo al territorio francese della ex Provenza. Le due parlate si mescolarono al punto che l'integrazione comportò la progressiva scomparsa della primitiva espressione ligure. Essa resterà, peraltro, limitata in centri come Vallauris, Biot, Mons ed Escragnolles sull'altipiano di Grasse.

Se a Biot il dialetto ligure vero e proprio sopravvisse stabilmente fino al 1910 e a Mons fino al 1950, molte locuzioni sono rimaste nell'uso. Se è vero, inoltre, che in tutta la Francia meridionale, i cognomi liguri e piemontesi tradiscono la presenza genovese e sabauda, la documentazione storica di molti di essi li origina dall'attuale imperiese o albenganese. Ne è un esempio per tutti il cognome Dourbequou (che è il Dulbecco di Imperia). Numerosi sono gli studi compiuti in Italia e nella stessa Francia per recuperare e valorizzare, dopo periodi di incomprensioni e reciproche diffidenze, un patrimonio comune che lega le due nazioni nel contesto della moderna cultura transnazionale europea e mediterranea.

Pierluigi Casalino

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