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Economia | 13 settembre 2019, 09:42

Finto “Made in Italy”: l’Europa chiude un occhio in Australia. Grandi problemi per Prosecco, la Raschera, il Moscato e l’olio d’oliva

Mentre continuano i negoziati per un trattato commerciale tra l’Australia e Unione Europea, “spunta” sul sito del governo australiano una lista di indicazioni geografiche di cui la Commissione esige la protezione.

Finto “Made in Italy”: l’Europa chiude un occhio in Australia. Grandi problemi per Prosecco, la Raschera, il Moscato e l’olio d’oliva

Sin dalla creazione dell’unione doganale con il trattato di Roma, le politiche sul commercio internazionale sono controllate dall’Unione Europea, che cerca di prendere in considerazione gli interessi di tutti gli stati membri. L’idea era che il peso economico di un’Europa unita e la grandezza del suo mercato garantisse un potere contrattuale sufficiente per far valere i nostri interessi commerciali con i colossi dell’epoca – Stati Uniti e Russia. 

In effetti, oggi l’Unione Europea ha il secondo PIL più alto al mondo ed un mercato di mezzo miliardo di potenziali clienti mediamente ricchi, più grande di Russia e America messe insieme. Nei negoziati, questo è un grande punto di forza. Tuttavia, nonostante il diritto di veto di ogni stato membro, spetta alla Commissione Europea condurre i negoziati su trattati commerciali con paesi terzi: le priorità della Commissione potrebbero non essere le stesse dell’Italia. Ed è complicato sostenere un veto quando gli altri 27 paesi sono unanimi. 

Negli anni ’90 viene lanciato il programma indicazioni geografiche, con cui l’Europa si proponeva di difendere l’autenticità e l’etichettatura di prodotti alimentari tipici e bevande alcoliche nel continente. Per capirci, sono quelle strane sigle che appaiono dopo il nome dei nostri buoni vini e formaggi: DOP, DOC, IGP, IG e STG. Dunque, i francesi non potevano più produrre il Barolo o non era più consentito ai polacchi di copiare il parmigiano. Poi si è deciso di globalizzare questo sistema di protezione con la politica commerciale per difendere la nostra cultura ed economia all’estero: l’Unione accetta di negoziare un trattato a patto che il paese beneficiario faccia rispettare le indicazioni geografiche.  

Ci si aspetterebbe che il paese a cui si apriranno le porte di uno dei mercati più redditizi al mondo debba caricarsi dell’onere di riconoscere l’intero pacchetto delle indicazioni geografiche europee. Purtroppo non è così; è sempre la Commissione Europea che, in base a criteri non noti, decide di quali prodotti richiedere la protezione durante i negoziati. Decisione assai difficile dato che è pressoché impossibile paragonare il valore inestimabile di ogni “espressione tradizionale” – come le definisce la legge europea – che descrive prodotti tipici.

Ma così è. Nel 2009 l’UE e l’Australia firmarono un trattato di commercio in cui gli Australiani riconoscevano la protezione di molte ma non tutte le indicazioni geografiche enologiche. Dopo la ratifica, gli agricoltori dell’altro emisfero smisero di produrre champagne. Tuttavia l’Australia non ricevette le stesse pressioni per quanto riguarda il prosecco ed infatti ancora oggi si possono tranquillamente etichettare bottiglie “Made in Australia” come tali. Tra gli altri vini italiani che non godono di nessuna protezione vi sono il Merlot, il Blanc de Cossan ed il Nero d’Avola. Altri ancora, come il Lambrusco ed il Moscato, hanno il nome intero protetto, ad esempio “Lambrusco di Sorbara” e “Moscato d’Asti”, ma i generici nomi “Moscato” e “Lambrusco” possono comunque essere utilizzati. 

L’anno scorso sono iniziati i negoziati per un trattato di libero commercio tra UE ed Australia. Come spiega Australian Broadcaster, l’emittente nazionale, l’ex colonia britannica ha l’obiettivo di agevolare il suo export di manzo, grano e zucchero in un mercato che vale almeno 25 trillioni di dollari (il valore del mercato australiano è molto più basso data la popolazione di soli 25 milioni). In cambio, l’Europa vuole una protezione più ampia delle indicazioni geografiche. È così che “spunta” sul sito del governo australiano una lista di indicazioni di cui la Commissione esige la protezione (non riportata sul sito di nessuna istituzione europea). Mancano Raschera, Robiola e tutto l’olio d’oliva italiano (anche quello taggiasco); tra i salumi vengono tralasciati il prosciutto di Norcia, il prosciutto amatriciano, il lardo d’Arnad e di Colonnata, il Crudo di Cuneo, la mortadella, il capocollo, la coppa e la soppressata. Inoltre, non è stato richiesto nessun cambiamento per il vino, il che vuol dire che il prosecco australiano continuerà ad esistere.

Il problema di fondo su cui l’Europa ha ceduto (anzi, su cui non si è nemmeno provato a negoziare secondo Australian Broadcaster) è che il riconoscimento del Grana Padano e del Parmigiano Reggiano da parte dell’Australia serve a nulla, perché potranno continuare a chiamare il loro formaggio “parmesan”, il che è proibito nella stessa Unione Europea. Simile faccenda per il pecorino e la provola, basterà evitare di aggiungere l’aggettivo “Romano” o la denominazione “Valpadana” ed il trucco è fatto.

Sembra difficile, se non ingiusto, dar torto ai tanti produttori italiani che criticano il giudizio di una Commissione Europea che invece ha deciso di imporsi per proteggere (tra gli altri) lo champagne francese, quattro tipi di olio croato, il salame ungherese ed il cheddar inglese. Che senso ha concedere indicazioni geografiche a tanti prodotti se poi solo alcune vengono salvaguardate? Tanto più al di fuori del nostro continente dove le truffe ai danni del “Made in Italy” occorrono sovente.

Nicola Gambaro

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