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Sanremo Ospedaletti | 26 marzo 2014, 12:50

La guerra del 1625 tra Repubblica di Genova e Ducato di Savoia nel racconto dello storico Andrea Gandolfo

Lo studioso matuziano propone un approfondimento sulla storia locale che coinvolse direttamente l’estremo Ponente ligure

La guerra del 1625 tra Repubblica di Genova e Ducato di Savoia nel racconto dello storico Andrea Gandolfo

Lo storico Andrea Gandolfo, nelle sue periodiche rievocazioni di fatti e personaggi della storia locale, questa volta si sofferma su un episodio di quasi quattrocento anni fa: la guerra tra la Repubblica di Genova e il Ducato di Savoia della primavera-estate del 1625, che coinvolse direttamente l’estremo Ponente ligure. La trattazione che propone riguarda soprattutto la zona sanremese e imperiese.

"Nel 1625 il duca di Savoia Carlo Emanuele I, che rivendicava dei diritti di successione sul marchesato di Zuccarello, allora possesso genovese, valendosi anche dell'alleanza con la Francia, decise di dichiarare guerra alla Repubblica di Genova armando per l'occasione un esercito di 14.000 fanti e 2500 cavalli. Nella primavera del 1625 le forze armate piemontesi, coadiuvate da un contingente francese di 12.000 fanti e 1500 cavalli al comando del conestabile di Francia generale Lesdiguières, valicarono il confine con la Repubblica di Genova e iniziarono a penetrare in territorio genovese. Dopo aver battuto gli avamposti genovesi a Gavi e Rossiglione, l'esercito franco-piemontese sbaragliò quindi le forze genovesi anche a Voltaggio e puntò allora direttamente verso Genova quando il generale Lesdiguières si oppose alla progettata avanzata rifiutandosi di continuare a combattere a fianco delle truppe piemontesi. Carlo Emanuele I, indignato per il comportamento del suo ex alleato, dovette rinunciare a puntare su Genova e rivedere quindi tutti i suoi piani di guerra. Il duca decise allora di mandare i suoi figli, il principe Vittorio Amedeo e don Felice di Savoia, con un esercito forte di 7000 fanti e 400 cavalli, alla conquista della Riviera ligure di Ponente. Già nell'aprile 1625 le truppe savoiarde guidate da Vittorio Amedeo, dopo aver sfondato le linee genovesi nell'alta Valle Arroscia, assediarono Pieve di Teco e iniziarono a penetrare nelle valli di Oneglia e Albenga. Nello stesso tempo don Felice dirigeva le sue forze verso i paesi di Castelvittorio, Baiardo e Triora, mentre il marchese di Dogliani si spostava con 6000 fanti da Nizza a Sospello con l'intenzione di invadere poi tutti i paesi della Val Roja.


Mentre erano in corso queste operazioni militari, le popolazioni dell'estrema Riviera di Ponente si preparavano ad affrontare le forze armate piemontesi oltreché sotto un profilo militare, anche sotto quello spirituale. A Sanremo, ad esempio, il Consiglio Comunale decise il 3 marzo di istituire la festa di San Giuseppe, da celebrarsi ogni anno con una messa solenne presso l'altare del santo ubicato nella chiesa dell'Annunziata; venne anche stabilito che, in occasione di questa festa, tutta la popolazione si recasse in processione alla cappella di San Giuseppe allo scopo di «conservare e liberare da ogni male e particolarmente dalla guerra la Serenissima Repubblica di Genova». Nella successiva seduta del 6 aprile 1625 lo stesso Consiglio, per reperire del denaro, propose di tassare le persone secondo il censo, ma siccome questo provvedimento non ottenne i risultati sperati, il Priore degli Anziani ribadì con un'altra delibera, emanata il 13 aprile, che era assolutamente improrogabile prelevare del denaro per sovvenzionare le spese di guerra. Le autorità comunali sanremesi si rivolsero anche al governo genovese per ottenere dei fondi, che tuttavia non furono corrisposti per la precaria situazione economica e finanziaria della capitale. Il 17 aprile il Consiglio inviò una lettera ai capitani Francesco Galliani, Giannettino Saria e Gio Manara, dislocati a Castelvittorio, per tranquillizzare i difensori del borgo della Val Nervia che le forze piemontesi non erano così tante come si credeva e che anzi parte delle truppe nemiche si erano già ritirate. Il giorno successivo venne emanata un'ordinanza comunale con cui venivano richiamati a Sanremo i 25 soldati (12 moschettieri, 12 archibugieri e un caporale) che erano stati richiesti dalle autorità di Taggia, per la paura di una probabile incursione nel territorio sanremese dell'esercito piemontese che, secondo le allarmanti notizie giunte a Sanremo, aveva occupato il castello di Penna, mentre in realtà questo castello sarebbe caduto in mano nemica soltanto nel mese di luglio. Sempre il 18 aprile le autorità sanremesi decretarono l'immediata espulsione dei savoini, che avevano due giorni di tempo per lasciare la città, pena due anni di prigione per chi non avesse ubbidito. Le stesse autorità mandarono contemporaneamente una lettera al Senato genovese per lamentarsi dell'arrivo a Sanremo del capitano Nicolò Al'Oisin, che, su ordine dello stesso consesso, aveva abbandonato la strategica postazione di Triora per trasferirsi con le sue truppe a Savona.

Contemporaneamente circa duecento soldati partirono da Sanremo per dare manforte alle truppe genovesi dislocate a Castelvittorio, che era stata nuovamente minacciata di aggressione dalla vicina Pigna, lasciando però la città completamente sguarnita, in quanto i pochi soldati rimastivi non bastavano certamente a difenderla adeguatamente da eventuali attacchi nemici, nonostante la presenza di trincee e il recente rafforzamento di muraglie e baluardi. Il 20 aprile il Consiglio Comunale di Sanremo emanò inoltre un'ordinanza che vietava alle persone di circolare in compagnia di gente armata, a meno che non si trattasse del servizio di ronda. Questa grida stabiliva anche che i forestieri di passaggio a Sanremo potevano comprare quello che desideravano nei negozi della città, tranne che alcuni articoli particolari quali polveri, micce, pane e vino. L'ordinanza prevedeva infine l'acquisto di quattro tamburi e l'assunzione di un tamburinero. Alla grida era poi allegata una lettera con la quale le autorità sanremesi si lamentavano della recente occupazione da parte delle truppe savoine del paese di Baiardo, del quale si profilava inderogabile l'immediata riconquista per esigenze di carattere prettamente strategico; venne quindi ordinata una leva di 600 uomini, che si sarebbero aggiunti ai 400 necessari per affrontare le forze nemiche che minacciavano Ceriana e Castelvittorio. Fu anche deciso di inviare una lettera al maestro di campo generale di Genova Gio Girolamo Doria per informarlo sulla situazione militare e chiedergli di inviare nella zona due compagnie di soldati per collocarli nella proprie fortificazioni. Venne anche prospettata la possibilità di prelevare le artiglierie delle fortificazioni di Arma di Taggia, San Lorenzo, Santo Stefano e Riva di Taggia per sistemarle nelle difese di Sanremo, dal momento che tali paesi erano scarsamente abitati e potevano essere facilmente espugnati dal nemico, rendendo così più utile una collocazione dei loro cannoni a difesa del borgo matuziano.

Il 4 maggio giunse a Sanremo la notizia che il nemico aveva preso Baiardo e che gli abitanti di Ceriana avevano deciso di sottomettersi ai Savoia. Le autorità sanremesi inviarono allora una compagnia di 50 soldati a Ceriana con l'obiettivo di ricondurre il paese all'obbedienza. I militi di Sanremo si videro però respinti dalla popolazione ostile tanto che il comandante della colonna Honorato Palamari ordinò ai suoi uomini di ritornare indietro. Vista la situazione, fu deciso alla fine di usare la forza e vennero inviati a Ceriana 250 soldati, che, anche per prevenire un attacco del nemico che si trovava nella vicina Pigna, assalirono il paese ingaggiando un duro scontro con i Cerianesi, conclusosi con parecchi morti e feriti da ambo le parti. Dopo aver fatto alcuni prigionieri e prelevato un certo numero di armi, i Sanremesi decisero di rientrare a Sanremo, considerato anche il fatto che il nemico stava pericolosamente avvicinandosi. Secondo un'altra versione della vicenda, i soldati sanremesi avrebbero invece trovato Ceriana già sgombra dalle forze savoine e si sarebbero quindi dati ad un feroce saccheggio per punire i Cerianesi di non aver restitito ai Savoini. La spedizione di Ceriana venne comunque deprecata dal capitano genovese Francesco Galiano, che propose al Senato della Repubblica di imporre ai Sanremesi la consegna della roba depredata a Ceriana. La proposta di Galiano incontrò però la ferma opposizione dei consiglieri sanremesi, i quali sostenevano che il popolo di Ceriana era stato punito per essersi ribellato alle autorità genovesi. Nel rapporto inviato al Senato il 6 maggio le autorità di Sanremo comunicavano quindi a quelle genovesi di aver licenziato il capitano Galiano perché aveva troppe pretese, e chiedevano nello stesso tempo il permesso di lasciare in servizio a Sanremo 25 soldati corsi e di dare al giurisdicente i poteri per mantenere l'ordine pubblico in tempo di guerra; il rapporto si concludeva con una lamentela relativa alle difficoltà e resistenze frapposte dagli abitanti di Santo Stefano, Riva di Taggia e San Lorenzo alla consegna delle loro artiglierie alla città di Sanremo. Il 7 maggio infine il Consiglio Comunale emanò un'ordinanza in cui si invitavano tutti coloro che avessero preso della roba a Ceriana, nel territorio di Bussana o in quello sanremese, a denunciare alla giustizia entro ventiquattr'ore tutto quello che era stato prelevato in tali località, notificando all'autorità giudiziaria anche l'identità di quelle persone che avevano comprato le suddette cose o animali. Due giorni dopo lo stesso Consiglio deliberò che tutti i Cerianesi che si trovavano in città dovevano partire subito, tranne quelli che possedevano uno speciale permesso del podestà, sotto la pena di due tratti di corda per gli uomini e di un giorno alla berlina per le donne. Venne anche stabilito che nessuno avrebbe potuto molestare cittadini francesi che fossero giunti nel porto di Sanremo per vendere grano o altre vettovaglie, ai quali si doveva anzi concedere il passaporto franco per l'espletamento delle loro attività commerciali.

Nel frattempo le truppe franco-piemontesi stavano ormai per raggiungere anche Taggia e Sanremo, dove, tra il 13 e il 15 maggio, furono emanate varie disposizioni per organizzare la difesa cittadina contro il nemico. Le autorità comunali sanremesi chiesero al Senato di Genova almeno 1.000 soldati per garantire una valida difesa della città, concedendo nello stesso tempo a donne e bambini di trasferirsi in luoghi sicuri e proibendo a tutti gli uomini giovani in grado di combattere di allontanarsi sotto la pena di morte e il sequestro dei beni. Il 16 maggio il Senato genovese, constatata l'impossibilità di difendere i suoi domini nell'estremo Ponente, sciolse Sanremo dal giuramento di fedeltà alla Repubblica. Il giorno successivo il Consiglio Comunale decretò la resa della città al principe Vittorio Amedeo, mentre il 18 maggio lo stesso organo elesse quattro provveditori incaricati di andare incontro al principe per chiedere clemenza e di curare il ricevimento e gli addobbi delle vie in occasione dell'entrata in città dei Franco-piemontesi. Vittorio Amedeo, che era al corrente della particolare considerazione in cui i Sanremesi tenevano la casa dei Savoia, si comportò benevolmente con la città, che, a differenza di numerose località limitrofe, non subì alcun tipo di saccheggio, violenza o rappresaglia. Secondo alcuni storici, le truppe piemontesi, al loro arrivo a Sanremo, furono accolte festosamente dalla popolazione, mentre il principe intimò alle sue truppe di astenersi da qualsiasi azione di danneggiamento delle campagne circostanti. Con due successivi decreti del 19 e 24 maggio, Vittorio Amedeo pervenne ad un accordo con la comunità sanremese su alcune rilevanti agevolazioni commerciali quali il trasporto di grano, bestiame e mercanzie varie in Piemonte e in Provenza senza dover espletare formalità doganali e pagare il pedaggio, oltre all'esercizio delle attività commerciali con i Genovesi, che, oltre ad avvantaggiare l'economia locale, avrebbero assicurato un nuovo e importante sbocco al mare ai domini sabaudi. Nei due mesi di occupazione savoina gli abitanti di Sanremo dovettero comunque affrontare anche una serie di difficoltà economiche e sociali, puntualmente rilevate dalle deliberazioni delle autorità comunali. Il 10 giugno giunse a Sanremo il nuovo podestà, il nizzardo Domenico Costantini, che giurò di osservare lealmente gli Statuti e le convenzioni cittadine.

Il 20 luglio 1625 si diffuse in città la notizia che i Genovesi avevano raggiunto Diano e stavano dirigendosi verso Ponente. La popolazione espresse allora con manifestazioni di giubilo la sua volontà di riunirsi alla Repubblica. La stessa notte del 20 luglio, il podestà Costantini, temendo per la propria vita, chiese aiuto al Consiglio Comunale, che accolse la richiesta facendo porre alcune guardie alle porte del palazzo comunale. Il giorno dopo furono issate le bandiere genovesi sui baluardi e nel castello, segno che i Piemontesi si erano già ritirati da Sanremo. Il Parlamento si riunì nella chiesa di San Siro per emanare una solenne deliberazione con la quale si ribadiva la fedeltà della città alla Repubblica di Genova. Il podestà Costantini ebbe salva la vita e fu accompagnato da 25 soldati a Bordighera, che era ancora in mano ai Piemontesi. Il 23 luglio Taggia e Triora chiesero uomini e mezzi alle autorità sanremesi, che però si rifiutarono di mandarglieli per il pericolo di uno sbarco di galee francesi e di un possibile attacco dei Savoini, ancora attestati a Castelvittorio e a Baiardo. Pochi giorni dopo il commissario di Taggia avvertì il Consiglio Comunale di Sanremo di aver saputo da alcune persone fidate che a Sospello erano concentrati 5.000 soldati franco-piemontesi, che, al comando di Monsù Gilletta, si apprestavano a dirigersi sulle località rivierasche per poi ricongiungersi alle forze del Principe di Savoia, il quale, sempre a detta di diversi informatori, stava scendendo da Pieve di Teco al comando di 7.000 fanti. La notizia, anche se non poteva essere provata, destò comunque grande apprensione in città, tanto che il Comune decise di chiedere a Porto Maurizio di inviare un esperto militare a Sanremo per eventuali consigli nel caso si profilasse nuovamente un attacco nemico. Il 3 agosto le autorità sanremesi vennero a sapere da alcune voci provenienti da Ventimiglia, ancora occupata dalle truppe franco-piemontesi, che esisteva il pericolo di un attacco via mare dei Francesi, tanto che venne proibito a tutti i cittadini di partire da Sanremo, mentre gli abitanti del Poggio e della Colla avrebbero dovuto ritirarsi entro le mura durante le ore notturne portandosi dietro le vettovaglie, con la sola esclusione degli addetti ai mulini e dei contadini che irrigavano i campi per evitare in particolare che venissero abbandonate le coltivazioni degli agrumi. La situazione a Sanremo era allora piuttosto critica per la minaccia di un attacco francese dal mare, oltreché per il fatto che le forze genovesi, pur avendo riconquistato Oneglia e Porto Maurizio, avevano dovuto convergere a nord di Sanremo, lasciando di fatto la città indifesa dal lato di monte Bignone e dal mare, dove peraltro si trovavano il castello della Madonna della Costa e il baluardo della Marina. A parziale copertura delle frontiere terrestri, le autorità sanremesi decisero di inviare compagnie di soldati sia a Bordighera che a Castelvittorio, donde proveniva il pericolo maggiore. Il 14 agosto le compagnie sanremesi, partite poco prima alla volta di Ventimiglia, riconquistarono la piazzaforte di Bordighera, dove venne stanziato un contingente di 500 uomini. Una settimana dopo il Comune di Sanremo mandò 150 soldati a Triora, ancora occupata dalle truppe piemontesi. Il 24 agosto giunse infine a Sanremo il nuovo podestà Ottavio Rosso scortato dalle truppe genovesi al comando del generale barone di Vatteville, che lasciò però liberi i suoi soldati di saccheggiare le campagne e perfino di maltrattare gli abitanti, molti dei quali si rivolsero allora alle competenti autorità per denunciare i soprusi e le violenze subite dai militari genovesi. Nel frattempo le forze franco-piemontesi iniziarono un graduale ritiro dalle loro postazioni rivierasche, poi riconquistate nei mesi successivi dalle forze armate della Repubblica. La momentanea interruzione delle ostilità venne quindi sancita dalla decisione, assunta unilateralmente dal duca di Savoia nel marzo 1628, di sospendere le operazioni militari, che vennero però nuovamente riprese nel 1672 in occasione di un secondo conflitto che si protrasse fino al gennaio 1673, quando venne stipulata una pace tra Genova e i Savoia che lasciò peraltro praticamente invariata la situazione territoriale e militare dei due paesi confinanti.


Dott. Andrea Gandolfo - Sanremo".

C.S.

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