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Economia | 28 ottobre 2019, 06:55

Cinquant’anni fa, la luna: tra sogni, canzoni, nostalgia e ambizioni di supremazia tecnologica

Donald Trump vuole riportare gli astronauti sulla Luna entro il 2024

Cinquant’anni fa, la luna: tra sogni, canzoni, nostalgia e ambizioni di supremazia tecnologica

Il 2019 che va a concludersi è stato un anno contraddistinto da tanti importanti anniversari: i 50 anni di Woodstock (l’evento descritto come “Tre giorni di pace, amore e musica”), i 50 anni dallo sbarco del primo uomo sulla Luna e possiamo fare rientrare tra questi traguardi anche un “quasi anniversario” del Festival di Sanremo, l’evento italiano seguito in Eurovisione e più amato nel mondo che si accinge a festeggiare, il prossimo febbraio, il suo 70° compleanno.

Ma esiste un “fil rouge” che colleghi tutte queste cose? Certamente sì, basti pensare a quante canzoni nella storia sono state scritte per la Luna, satellite luminoso e cangiante al quale sono stati affibbiati innumerevoli significati diversi: entità portatrice d’amore, di romanticismo ma anche di umore volubile.

“Guarda che luna, guarda che mare”, cantava Fred Buscaglione alla sua amata per raccontarle la sua passione; “Luna non mostri solamente la tua parte migliore”, diceva invece un disilluso Gianni Togni a una ragazza un po’ troppo schizzinosa. “Io vengo dalla Luna” era la frase che usava Caparezza per descriversi come “alieno” in una società che non lo rappresenta, con un testo pungente e dal forte contenuto politico di quelli che solo lui, oggi, in Italia sa scrivere.

Luna e metafora politica anche nell’album dei Pink Floyd “The dark side of the moon”, uno tra gli album più venduti al mondo, ancora in classifica oggi dopo 46 anni, un’opera concettuale dedicata alle contraddizioni di oggi, che suona ancora attuale come appena uscito, nei testi e nelle musiche. I Genesis usavano invece il termine “Mad man moon” per descrivere, in una loro canzone, un individuo che in italiano definiremmo un po’ troppo lunatico.

La luna, poi, è stata cantata di tutti i colori possibili: per The Marcels, formazione vocale di musica soul, era “Blue Moon”, per il bluesman John Hiatt, affiancato dai Neville Brothers, era “Yellow Moon”, per il trio di rock progressivo sinfonico Emerson Lake & Palmer era “Black Moon” mentre, tornando in Italia, due antiche canzoni popolari si intitolavano “Luna rossa” e “Luna d’argento”.

Ma se i poeti hanno voluto infondere nella Luna tutta questa poesia, per il governo statunitense del 1969 la Luna era solo un ammasso roccioso da colonizzare per dimostrare la propria supremazia politica, economica, militare e tecnologica a qualsiasi potenziale nemico (uno su tutti: l’Unione Sovietica, con tutti i Paesi dell’Est Europeo ancorati ad essa dal Patto di Varsavia).

Non è un caso se oggi sul blog L’Insider si legge che Donald Trump vuole riportare gli astronauti sulla Luna entro il 2024: anche in questo caso, esattamente come allora, in un periodo storico fatto di equilibri altamente instabili sotto tanti punti di vista a livello mondiale, un gesto di questo tipo avrebbe un forte significato evocativo. Infonderebbe sicurezza nel popolo statunitense e timore in qualsiasi suo eventuale avversario.


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