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Ventimiglia Vallecrosia Bordighera | 02 luglio 2016, 06:00

Il potere direttivo: scopriamo cosa vuol dire e sin dove si può esercitare

Si tratta, in termini molto generali, di un’espressione della capacità riconosciuta all’imprenditore di gestire i fattori principali della produzione

Il potere direttivo: scopriamo cosa vuol dire e sin dove si può esercitare

Oggi proseguiamo la nostra esplorazione delle vicende interne al rapporto di lavoro parlando di uno degli elementi più importanti che lo caratterizzano: il potere direttivo.
Si tratta, in termini molto generali, di un’espressione della capacità riconosciuta all’imprenditore di gestire i fattori principali della produzione.
Ovviamente la forza lavoro, intesa anch’essa come componente della organizzazione all’interno dell’impresa, deve essere utilizzata in modo speciale, ed è su questo che oggi ci interrogheremo.
In linea generale, il potere direttivo del datore di lavoro trova i propri fondamenti giuridici nel Codice Civile.
Ad esempio dalla lettura combinata degli Artt. 2086 e 2094, si delinea la struttura gerarchica dell’impresa, che vede ovviamente al vertice l’imprenditore, alle cui dipendenze possono esistere vari livelli di collaboratori, a seconda dei ruoli assegnati. In linea di principio la posizione del lavoratore, secondo l’art 2094, è quella di un soggetto che “si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore”.
Tutto l’impianto normativo descritto si completa con l’art 2104 Cod. Civ. che al comma II specifica il dovere di obbedienza , inteso come il compito del lavoratore di “osservare le disposizioni per l'esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall'imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende”.
Quindi, per sintetizzare molto banalmente, il datore di lavoro deve avere la possibilità di definire:
come (es. Assegnazione delle mansioni);
dove (es. Trasferimenti);
quando (es. Gestione orari di lavoro) il lavoratore deve svolgere la propria prestazione.
Dopo questa prima infarinatura risulta facile capire che il contratto di lavoro ha al suo interno un’anima autoritativa. Effettivamente questo elemento lo differenzia molto da altri tipi di contratto del diritto civile (vendita, locazione), i quali comunque possono riconoscere alcuni poteri ad una delle parti ma senza mai spingersi ad uno “squilibrio” del genere.
Come sempre si tratta di bilanciare due legittimi interessi, cioè quello del datore di lavoro di ricevere una prestazione che sia compatibile con la propria realtà organizzativa (in questo caso predominante), con quello del lavoratore di non essere completamente in balia della discrezionalità dell’imprenditore.
In particolare i limiti al potere direttivo provengono da due diversi sistemi: quello della legge e quello dei contratti collettivi.
Un primo grande riferimento per tutelare il lavoratore da un possibile esercizio illecito del potere direttivo è rappresentato dall’art 15 della legge n.300/1970 (Statuto dei lavoratori).
La disposizione richiamata contiene il divieto di atti discriminatori, col quale si impone la nullità di qualsiasi atto o patto diretto a danneggiare il lavoratore per motivazioni politiche, sindacali, linguistiche, religiose;  ma anche per condizioni di salute (es. Disabilità), convinzioni personali, orientamenti sessuali ecc ecc.
Un altro possibile argine per limitare un uso irresponsabile dei poteri del datore di lavoro è rappresentato dal divieto di indagini sulle opinioni, di cui all’art 8 L. 300/1970. La norma in esame, da noi già studiata, è utilizzata per impedire che il datore di lavoro compia atti diretti a conoscere elementi personali del lavoratore che nulla avrebbero a che vedere con la sua professionalità e dei quali si potrebbe fare un uso improprio.
Il rigore di questo divieto viene ripreso anche dal D.lgs. n.196/2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali) che contiene disposizioni molto stringenti in particolare sulla diffusione dei dati sensibili. Del resto. anche il trattamento incauto di informazioni molto personali dei lavoratori potrebbe esporli nuovamente a dei rischi, amplificati dalla posizione di soggezione alla autorità dell’imprenditore. A tal proposito, per il trattamento di dati del genere la legge impone sia il rilascio di accettazione scritta del lavoratore, sia il parere favorevole del Garante per la protezione dei dati personali.
Un  ultimo criterio per analizzare l’esercizio del potere direttivo, ed eventualmente per individuarne i limiti, è quello del ricorso ai principi di buona fede e correttezza.
Questi due capisaldi del diritto dei contratti, data la loro elasticità, sono utili per arrivare a colmare i limiti di previsione della stessa legge, rispetto alla situazione concreta.
In particolare i criteri sopraindicati possono essere utili per contrastare quegli episodi nei quali l’esercizio dei poteri riconosciuti all’imprenditore viene realizzato in modo irrazionale, arbitrario, non coerente con la produzione, pur non violando espressamente nessuna delle norme di legge da noi evocate nelle righe precedenti. In termini più generici, si vorrebbe impedire di utilizzare la forza riconosciuta dall’ordinamento al datore di lavoro in modo contrario rispetto alle logiche ispiratrici, strettamente collegate alla esigenza di una migliore gestione dei rapporti di lavoro.
Per quanto riguarda il contratto collettivo, questi esercita la propria influenza in modo molto vario, ma generalmente le clausole che contiene sono finalizzate a imporre vincoli di carattere più procedimentale al potere direttivo.
Dopo il quadro d’insieme fornito oggi, i successivi appuntamenti si concentreranno su come l’imprenditore gestisca nei casi concreti le varie forme di espressione del proprio potere, a cominciare dalla assegnazione delle mansioni.

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