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Al Direttore | 24 maggio 2020, 11:34

Il Fuoco di Sant'Antonio e la missione terapeutica dei monaci antoniani nell'estremo Ponente ligure tra il XIII e il XIV secolo

Un altro interessante pezzo di storia raccontato dal nostro lettore Pierluigi

Il Fuoco di Sant'Antonio e la missione terapeutica dei monaci antoniani nell'estremo Ponente ligure tra il XIII e il XIV secolo

“L'ergotismo o fuoco di Sant'Antonio nel XIII-XIV secolo era assai temuto. Il male, pare dipendesse da un'alimentazione di farina di segale e di sorgo contaminata dal fungo simulante della Claviceps Purpurea. Le manifestazioni dell'ergotismo erano così gravi da spaventare chiunque. Serpeggiava una paura incontrollata per gli effetti di tale malattia sul corpo e sulla psiche. Anche questo tipo di morbo, del resto, si intrecciava con i rapporti tra autorità civile e autorità religiosa, con le credenze popolari, le superstizioni e le diverse strumentalizzazioni.

Le relative vicende si svolgevano sullo sfondo della grande storia, alle cui tragedie nessuno poteva sottrarsi. E il tutto mentre si affacciava progressivamente l'esigenza di una normativa pubblica anche in materia sanitaria affidata ad uno specifico ufficio, ad una burocrazia per applicarla, a sbirri destinati a verificarne il rispetto, a risorse finanziarie per pagare funzionari, medici e gendarmi, al perfezionamento di una azione di controllo regolato delle sepolture, dei Lazzaretti, dei porti di sbarco, delle merci di importazione, dei confini statali. Fu anche intorno alle epidemie e alle diverse calamità igienicosanitarie che si andarono creando e organizzando le strutture amministrative degli stati moderni.

Il sistema sanitario genovese, soprattutto quando divenne uniforme su tutto il territorio ligure, colse dei successi impensati fino ad allora, unitamente alla consapevolezza di potersi liberare dalle malattie con idonee terapie e non con improvvisati antidoti. Da sviluppi del genere fu segnata specialmentr la Liguria occidentale. Per tornare al fuoco di Sant'Antonio, in periodi precedenti alla seria affermazione di un sistema sanitario pubblico, nell'estremo ponente ligure si rivelò comunque di grande ausilio la presenza dei monaci antoniani. Tale presenza coincise nel XIV-XV secolo con l'evoluzione colturale della segale, poi colpita dalla parassitosi dell'ergot, e della conseguente degenerazione della segale cornuta (XIII-XIV secolo), ritenuta erroneamente collegata alla rafanosi.

I monaci antoniani, perché preposti principalmente alla cura del "male ardente" rispetto ad altri religiosi, ricorrevano a metodi invero piuttosto moderni per alleviare o guarire le dermatiti o dermatosi connesse all'egotismo, prescrivendo l'immersione nelle acque termali terapeutiche del Lago Pigo presso Pigna e in Val Nervia o presso altre fonti di acque soflorose, dove recarsi per purificarsi, come quelle della Madonna della Rota tra Ospedaletti e Bordighera. I frati utilizzavano pure unguenti di grasso suino che ricavavano dalle mandrie dei loro maiali, che erano liberi di tenere e condurre, segnati, com'erano, con il tau antoniano e con un orecchio mozzato. La congregazio… ne finiva così, data l'opera benemerita, per godere di molti privilegi accordati dalla nobiltà locale, presso la quale i monaci trovavano notevole considerazione. Si ricordi, in proposito, che la stessa Chiesa parrocchiale di Dolceacqua trova le proprie origini in una precedente cappella feudale legata al culto di Sant'Antonio e che i Conti di Ventimiglia avevano nel proprio stemma araldico la consacrazione antoniana alla lotta all'ergot.

Pierluigi Casalino”.

Redazione

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