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Al Direttore | 02 ottobre 2016, 09:37

Cessione della Savoia alla Francia nel 1860, il racconto dello storico matuziano Andrea Gandolfo

"Le vicende savoiarde e, in particolare, quelle dei rapporti del governo sardo con la Confederazione elvetica, sono meno conosciute e meritano di essere rese note al grande pubblico”

Cessione della Savoia alla Francia nel 1860, il racconto dello storico matuziano Andrea Gandolfo

Lo storico Andrea Gandolfo, dopo aver già parlato qualche mese fa sulla cessione di Nizza alla Francia nel 1860, invia ora un pezzo sullo stesso argomento, ma da una visuale diversa: quella della Savoia. “Se, infatti, le vicende del Nizzardo sono ampiamente note, quelle savoiarde e, in particolare, quelle dei rapporti del governo sardo con la Confederazione elvetica, sono meno conosciute e penso che meritino di essere rese note al grande pubblico”.

Ecco, dunque, il suo racconto della cessione della Savoia alla Francia nel 1860:

"Nell’ambito dei rapporti tra il Regno di Sardegna e il Secondo Impero francese nei mesi decisivi per il compimento dell’unità nazionale assume un particolare rilievo politico e diplomatico la questione della cessione alla Francia del circondario di Nizza e della Savoia. L’argomento era stato affrontato per la prima volta nel corso del convegno franco-piemontese di Plombières del 21 luglio 1858, quando Cavour e Napoleone III si accordarono sugli obiettivi della guerra contro l’Austria: creazione di un regno dell’Alta Italia fino all’Isonzo, con i ducati, le Legazioni e la Romagna sotto la corona di Vittorio Emanuele; costituzione di un regno dell’Italia centrale comprendente la Toscana e i restanti domini del papa, mentre Roma e il territorio circostante sarebbero rimasti al pontefice e il regno di Napoli avrebbe conservato i suoi confini. Le richieste francesi avanzate a Plombières sarebbero state quindi formalizzate nel trattato di alleanza tra Francia e Regno di Sardegna siglato a Parigi il 26 gennaio 1859 da Napoleone III e dal suo ministro degli esteri Walewski, e il 28 o 29 gennaio a Torino da Vittorio Emanuele II e Cavour. In seguito all’armistizio di Villafranca, stipulato l’11 luglio 1859 con l’imperatore austriaco Francesco Giuseppe, Napoleone aveva tuttavia rinunciato alla Savoia, dopo aver constatato che gli scopi della guerra comune a fianco del Piemonte stabiliti l’anno prima con Cavour a Plombières, non potevano più essere raggiunti. Dopo Villafranca l’imperatore francese sembrava tuttavia orientato a disinteressarsi a Nizza e alla Savoia, concentrandosi sul problema del pagamento delle spese di guerra alla Francia da parte del Regno di Sardegna. Pochi mesi dopo, però, Napoleone cominciò a mostrare un atteggiamento decisamente più favorevole all’annessione delle due province, come evidenziato da alcune lettere inviate dall’imperatore al suo vecchio amico Francesco Arese ai primi di ottobre del 1859, in cui ebbe a lamentarsi per i modi particolarmente duri con cui il governo sardo conduceva la repressione contro la stampa savoiarda che chiedeva l’annessione della regione alla Francia. Frattanto, il 25 luglio 1859, una trentina di notabili savoiardi, capeggiati da Gaspard Dénarié e Charles Bertier, caporedattore del giornale conservatore «Courrier des Alpes», inviarono un messaggio a Vittorio Emanuele per esortarlo a tutelare gli interessi della Savoia, che, per storia, lingua e tradizioni, non poteva unirsi al processo risorgimentale italiano.

Nell’agosto 1859 Cavour, che si trovava in Svizzera, rientrò a Torino passando per la Savoia. Ne approfittò quindi per incontrarvi alcune autorità, tra le quali l’intendente generale Pietro Magenta e gli antiannessionisti François Buloz e il liberale Albert Blanc. Tra il dicembre 1859 e il gennaio 1860 il governo francese inviò invece in Savoia degli agenti segreti per sondare l’opinione pubblica locale in merito al progetto di riunione del ducato alla Francia. Dalle indagini effettuate emerse come il governo piemontese fosse piuttosto malvisto, in modo particolare dalla classe dirigente e dal clero, mentre l’ipotesi dell’annessione alla Francia, nazione considerata più prospera e potente, era ritenuta una grande opportunità da parte della maggioranza della popolazione. Della questione della Savoia aveva anche accennato Walewski in un colloquio con l’ambasciatore inglese a Parigi, Lord Cowley, verso la fine di settembre del 1859; il mese dopo Napoleone discusse della cessione con il ministro degli esteri piemontese Dabormida, proponendola come alternativa al pagamento delle spese di guerra, mentre in dicembre l’ambasciatore francese a Londra Persigny propose al governo britannico di avanzare un progetto per la soluzione della vertenza, come prova concreta del rinnovato clima di collaborazione tra i due paesi. Nello stesso tempo Napoleone si era ormai convinto che un congresso internazionale delle potenze, in gran parte ostili o diffidenti verso la Francia, non fosse più lo strumento migliore per sancire l’annessione delle due province. La convocazione dell’assise venne così rinviata sine die il 3 gennaio 1860 da Walewski, anche in seguito alle aspre polemiche suscitate dall’opuscolo Le Pape et le Congrès, ispirato dalle Tuilieres e uscito a Parigi il 22 dicembre dell’anno precedente.

Nel gennaio 1860 era frattanto tornato alla guida del governo sardo Cavour, ormai persuaso che i tempi per l’annessione al Piemonte dell’Italia centrale fossero diventati maturi, a patto, però, che tale operazione fosse accompagnata dalla contemporanea cessione alla Francia di Nizza e della Savoia[6]. Del resto, alcune recenti dichiarazioni dell’imperatore e una vivace campagna della stampa francese, orchestrata ad arte dal governo, non lasciavano dubbi sull’esplicita volontà di Parigi di annettersi le due province. Cavour, peraltro, era anche perfettamente consapevole del fatto che la cessione di Nizza e della Savoia non piacesse per nulla al governo di Londra, e tanto meno a quello di Berlino e agli altri governi tedeschi, preoccupati di possibili mire napoleoniche ai “confini naturali” della Francia verso le Alpi e il Reno, ma si rendeva pure conto che non si sarebbe potuto ragionevolmente ottenere l’annessione dell’Italia centrale senza dare ampia soddisfazione alle richieste francesi. Nessuna potenza avrebbe infatti sostenuto una simile politica: l’accordo austro-francese, che Napoleone aveva fatto saltare con la pubblicazione dell’opuscolo alla fine di dicembre del 1859, si sarebbe quasi certamente ristabilito se il governo sardo si fosse irrigidito sulla questione di Nizza e della Savoia, e in questo modo sarebbe anche naufragata definitivamente la possibilità di annettersi pacificamente l’Emilia e la Toscana.

La cessione di Nizza e della Savoia rappresentava dunque una conseguenza logica della linea politica adottata da Cavour a partire dal convegno di Plombières, che si basava sulla stretta alleanza tra il Regno di Sardegna e la Francia bonapartista. Tale politica, interrotta dalla pace di Villafranca, poteva essere proficuamente ripresa dopo la crisi determinata dall’uscita dell’opuscolo Le Pape et le Congrès. Per il primo ministro sardo non sussisteva infatti più alcun dubbio sull’inderogabile necessità della cessione, e l’unico problema rimaneva da risolvere era quello di scegliere il modo e il momento più adatti per procedere alla realizzazione dei suoi piani. Ai primi di gennaio del 1860 si era anche diffusa presso le cancellerie delle capitali europee la notizia della probabile cessione della Savoia alla Francia, suscitando una viva preoccupazione da parte di tutte le diplomazie, tra cui in particolare quella inglese, che temeva un ulteriore ingrandimento territoriale della potente rivale, e quella della Confederazione elvetica, che sperava invece di approfittare della situazione per allargare i suoi confini a spese di uno dei paesi vicini.

Proprio sulla questione della Savoia, il ministro sardo Massimo d’Azeglio, in visita a Londra, riferì a Cavour il 17 gennaio per ragguagliarlo in particolare sul contenuto di un colloquio sul tema svoltosi poco prima tra l’ambasciatore Persigny e Lord Palmerston. Sul problema della Savoia Cavour tornò anche in una lettera inviata il 4 febbraio al marchese Pepoli, che era allora a Parigi presso la corte imperiale. Il 27 gennaio Napoleone aveva intanto proposto a Vittorio Emanuele una soluzione del problema consistente nell’accettazione del titolo di vicario del pontefice per le Romagne da parte del sovrano sabaudo e nell’autorizzazione francese allo svolgimento dei plebisciti in Toscana, in cambio di analoga concessione, da parte piemontese, di quelli previsti a Nizza e in Savoia. Il re e Cavour erano orientati ad accettare le proposte imperiali in quanto erano convinti che se si fossero consultate le popolazioni dell’Italia centrale e di Nizza, il risultato sarebbe stato molto probabilmente favorevole al Piemonte, mentre nutrivano molti dubbi che ciò si sarebbe verificato in Savoia. Napoleone non aveva tuttavia accennato alla questione di Nizza e della Savoia perché in quella fase varie potenze europee, tra cui l’Inghilterra, la Prussia, la Russia, e soprattutto l’Austria, si erano nettamente schierate contro la cessione alla Francia delle due province. Mentre la cessione di Nizza e della Savoia veniva trattata con grande rilievo sulla stampa francese, Cavour manifestò all’inviato dell’imperatore Thouvenel la sua disponibilità ad accettare che gli abitanti interessati al voto potessero esprimere liberamente la loro volontà, senza tuttavia menzionare il principio di nazionalità. Thouvenel si dichiarò disposto ad accettare le proposte del governo sardo per la «formazione di un regno d’Italia di circa undici milioni di anime», pur pregando il primo ministro piemontese di ritardare il voto toscano per consentire al suo governo di ottenere una serie di chiarimenti sulla questione in sede internazionale e chiedendo l’invio di Nigra a Parigi per trattare direttamente con il diplomatico torinese gli affari più delicati di politica estera che da allora in poi avrebbero interessato i due governi. Le dichiarazioni dell’inviato francese suscitarono una buona impressione su Cavour, che manifestò la sua volontà di assecondarle, non nascondendo tuttavia una certa perplessità sul fatto che le richieste francesi si sarebbero limitate alle prime proposte. Il 3 febbraio anche Vittorio Emanuele rispose a Napoleone assicurandogli che il suo governo avrebbe garantito la libera manifestazione del voto a Nizza e in Savoia e comunicandogli che il conte Arese si sarebbe recato il prima possibile presso la corte imperiale per rispondere a quanto aveva chiesto nella sua lettera. La missione di Arese, nelle intenzioni del governo sardo, avrebbe quindi dovuto conseguire un duplice obiettivo: ottenere dall’imperatore il riconoscimento delle annessioni di Emilia e Toscana al Piemonte e limitare alla sola Savoia le cessioni di territorio sardo alla Francia. Il difficile compito sarebbe stato assolto solo in parte, grazie anche all’aiuto determinante di Nigra, che, come già accennato, era stato inviato nella capitale francese per assumere la guida della legazione piemontese in sostituzione di Luigi Des Ambrois De Nevache. Nel frattempo Cavour aveva incaricato il conte Arese di trattare la cessione della Savoia alla Francia direttamente con Napoleone III. Il 2 marzo il governo sardo trasmise al Nigra a Parigi, affinché lo passasse all’imperatore, il testo di una petizione, firmata da 13.651 abitanti di 60 comuni del Faucigny, 23 dello Chablais e 13 dei dintorni di Saint-Julien-en-Genevois, contro qualsiasi smembramento della Savoia a favore della Confederazione elvetica. L’iniziativa era comunque destinata a esaurirsi rapidamente. Qualche giornale estero ne diffuse tuttavia la notizia. «Le Journal de Genève» pubblicò la petizione, il quotidiano parigino «La Patrie» partecipò anch’esso al dibattito rendendo nota una mozione sottoscritta dagli abitanti del nord del ducato. Il 20 luglio la Dieta elvetica avrebbe deciso di non prendere in considerazione la richiesta avanzata dai comuni savoiardi. La reazione dei conservatori per il mantenimento dell’unità della Savoia si concretizzò allora in un richiamo alla dominazione bernese della regione risalente al XVI secolo, che venne pubblicato su alcuni giornali locali. Il 26 febbraio il governo imperiale aveva peraltro già manifestato l’intenzione di rinunciare all’idea di una Savoia indipendente, mentre l’8 marzo il Consiglio divisionario, riunito a Chambéry, emise un voto a favore del mantenimento dell’unità della regione e contro l’ipotesi di una divisione della Savoia tra la Svizzera e la Francia. Il fatto che il governo francese non avesse nascosto alla Confederazione elvetica la sua intenzione di tener presente la volontà della popolazione savoiarda, emerge chiaramente anche da una nota inviata il 15 marzo a Nigra da Carutti di Cantogno.

Il 15 marzo l’ambasciatore svizzero a Parigi Johann Konrad Kern protestò vivacemente anche con il ministro degli Esteri francese Thouvenel per le minacce annessioniste manifestate dal governo imperiale nei confronti delle province dello Chablais e del Faucigny e del Ginevrino. Dalla nota di Kern appare chiaro come l’esecutivo elvetico avesse fatto i conti senza tenere presente che la Savoia rimaneva ancora sotto la piena e legittima sovranità del Regno di Sardegna. Il 21 marzo Cavour decise di rispondere al governo svizzero con un dispaccio trasmesso all’ambasciatore sardo Alessandro Jocteau, per fare appunto rilevare l’assurdità delle richieste di Berna. Dai primi di febbraio erano intanto cominciate a sorgere difficoltà anche sul piano internazionale. Thouvenel propose allora una conferenza europea sull’Italia una volta accertata l’inapplicabilità degli accordi di Zurigo, fatto che avrebbe però quasi certamente indotto le principali potenze continentali a rigettare la proposta avanzata dal governo francese. D’altronde le indiscrezioni trapelate su Nizza e la Savoia avevano suscitato presso l’opinione pubblica inglese accese reazioni, che avevano trovato eco anche nei dibattiti parlamentari allora in corso di svolgimento per la ratifica del trattato di commercio anglo-francese. Thouvenel pensò quindi di informare il governo britannico che trattative su Nizza e la Savoia erano già intercorse tra la Francia e il Piemonte l’anno precedente, senza avvisarne tuttavia Cavour, che invece, da parte sua, negò che tali trattative fossero avvenute, restando fedele al segreto diplomatico. Il presidente del consiglio sardo cominciò allora a essere oggetto di aspre critiche da parte di Londra per un suo presunto atteggiamento sleale verso il governo britannico, malgrado avesse tempestivamente informato l’ambasciatore inglese a Torino Hudson della sua disponibilità a consultare le popolazioni delle regioni in procinto di essere annesse alla Francia, e nonostante molti autorevoli membri della leadership britannica avessero già avuto notizia delle mire francesi da esponenti del governo di Parigi.

Il 31 gennaio il governatore di Chambéry Orso Serra aveva dovuto tranquillizzare una commissione di savoiardi contrari all’annessione alla Francia, con un comunicato ufficiale nel quale si dichiarava che il governo sardo non aveva mai pensato di cedere la Savoia alla Francia. Alcuni giorni più tardi alcuni savoiardi che non accettavano l’ipotesi cessionista rivolsero un appello al governo britannico affinché intervenisse in loro favore, mentre altri manifestarono per una Savoia indipendente, e altri ancora per un’unione della regione alla Svizzera. I giornali locali «La Gazette de la Savoie» e «Le Statut et la Savoie» continuavano intanto un’accesa campagna di stampa contro i giornali francesi che davano per imminente la cessione. Il 2 e 5 gennaio a Chambéry, il 13 febbraio ad Albertville e negli altri centri più importanti del ducato, si tennero inoltre diverse riunioni di cittadini per protestare contro la minacciata cessione della provincia alpestre.

Il 1° marzo Napoleone, nel corso di un discorso tenuto davanti al Corpo legislativo, rese note in forma ufficiale le intenzioni del suo governo in merito alla politica francese nei confronti del Piemonte lungo l’arco alpino, rivendicando apertamente «per la sicurezza delle nostre frontiere» i versanti francesi delle montagne. Per la prima volta la questione della cessione di Nizza e della Savoia veniva presentata solennemente all’opinione pubblica francese ed europea, imponendo all’imperatore stesso di concludere positivamente le trattative per non compromettere la sua immagine a livello internazionale. Ormai per Cavour non rimaneva altra scelta che chiedere al governo imperiale che le votazioni per l’eventuale annessione alla Francia in Savoia e nella Contea di Nizza venissero tenute con il sistema del suffragio universale. Il 1° marzo Farini e Ricasoli avevano intanto provveduto a far pubblicare in Emilia e in Toscana i decreti che indicevano per l’11 e il 12 marzo i plebisciti. Tutti i cittadini maschi, che avessero compiuto i ventun anni e godessero dei diritti civili, erano chiamati a esprimersi su una tra queste due alternative: “Annessione alla monarchia costituzionale del Re Vittorio Emanuele II” oppure “Regno separato”. Sia in Emilia che in Toscana i governi provvisori si attivarono immeditamente ed energicamente per assicurare il pieno successo all’imminente plebiscito. A Bologna e in Romagna la Società Nazionale, ricostituitasi in modo abbastanza efficiente, fornì un valido contributo all’opera propagandistica. Del resto, dato anche il carattere dittatoriale dei governi, mancò una vera e propria opposizione organizzata, mentre, negli otto mesi successivi a Villafranca, il sentimento unitario e annessionista si era ulteriormente rafforzato. I risultati confermarono ampiamente le previsioni della vigilia, superando addirittura le speranze degli stessi liberali. In Emilia su 526.218 iscritti i votanti furono 427.512 (81,1%), con 426.006 voti a favore dell’annessione, 756 per il regno separato e 750 nulli. In Toscana, su 534.000 iscritti, i votanti furono 386.445 (73,3%), di cui 366.571 favorevoli all’annessione, 14.925 per il regno separato e 4.949 nulli. I risultati del plebiscito dell’Emilia furono presentati solennemente al re il 18 marzo, quelli della Toscana il 22. Le due regioni furono quindi dichiarate parte integrante dello Stato tramite due regi decreti.

Frattanto, al termine delle lunghe e complesse trattative diplomatiche che avevano visto confrontarsi per vari mesi le due cancellerie, il 12 marzo a Torino, e due giorni dopo a Parigi, Vittorio Emanuele II e Napoleone III avevano firmato il trattato segreto sulla cessione di Nizza e della Savoia alla Francia. Il 22 marzo giunse a Torino il Benedetti, inviato appositamente da Thouvenel non soltanto per firmare il trattato pubblico, ma anche per accordarsi con Cavour sulle condizioni per il passaggio dei poteri e le modalità del voto. Al testo del trattato, firmato a Torino il 24 marzo da Cavour e dal ministro dell’Interno Luigi Carlo Farini per il Regno di Sardegna, e dall’ambasciatore transalpino Charles Talleyrand-Périgord e da Benedetti per la Francia, con la conferma sostanziale di quanto già stabilito negli accordi segreti dell’11-12 marzo. Dopo la ratifica del trattato di Torino da parte del Parlamento subalpino, il governo francese avrebbe comunicato alle potenze firmatarie dei trattati del 1815 la sua intenzione di rispettare l’obbligo che si era impegnato ad assumersi sia con gli Stati sottoscrittori dell’atto generale di Vienna sia con la Svizzera, in merito all’eventuale neutralizzazione di una parte della Savoia, allo scopo di armonizzare l’articolo 92 dell’atto di Vienna con l’articolo 2 del trattato di Torino. Per giungere a tale risultato Parigi avanzava una serie di proposte: portare la questione all’attenzione di una conferenza internazionale; informare della decisione le varie cancellerie tramite uno scambio di note identiche con cui l’esecutivo transalpino si sarebbe assunto davanti ai governi europei garanti della neutralità elvetica gli obblighi già concessi dal governo sardo, oppure lasciare ai due governi francese e svizzero la possibilità di intavolare trattative diplomatiche per raggiungere un accordo sulla neutralizzazione, modificando quanto era stato stabilito nel trattato stipulato tra la Svizzera e il Regno di Sardegna. Le reazioni dei vari governi furono molto diverse, ma la maggioranza dei paesi si sarebbe espressa a favore della convocazione di una conferenza. Da segnalare che, tra le grandi potenze, la sola Austria avrebbe negato al Piemonte il diritto di prendervi parte. In ogni caso, dopo un ulteriore scambio di note tra le cancellerie, anche il progetto di una conferenza internazionale per esaminare la questione della neutralizzazione di una parte della Savoia sarebbe stato definitivamente archiviato. Il 15 e 16 aprile si tennero a Nizza e in Savoia i plebisciti per conoscere il parere delle popolazioni locali in merito all’annessione del loro territorio alla Francia. Il plebiscito svoltosi in Savoia il 22 e 23 aprile, che rappresentò tra l’altro la prima votazione a suffragio universale tenutasi nel ducato sabaudo, diede, al pari di quello effettuato pochi giorni prima a Nizza, un amplissimo risultato favorevole all’opzione annessionista: su 135.449 iscritti, i votanti ammontarono a 130.839, di cui 130.533 favorevoli, 235 contrari e 71 nulli (quindi per l’annessione del ducato alla Svizzera). Il 29 maggio 1860 il trattato venne approvato dalla Camera con 223 voti favorevoli, 36 contrari e 26 astenuti, mentre il Senato l’avrebbe ratificato il 10 giugno successivo con 92 voti favorevoli e 10 contrari. Due giorni dopo anche la Francia ratificava il trattato. Il 14 giugno si tenne infine la cerimonia ufficiale del passaggio dei poteri a Chambéry, presso il castello dei duchi di Savoia, tra il commissario del governo sardo e il delegato imperiale Laity, mentre una cerimonia analoga si svolgeva a Nizza presso il locale palazzo del governo.

Dott. Andrea Gandolfo – Sanremo".

Redazione

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