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Ventimiglia Vallecrosia Bordighera | 27 agosto 2016, 10:20

Straordinario? Quali le regole che ne normano i comportamenti?

La disciplina per questi tempi di lavoro è nuovamente contenuta nel D.lgs. n.66/2003

Straordinario? Quali le regole che ne normano i comportamenti?

Oggi proseguiamo l’analisi delle dinamiche interne al rapporto di lavoro trattando del lavoro straordinario e della relativa regolamentazione.
Nello scorso appuntamento abbiamo già anticipato come questo lasso di tempo lavorativo sia rappresentato dalla differenza tra l’orario normale di lavoro (quaranta ore settimanali) e l’orario massimo di lavoro (quarantotto ore settimanali).
La disciplina per questi tempi di lavoro è nuovamente contenuta nel D.lgs. n.66/2003.
In particolare l’art. 5 del Decreto apre con una premessa secondo cui il “ricorso a prestazioni di lavoro straordinario deve essere contenuto”.
Prima di andare avanti vorrei porre una piccola riflessione: perché spesso il Legislatore cerca di limitare il ricorso agli straordinari? Quali sono le ragioni di questa apparente avversione?
Le motivazioni potrebbero andare oltre quelle evidentemente finalizzate a tutelare la salute del lavoratore, e ispirate dallo scopo di evitare che si lavori un numero eccessivo di ore.
Potenzialmente, la scelta di limitare il ricorso allo straordinario avrebbe anche dei risvolti di politica economica. Infatti, tanto banalmente quanto efficacemente, riducendo il numero di ore lavorabili da ogni singolo lavoratore, inevitabilmente le imprese, per mantenere i livelli di produzione, dovrebbero assumere nuovi lavoratori, e questo distribuirebbe in modo più ampio l’offerta nel mercato del lavoro (un po’ come se dalla stessa torta tagliassimo delle fette più piccole per darne un pezzetto a un numero maggiore di persone).
Esattamente questa è stata una delle ragioni che ha portato la Francia a ridurre la settimana lavorativa da quaranta a trentacinque ore.
Tornando alla disciplina, il citato art. 5 prevede che vi siano due limiti principali per il ricorso al lavoro straordinario.
Il primo prevede l’obbligo di un preventivo accordo tra le parti in tal senso, mentre il secondo prevede un limite massimo di duecentocinquanta ore annuali per ogni lavoratore.
Più dettagliatamente, il comma 4° dell’art. 5 individua anche delle causali, vale a dire delle condizioni necessarie per poter ricorrere a prestazioni di lavoro straordinario.
A tal fine vengono menzionati “casi di eccezionali esigenze tecnico-produttive e di impossibilità di fronteggiarle attraverso l’assunzione di altri lavoratori”, oppure casi di forza maggiore o anche “eventi particolari, come mostre, fiere e manifestazioni collegate alla attività produttiva.
Tuttavia, quella prevista dalla legge non è altro che una disciplina di fondo, nel senso che si applica solo laddove i contratti collettivi non siano intervenuti con una propria regolamentazione. In tal caso gli accordi delle organizzazioni sindacali possono modificare, tra l’altro, i limiti o inserire nuove causali, nell’ottica di riuscire a cogliere le diversità di ogni settore specifico, difficilmente intercettabili dalla generale lettera della legge.
Ad esempio i contratti collettivi possono anche prevedere delle maggiorazioni per le ore lavorate in regime di orario straordinario, oppure, in alternativa, possono inserire la possibilità di fruire di equivalenti riposi compensativi.
In numerose esperienze, soprattutto di contrattazione di livello aziendale, si sono sperimentati istituti come quello della “banca delle ore”. Nei sistemi come quello appena menzionato si accumula una sorta di “saldo” teorico di ore di riposo maturato in un certo periodo (ed equivalente al numero di ore di straordinario effettuate), dal quale il lavoratore può “prelevare” una certa quantità di tempo e disporne nei limiti specifici individuati di volta in volta.
Con istituti del tipo di quello indicato si cerca di favorire, in qualche maniera, una certa flessibilità del lavoratore nella gestione del proprio orario, potendo  egli (nei limiti individuati a seconda delle applicazioni concrete) disporre ipoteticamente di maggiori margini per curare i propri interessi extra-lavorativi.

Edoardo Crespi

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