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| 13 marzo 2016, 07:14

La vera storia di Oscar Rafone: Colazione col cane (capitolo 3)

Pubblichiamo ogni domenica il libro di Enzo Iorio, suddiviso per capitoli, per offrire a tutti un momento culturale nella 'giornata on line'

La vera storia di Oscar Rafone: Colazione col cane (capitolo 3)

Mi faceva male il dito. L'indice, quello della mano destra. Non sapevo perché. Lo avrei scoperto più tardi, ma in quel momento non ricordavo niente. Di certo c'era solo quel dolore, non fortissimo da andare al pronto soccorso, ma abbastanza forte da farmi stringere le palpebre se provavo a piegarlo. Era come se lo avessi infilato in una bottiglia dal collo molto stretto e avessi dovuto fare molta forza per tirarlo fuori. Eppure se cercavo di ricordare cosa era successo, niente, vedevo solo nebbia.

Mi guardai allo specchio. Tutto normale, perfino il brufolo sul naso era ancora lì come il giorno prima, solo un tantino più grosso e rosso; si vedeva già una punta di giallino e questo significava poterlo schiacciare, ma decisi di lasciarlo  vivere ancora...

Guardai l'orologio sulla parete della cucina, dovevo fare colazione. Nella credenza trovai la scatola dei cereali. Aprii il frigo e presi il cartone del latte. Fu in quel momento che entrò in cucina Wrestler. Aveva sentito il cigolio dello sportello del frigo. Ormai erano diverse settimane che il nostro frigo faceva gnieeek quando si apriva e gneeeik quando si chiudeva. Proprio così. E Wrestler aveva imparato che tra gnieeek e gneeeik poteva presentarsi in cucina e rimediare un bocconcino. Non lo delusi, gli lanciai una fetta di salame, una sola perché dovevamo ancora fare colazione. La facevamo sempre insieme: latte e cereali io, latte e croccantini lui. Gli riempii la ciotola e ci mettemmo a tavola. Avevo preso l'abitudine di farlo salire su una sedia e lasciarlo mangiare con me. Tanto quando mangiava per terra veniva lo stesso ad appoggiare il muso sul tavolo, allora decisi che se stava a tavola con me, potevamo parlare meglio; come si fa a parlare con uno che sta con la testa tuffata in una ciotola a un metro più in basso di te. Sì, perché noi parlavamo. Ma questo lo sanno tutti quelli che hanno un cane, che i cani parlano. E non solo loro, anche i gatti. Certo non parlano con la voce, però ti fanno capire un sacco di cose e più tu gli parli più loro ti capiscono. Perciò io lo facevo sempre, ogni volta che potevo. All'inizio mi dovevo ricordare di farlo perché non ci ero abituato e forse lui non mi capiva molto, ma presto era diventata un'abitudine alla quale non facevo neanche più caso e infatti alla fine lui capiva tutto. Anzi certe volte Wrestler mi capiva anche se non parlavo. Per esempio quando ero triste o arrabbiato lui lo sapeva e cercava di distrarmi. E ultimamente succedeva molto spesso.

Enzo Iorio

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