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| 27 agosto 2017, 07:05

Licenziamento per giustificato motivo: ecco la normativa nella rubrica settimanale sul lavoro

Se fino ad adesso, con gli approfondimenti sul giustificato motivo soggettivo e sulla giusta causa, abbiamo investigato su quei licenziamenti che attengono alla dimensione del lavoratore (collegati quindi al suo status o comportamento), oggi verificheremo i tratti essenziali dell’opposta categoria.

Licenziamento per giustificato motivo: ecco la normativa nella rubrica settimanale sul lavoro

Dopo la breve pausa estiva si riprende oggi con l’analisi sul tema dei licenziamenti, analizzando i presupposti dell’ipotesi di giustificato motivo oggettivo.

Se fino ad adesso, con gli approfondimenti sul giustificato motivo soggettivo e sulla giusta causa, abbiamo investigato su quei licenziamenti che attengono alla dimensione del lavoratore (collegati quindi al suo status o comportamento), oggi verificheremo i tratti essenziali dell’opposta categoria. E’ appunto il caso del giustificato motivo oggettivo che ‒ diversamente ‒ viene sorretto da ragioni e motivazioni collegate all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di esse (cfr. art. 3, l. n. 604/1966). Nel linguaggio comune si è soliti definire la categoria ora allo studio come quella dei licenziamenti “economici”. In realtà possiamo inserire in questo ambito anche i licenziamenti dovuti a riorganizzazioni degli assetti produttivi (es. automatizzazione di impianti), piuttosto che i licenziamenti dovuti ad una impossibilità sopravvenuta che non consenta al lavoratore di poter continuare a svolgere la prestazione lavorativa (es. lavoratore che subisca un grave incidente non dipendente dalla propria volontà).

In tutti gli emblematici casi appena riportati, assistiamo al confronto tra due interessi contrapposti, ma entrambi di rango costituzionale. Infatti, se è pacifico il riconoscimento del diritto al lavoro sancito dagli articoli 4 e 35 Cost., viene parallelamente tutelato il diritto all’iniziativa economica privata, attraverso l’art. 41 Cost.
Dunque, in definitiva, quando il diritto “di fare impresa” può prevalere sul diritto al lavoro sino a determinare la cessazione del rapporto a seguito di una decisone economico-organizzativa dell’imprenditore? Diciamo che la generalità delle sentenze dei giudici partono dal presupposto che le scelte imprenditoriali non siano contestabili nel merito, proprio in ragione del menzionato articolo 41, e che quindi non sia possibile per il giudice intromettersi nel tipo di asseto che il datore di lavoro decide di adottare per gestire la propria attività.

Quindi la giurisprudenza, per tutelare comunque la stabilità dei rapporti di lavoro, si attiva indagando la reale sussistenza della motivazione che viene comunicata al momento del licenziamento. In particolare si verifica se sia concretamente esistente la ragione economica/ organizzativa/ produttiva, e, soprattutto, se questa sia direttamente collegata con la necessità di sopprimere il posto di lavoro.  
Inoltre, va verificato che l’esigenza manifestata dal datore di lavoro sia attuale, non semplicemente passeggera, e soprattutto che non si fondi su circostanze future e solamente eventuali. Esempi di giustificato motivo oggettivo accolti in giurisprudenza sono riconducibili a documentate riduzioni del fatturato (Cass. 7376/2001); riorganizzazioni in periodi di difficoltà dell’impresa improntate ad una gestione meno costosa e non esclusivamente finalizzate ad incrementi di profitto; innovazioni produttive fondate sull’impiego di nuove tecnologie.

Per contro, ne deriva che i giudici non riconoscano il giustificato motivo oggettivo nel  caso in cui, a seguito della soppressione del posto di lavoro, venga assunta una nuova risorsa con mansioni e funzioni identiche a quelle del lavoratore appena licenziato. Infatti lo si capisce molto bene: l’ ”oggettività” del giustificato motivo oggettivo risiede proprio nella necessità di intervenire su un “ingranaggio” divenuto superfluo nell’organizzazione produttiva, indipendentemente da chi lo riveste.
Inoltre, per legittimare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo non basta dimostrare la necessità della soppressione del posto di lavoro nell’ottica di un riassetto organizzativo.

Infatti, si richiede anche di dimostrare che il lavoratore non sia in alcun modo ricollocabile, o che lo stesso, al più, abbia rifiutato una nuova proposta di collocamento. Si tratta del cosiddetto obbligo di Repechage, che appunto impone al datore di lavoro uno screening sul proprio assetto organizzativo, finalizzato all’assegnazione del lavoratore in esubero a mansioni equivalenti o comunque compatibili con la professionalità da lui acquisita, muovendo dalla generale finalità di tutelare in ultima istanza la stabilità di un posto di lavoro. In definitiva, si può notare come, sostanzialmente, la giurisprudenza non neghi la legittimità di riorganizzazioni produttive finalizzate al raggiungimento di incrementi di profitto, anche quando esse comportino situazioni di esubero di personale, quindi, se del caso, licenziamenti.

Piuttosto, nella fase di accertamento della legittimità del licenziamento, pur non potendo arrivare a condizionare nel merito le scelte imprenditoriali, i giudici tendono comunque a negare la regolarità di quei licenziamenti che si traducano in una ricerca del lucro ad ogni costo. Del resto vale la pena ricordare come sia lo stesso art. 41 Cost. a contenere al suo interno il dovere di esercitare la libertà di iniziativa economica privata nel rispetto di sicurezza, libertà, dignità umana e di indirizzarla ed orientarla verso finalità sociali.

Edoardo Crespi

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