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In Breve

| 29 giugno 2016, 17:00

Comuni sfusi

L'unione dei piccoli paesi può fare la differenza, anche senza obblighi di fusione.

Il centro storico di Badalucco

Il centro storico di Badalucco

Già l’unione di comuni può creare qualche malumore, figurarsi che cosa potrebbe succedere con le fusioni obbligatorie. Difficile, a volte, far girare tutti insieme gli ingranaggi dei campanili della stessa vallata. Badalucco, per esempio, scalpita per uscire dall’unione delle valli Argentina e Armea, nata alla fine del 2014 con lo stesso obiettivo stabilito da altre esperienze simili in tutta Italia (23 nella sola Liguria, di cui otto nell’imperiese): trasferire al nuovo ente locale, disciplinato dal D.lgs. 267/2000, funzioni e servizi pubblici che in precedenza erano gestiti dalle diverse municipalità.

Il sindaco di Badalucco, Walter Bestagno, si lamentava per la scarsa centralità del suo paese rispetto ai borghi confinanti. Spaccature di questo genere non potrebbero che aumentare con la proposta di legge di fondere obbligatoriamente tra loro i comuni limitrofi con meno di 5.000 abitanti, presentata lo scorso novembre da un gruppo di deputati del Pd e osteggiata da più parti, compreso il consiglio regionale ligure. Del resto, i piccoli paesi possono associarsi in vari modi, perché la normativa italiana prevede le convenzioni, le unioni e pure le fusioni. Non obbligatorie, s’intende: spetta alle singole realtà decidere l’eventuale accorpamento di municipi. Ben vengano gli incentivi statali e regionali per promuovere nuove alleanze tra territori vicini, orientate a migliorare i servizi riducendone i costi unitari e gli oneri complessivi di gestione. Tuttavia, il percorso verso l’eventuale soppressione di comuni dovrebbe rimanere facoltativo. Non imposto ma tuttalpiù suggerito e premiato con finanziamenti extra.

Nelle diatribe campanilistiche tra chi deve valere più degli altri, l’unico principio che dovrebbe contare è l’unione fa la forza, ma senza temere la mannaia numerica (tu sei minuscolo: cancellato!). I borghi, soprattutto quelli dell’entroterra, hanno guai a sufficienza: botteghe che faticano a tirare avanti, scuole a rischio chiusura, servizi ridotti all’osso, necessità di ricorrere al volontariato dei cittadini, ad esempio per tagliare le erbacce dalle strade. Sono comuni sfusi, costretti ad arrangiarsi. La loro identità, spesso, è l’unica “confezione” che riesce a tenerli vivi. Stiamo sperimentando quanto sia stato complicato abolire le province così come le conoscevamo. Accentrare determinate funzioni è un obiettivo condivisibile, a patto di non limitarsi al classico taglio della scure. Altrimenti si crea solo disorganizzazione.

Luca Re

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