Approvati in consiglio comunale a Vallecrosia criteri, indirizzi e schema di convenzione per usi temporanei di aree e immobili, ex articolo 23 quarter del D.P.R. 380/2001 E SS.MM.II.
"La pratica è stata ben illustrata in commissione consiliare" - interviene il sindaco Fabio Perri.
"Vorrei intervenire su questo punto all’ordine del giorno, che introduce la possibilità di stipulare convenzioni per l’uso temporaneo di aree, consentendo una destinazione d’uso diversa da quella prevista dal Piano Urbanistico Comunale, per un periodo definito 'temporaneo' di cinque anni. Io credo che su questo tema serva molta cautela perché dietro la parola temporaneo si nasconde, in realtà, una visione che rischia di stravolgere il principio stesso della pianificazione urbana" - afferma il consigliere comunale di minoranza Valeria Cannazzaro - "Parto da un presupposto semplice: il Testo Unico dell’Edilizia, il DPR 380/2001, nasce per disciplinare l’edilizia — cioè le opere, i cantieri, i titoli abilitativi ma quando, con questo articolo, arriva a regolamentare 'edifici e aree', entra in un campo che non gli compete, quello dell’urbanistica. L’urbanistica è la regia della città, è la materia che definisce dove e come si può costruire, cosa è pubblico e cosa è privato, cosa serve alla collettività e cosa no. E allora io credo che sia sbagliato utilizzare una norma edilizia per aggirare i principi della pianificazione urbanistica. Mi sento di dire con chiarezza che questo non è uno strumento di semplificazione o di rigenerazione, ma una scorciatoia. E non possiamo accettare che si arrivi a fare urbanistica senza seguire le regole dell’urbanistica. Perché in questo modo non si migliora il territorio, si aggira la pianificazione. Non si programma, si improvvisa. E l’improvvisazione, in urbanistica, è pericolosa. Vallecrosia è una città piccola, con un territorio delicato, ogni scelta pesa. Se non lo controlliamo, se non lo regoliamo con chiarezza, rischiamo di trasformare il nostro tessuto urbano in una somma di interventi slegati, incoerenti, e alla fine ingestibili. Mi preoccupa anche sentire che 'è giusto perché è previsto dalla legge'. La legge offre strumenti, ma sta a noi amministratori scegliere come e quando applicarli, valutando prima di tutto l’impatto che avranno sul territorio e se portano un reale vantaggio pubblico. Perché non basta dire 'lo prevede la norma'. Bisogna chiedersi: serve davvero alla città? E in questo caso, la risposta è no. Perché l’amministrazione pubblica non ha alcun vantaggio da questa norma: il pubblico, infatti, è già esente – per motivi di interesse generale – dal dover seguire la trafila di una variante urbanistica quando si tratta di realizzare opere pubbliche. Quindi, chi beneficerà davvero di questo nuovo strumento? I privati. Ancora una volta, si sposta l’attenzione dall’interesse collettivo a quello individuale. E se davvero riteniamo che le destinazioni d’uso del nostro Piano Urbanistico non siano più congrue o attuali, allora aggiorniamole. Lo strumento per farlo c’è già: la variante urbanistica. È quello il percorso corretto, trasparente, partecipato, che consente di pianificare la città con una visione d’insieme. Ma non chiamiamo 'semplificazione' ciò che è, in realtà, una deroga permanente. Perché tutti sappiamo che non c’è nulla di più permanente di ciò che nasce temporaneo. Le opere temporanee sembrano innocenti, ma poi restano. Mettono radici, si fanno voler bene, diventano 'consolidate' e non vogliono più andar via. E così, con la scusa della rigenerazione urbana, rischiamo di ritrovarci con un piano urbanistico svuotato, dove ogni intervento fa storia a sé e nessuno controlla più l’insieme. La rigenerazione urbana non può essere un pretesto per giustificare ogni tipo di deroga. È un tema serio, che richiede progettualità, strategia e visione d’insieme. L’urbanistica non è un atto burocratico. È una responsabilità. E una città, per crescere, ha bisogno di regole chiare e di coerenza, non di improvvisazione e deroghe su misura. Mi chiedo quindi: da dove nasce questa esigenza di introdurre un nuovo meccanismo? È davvero uno strumento che serve all’interesse pubblico o risponde a interessi privati? E se davvero si ritiene che le destinazioni d’uso del Piano non siano più congrue, allora perché non aggiornarle con i canali previsti dalla legge? Perché concedere 'usi temporanei' che di fatto violano le previsioni del Piano significa dare un segnale sbagliato: che le regole si possono aggirare, invece che migliorare. L’uso temporaneo e difforme non può essere 'rigenerante'. La rigenerazione urbana è una cosa seria: richiede visione, strategia, progettualità non improvvisazione o occasioni a tempo determinato. L’urbanistica è una materia complessa, non banalizzabile. È la bussola che ci deve guidare, non il pretesto per andare dove ci fa più comodo".
"Ci sono dei criteri, delle condizioni importanti sulle quali non ci si può esimere. Ci sono i pareri tecnici favorevoli dei funzionari che sono competenti in materia e quindi siete contro quello che esprimono i funzionari" - replica il sindaco Fabio Perri - "Non vogliamo fare una pianificazione urbana che si fa con uno strumento urbanistico, che ha delle problematiche che sicuramente sarà oggetto di nostra valutazione. In attesa che si possa mettere in piedi una rianalisi si utilizzano le normative che servono per eliminare delle situazioni di degrado concedendo in maniera temporanea tre più due, cioè per cinque anni. Può essere dato l'utilizzo di un'rea per fare una determinate attività ma al termine dei cinque anni bisognerà riportare l'area come era stata presa cinque anni prima. Tutti gli interventi che si potranno fare per evitare di tenerci una città abbandonata, per dare delle opportunità che la legge ci consente e creare economia. Sulla base di questo principio continueremo su questa strada perché ci interessa il bene della città. Non abbiamo fatto favori a qualcuno, noi vogliamo accontentare la cittadinanza. Basta tenere terreni abbandonati".
"Aspettiamo il piano perciò il nostro voto è contrario" - dice il consigliere comunale di minoranza Marilena Piardi.














