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Eventi | 09 agosto 2022, 07:05

Sanremo: il saluto di ‘Radiomandrake’ chiude Rock in the Casbah: “Respirare ancora SanCo è liberazione vera, definitiva, assoluta”

Come da tradizione è lo speaker e dj della manifestazione Simone Parisi a chiudere la 23a edizione della rassegna e dare l’appuntamento al prossimo anno

Sanremo: il saluto di ‘Radiomandrake’ chiude Rock in the Casbah: “Respirare ancora SanCo è liberazione vera, definitiva, assoluta”

La tradizione si ripete. A chiudere il sipario di Rock in the Casbah sono le parole di Simone ‘Radiomandrake’ Parisi, speaker e dj della manifestazione. 

Parole che raccontano l’edizione del ritorno a casa per una famiglia che da 23 anni si fa portavoce della musica live a Ponente. Un ventitreesimo appuntamento che ha visto incontrarsi a San Costanzo generi e generazioni in una festa lunga quattro giorni tra ricordi ed eredità musicali.

Il saluto di Simone ‘Radiomandrake’ Parisi: “Aspetti la 'Grande Onda' per due anni e di colpo ti ritrovi tra muraglioni d’acqua impressionanti. Cavalchi la tavola di Bear, lasci che il mare ti avvolga e ti trasporti, è un tubo di sale dal quale sbuchi fuori ebbro ed esausto, felice. Una liberazione. I Shall be released come diceva Dylan con The Band. Respirare ancora SanCo è la liberazione vera, definitiva, assoluta. Se mettessimo in fila le genti salite sin quassù nel corso dei 23 anni avremmo due generazioni intere rappresentate, come se questa piccola vetta incastrata in cima ad un vecchio borgo medievale, fosse la meta da raggiungere indipendentemente dall’età, lo era 20 anni fa come oggi. Luigi dice che forse quella bomba arrivò apposta per creare un luogo dove fare musica, dove poter mischiare l’energia alla magia, dove poter ricevere tanta passione quanto la propria, dove poter chiudere gli occhi ed essere solo musica. E non c’è davvero una novità, solo il continuo stupore che ogni miracolo contiene: per un attimo ho pensato al Doctor Manhattan di Watchmen memoria, non esisteva il presente non esisteva il passato e, potenzialmente, nemmeno il futuro. Occhi di 50 enni abbondanti che tornano ventenni e ventenni veri, insieme, la stessa età, la stessa anima, uniti da una musica che dimentica il tempo stesso e diventa aria da respirare, diventa scintilla, dalla quale nasce sempre un fuoco, un futuro". 

"Zebà era davanti a me, Angelino appena dietro, tra di loro uno scalino di 40 anni… Filippo sul palco intona le prime note di Monna Lisa, lo scalino d’età scompare, gli occhi son gli stessi in quel momento indefinibile, dentro la stessa scintilla. Ed il primo era Bear che costruisce la tavola per 6 metri d’onda, il secondo era il giovane virgulto, e noi, come Jack, Matt e Leroy a riproporre ogni anno quel Mercoledì da Leoni che dura quattro giorni e ci prosciuga ma ci nutre di quella stessa sostanza della quale son fatti i sogni. Noi, in quell’eterno limbo dove non servono creme per le rughe ma solo Rock’n’roll. Noi, un po’ Necchi Perozzi Melandri e Mascetti. E poi quel secondo nel quale Bodo si è girato verso Dula o forse Straffo perché davanti a lui ballavano Mexican Radio dei Wall of Voodoo come fosse una hit da discoteca. Ed infine le parole pronunciate appena finito lo show da parte di tutti i ragazzi…”faccio musica così perché la famiglia mi ha trasmesso alcuni ascolti”. Spesso siamo critici e superiori nei confronti dei ragazzi, ma spesso siamo noi i primi a lasciarli sperduti, nella musica come nello sport, come nella vita. Siamo noi ad esserci atrofizzati quel poco da rimanere ignifughi e non bruciare di passione. Saranno stati ragazzi fortunati? Qualcuno ha regalato loro un sogno? Sì ma davanti a loro altri ragazzi, per riproporre quel connubio indissolubile della quarta parete. L’arte è sempre tale se considera la fruizione. “La scuola è una gran cosa, soprattutto se ti insegnano ad amare i capolavori del passato. Però è un peccato che tu non li puoi vedere, Né toccare”. Forse c’è stato un bug tra il vento di SanCo che ha nascosto la pigrizia in tutti quelli saliti sin quassù. Nessuno a “Citare classici a memoria, senza distinguere il ramo da una foglia”. Tutti pronti a ricevere e disposti a rendere l’energia. Io questo l’ho chiamato miracolo, perché contiene il mio stupore, perché i miei occhi eran lucidi come un “Fuoco sulla collina”. Ed in questa continua onda di tempo indefinibile che gira e non vuole finire ci stava tutto, un fiore punk, uno scherzo di cumbia, un’ipnosi funky, un’onda wave, la voce black e meravigliosa di Graziano, una passione indelebile per ricordare un grande amico, famiglie musicali, musicisti fortunati a suonare in tre gruppi di musica originale, un palco raddoppiato in immagini e quell’interruttore di SanCo, lo accendi e non è più solo notte, ma sempre deflagrazione, questa volta di musica, luci, amore. Siamo finalmente liberi, abbiamo rimesso in saccoccia la paura". 

"La paura del Bronx, del margine, come la paura di uscire e rimanere contagiati. Per due anni abbiamo lasciato l’interruttore spento, per due anni abbiamo abbandonato questo Bronx. L’abbiamo trovato ancora, bisognoso come noi di respirare. Era un ruscello che non scorreva e non prendeva la forma di “Creuza”. E come ogni attesa, la folla era enorme come se fosse la fermata del treno, c’era Iba con Napo, c’era Ramon e c’era Amedeo, anche Remo con la canottiera delle grandi occasioni, Thomas con il mixer delle nuvole a mandarci un po’ di ponentino negli angoli segreti delle terrazze e anche Marley ad abbaiare felice appena scendevano briciole dai tavoli, c’era il mio babbo nel cappellino di Gimondi, c’erano tutti, perché hanno preso casa nelle pietre d’intorno. Qualcuno di loro ha imparato a volare con gli ultimi gabbiani, quelli delle 19, quelli dell’ultimo giro di spie sul palco e degli ultimi guadagni in cuffia. Rimaniamo senza età ancora un poco, rimaniamo bambini sperduti ancora un attimo. Almeno fino a quando queste parole non sanciscano la fine di un’edizione ancora, quella dove han suonato i giovani, dove si son sentiti tutti giovani e quella che ha innalzato uno tsunami che si chiama futuro. Perché se continuerà ad essere il sogno quello che muove il mondo, abbiamo visto realizzarsi il nostro:  ingannare il tempo, scomporlo, come fa un orologiaio che smonta ogni pezzo di una vecchia cipolla da taschino. In quel sogno tutti hanno la giovinezza negli occhi, hanno tutti i ricordi in tasca e hanno tutta la curiosità davanti per poter scoprire ancora qualcosa e sentirsi tremendamente vivi. Nel sogno tutti sanno che “la storia siamo noi, siamo noi questa onda nel mare, questo rumore che rompe il silenzio, questo silenzio così duro da raccontare”. Nel sogno nessuno è “Pigro”. Nel sogno hai davanti la casbah appena si accendono le luci del palco, la vedi nitida, e rimani con gli occhi chiusi perché senti Amedeo che ti dice che il più figo rimarrà sempre lui ma poi senti che prende la sua chitarra senza quella corda che ha rotto Larry e lo senti intonare qualche nota di Ivan Graziani, e poche parole: 'E sei così bella, Che più bella non c'è, E sei così dolce, Che più dolce non c'è. E sei così quieta, Quando parli di noi, Che m'incanto a guardarti Da non credere sei'”.

Pietro Zampedroni

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