La retorica politica e militare racconta come gli Stati stiano producendo armi sempre più “intelligenti”, “chirurgiche”, “precise” – facendo dunque credere che gli effetti collaterali o i danni sulle popolazioni civili siano sempre più rari. E invece le armi prodotte negli ultimi decenni sono tutt’altro che chirurgiche o intelligenti: sono armi pensate per colpire indistintamente le popolazioni, soprattutto i civili, e per causare danni di maggiore entità possibile sulle persone, sulle città e sugli ambienti – danni che spesso sono destinati a perdurare nel tempo. Le mine antiuomo, le bombe a grappolo, le munizioni all’uranio impoverito, le bombe atomiche, tutte le diverse tipologie di armi chimiche e batteriologiche, fino alla recente MOAB (la “madre di tutte le bombe” sganciata dall’amministrazione USA in Afghanistan il 13 aprile 2017): hanno tutti lo scopo di distruggere e colpire in maniera indistinta, non certo di mirare in maniera intelligente i soli obiettivi militari.
Di questo e della sua esperienza personale parlerà venerdì 5 ottobre alle 21.00 a Palazzo Roverizio Vito Alfieri Fontana, ex titolare di un’azienda di Bari che produceva mine antiuomo, convertitosi alla nonviolenza e diventato sminatore. Per 17 anni si è dedicato prima in Kosovo, poi dal 2001 a Sarajevo, l’ex capitale bosniaca e sulle colline circostanti, a bonificare il mondo dai “frutti maledetti” che aveva seminato.