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Calcio | 23 ottobre 2017, 10:45

Meroni. L’artista campione

La parabola umana e sportiva della Farfalla Granata raccontata da Beppe Gandolfo

Meroni. L’artista campione

Il libro sta andando letteralmente a ruba. E non potrebbe essere altrimenti, visto che nei giorni scorsi si è celebrato il cinquantenario della scomparsa di uno dei calciatori del Toro più amati nel dopo Superga.

“Meroni. L’artista campione” è l’ultima fatica letteraria di Beppe Gandolfo, che fino a novembre si può trovare in edicola in abbinamento con il quotidiano La Stampa.

Il libro, edito da Priuli & Verlucca, è diviso in diciannove capitoli, tutti aperti dai testi di canzoni famose, in chiusura, invece, tre interviste a Natalino Fossati, Piero Chiambretti e a Emiliano Mondonico. 156 pagine la leggere tutte d’un fiato, che andranno sicuramente ad arricchire la biblioteca granata e calcistica di ogni appassionato.

Beppe Gandolfo, poi, non è nuovo a opere che riguardano la storia del Toro e ci ha spiegato il perché di questa scelta: “Credo che pochissimi calciatori abbiano lasciato un ricordo indelebile non solo tra i tifosi granata. Se il giorno dell’anniversario il TG5 ha dedicato a Meroni un ampio servizio, se Sky ha fatto una puntata speciale su di lui, condotta da Giorgio Porrà, se tutti i grandi quotidiani nazionali, non solo gli sportivi, hanno dato ampio spazio al cinquantenario della scomparsa, significa che Meroni sa sollevare ancora oggi una grande attenzione mediatica”.

Beppe, tu eri bambino quando Meroni morì. Che ricordi hai di quella domenica del 1967?

Un ricordo molto offuscato di quel 15 ottobre e non perché avevo solo otto anni. Invece ricordo benissimo la domenica successiva, quella in cui si giocò il derby. Allora non c’erano le partite in diretta tv, c’era solo la radio, che per giunta si collegava solo nei secondi tempi. Quado la accesi, ricordo che alla notizia che il Toro stava vincendo 2-0, corsi subito da mio padre, che mi disse: ‘Stai buono, che manca ancora un tempo’. Poi invece sarebbe arrivato il terzo gol di Combin e quindi il quarto segnato da Carelli, il giocatore che indossava la maglia numero 7 che era stata di Gigi”.

Che emozione ti ha regalato fare questo libro?

Mi auguro che la gente si diverta a leggerlo quanto io mi sono divertito a scriverlo. Parlando di Meroni ho voluto raccontare un’epoca, un mondo diverso, quella voglia di cambiamento che Gigi impersonava su un campo di calcio, il suo essere artista anche fuori dal terreno di gioco. Ho cercato di mettere in risalto la sua dimensione umana, il suo spirito anticonformista, che era quello di molti dei ragazzi degli anni Sessanta, che odiavano la guerra e amavano i Beatles e i Rolling Stones”. 

Terminata questa fatica, hai già in mente qualcos’altro per il futuro?

“Io vado in cerca di un personaggio o di una storia da raccontare. Spero di avere anche qualche buono spunto dal presente, ma con questo libro intendevo spiegare, soprattutto alle giovani generazioni, chi è stato Gigi Meroni, per far capire ai più giovani, che magari conoscono solo Belotti o i calciatori di adesso, che storia ha avuto il Torino o quali uomini hanno indossato la maglia granata”

A proposito di uomini, don Aldo Rabino, lo storico cappellano del Toro, che tu hai conosciuto molto bene, diceva che prima del calciatore viene l’uomo.

Era un modo per far capire ai giocatori che arrivavano a vestire questa divisa cosa significhi essere del Toro, perché questa maglia ha qualcosa di speciale, di diverso. Troppe volte non è successo in questi anni, eppure la passione dei tifosi non è mai venuta meno. L’altra sera ero a Piscina per parlare del libro su Meroni: c’erano trecento persone, pur in un momento non felicissimo della squadra. Significa che l’amore di questa gente è sempre presente. Don Aldo diceva che Meroni aveva l’arte di rendere facili le cose difficili, speriamo che un po’ del suo insegnamento sia arrivato fino ai giorni nostri, contagiando giocatori, allenatori, dirigenti, magazzinieri, tutti”.

 

Massimo De Marzi

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