Un imprenditore non può essere trattato come uno spacciatore quando opera secondo le regole dell’Unione Europea. Il Gip sospende il processo sulle tre tonnellate di canapa sequestrate, la Corte Costituzionale è chiamata a valutare una legge che rischia di criminalizzare gli imprenditori e così il caso dell'imprenditore di Dolceacqua, Igor Cassini, apre un fronte nazionale e segna un precedente nel panorama giudiziario italiano.
E', infatti, il primo caso in Italia. Il giudice per le Indagini Preliminari di Brindisi ha sospeso il procedimento penale nato dal sequestro di tre tonnellate di canapa industriale certificata e ha rimesso la questione alla Corte Costituzionale, chiamata a valutare la legittimità dell’articolo 18 del D.L. 48/2025. La norma, inserita nel cosiddetto “decreto sicurezza”, introduce un divieto generalizzato sulle infiorescenze che, secondo il GIP, potrebbe essere in aperto contrasto con la Carta costituzionale e con il diritto europeo. La vicenda riguarda un quantitativo di 3.000 kg di cannabis sativa L., con THC allo 0,3% — valore pienamente conforme agli standard dell’Unione Europea — importato dalla Bulgaria dalla MaryLab Società Semplice Agricola, rappresentata dall’imprenditore ligure Igor Cassini. La giudice Barbara Nestore ha riconosciuto che la normativa, così come formulata, rischia di sovrapporre attività agricole perfettamente lecite a condotte penalmente rilevanti, senza operare alcuna distinzione tra uso tecnico e uso illecito.
Il 39enne di Dolceacqua è una figura nota nel Ponente ligure per la sua attività imprenditoriale, che spazia dall’agricoltura alle iniziative sociali e ambientali. La sua azienda opera da anni nella legalità e nella trasparenza puntando sulla tracciabilità delle filiere e su progetti innovativi legati al settore agricolo. Una confusione normativa, tuttavia, lo aveva trascinato in un procedimento che oggi appare privo dei presupposti necessari per proseguire. Decisivo è stato il lavoro dell’avvocato Lorenzo Simonetti, che ha presentato un ricorso basato su argomentazioni costituzionali e riferimenti puntuali al diritto europeo. La sua difesa ha mostrato come l’attività della MaryLab fosse del tutto conforme alle norme UE e come l’articolo 18 rischiasse di produrre effetti sproporzionati nei confronti di imprenditori che operano in buona fede e nella piena legalità. "Ringraziamo l’avvocato Simonetti per la professionalità e la determinazione dimostrate" - affermano gli imprenditori coinvolti - "La nostra canapa era certificata, tracciata e conforme. Non siamo criminali ma operatori agricoli che rispettano le leggi".
Il GIP ha evidenziato che il decreto-legge, oltre a mancare dei requisiti di necessità e urgenza previsti dall’articolo 77 della Costituzione, potrebbe violare i principi di offensività, proporzionalità e ragionevolezza. La canapa industriale, infatti, è da anni riconosciuta dalla giurisprudenza europea come un prodotto agricolo legittimo e liberamente commercializzabile all’interno dello Spazio UE. L’articolo 18, imponendo un divieto totale, rischierebbe, quindi, di creare un conflitto diretto con il diritto comunitario, in particolare con gli articoli 34 e 36 del TFUE. Nel caso specifico, il materiale sequestrato alla MaryLab risultava dotato di tutti i requisiti richiesti dalla normativa europea: certificazioni ufficiali, documenti di pre-export, varietà registrate nel catalogo comunitario, tracciabilità completa e destinazione esclusiva a usi tecnici. Non emergeva alcun elemento che potesse ricondurre l’attività all’ambito dello spaccio o del traffico illecito di sostanze stupefacenti. Si trattava al contrario di un’operazione imprenditoriale in linea con le prassi diffuse nel resto dell’Unione Europea.
La decisione del GIP è stata accolta con soddisfazione dalle principali associazioni italiane della filiera della canapa come Canapa Sativa Italia, Sardinia Cannabis, Imprenditori Canapa Italia e Resilienza Italia Onlus, che da tempo sostengono che la criminalizzazione della canapa industriale sia frutto di un quadro normativo confuso e spesso in contrasto con la scienza agronomica. Le associazioni ricordano che il settore genera sviluppo, lavoro e innovazione e chiedono che l’Italia si allinei in modo chiaro alla normativa europea. Con la sospensione del processo e la rimessione alla Corte Costituzionale, il caso Cassini diventa ora un punto di osservazione nazionale. La Consulta sarà chiamata a stabilire se la normativa italiana abbia confuso ciò che andava mantenuto distinto: l’agricoltura dalla criminalità, la produzione tecnica dallo spaccio, il lavoro onesto dall’illegalità.





