Tra le opere che hanno animato il Roof del Teatro Ariston durante la Biennale Artexpo 2025, una in particolare ha colpito con forza emotiva inaspettata. È “L’urlo di Gaza”, l’opera della giovanissima artista irpina Martina Romano, 25 anni, che con una tela intensa, dolorosa e coraggiosa ha portato dentro la manifestazione uno dei temi più tragici della contemporaneità. In una Biennale che ha riunito centinaia di artisti nazionali e internazionali, la sua voce, fragile e potentissima, si è distinta per autenticità e profondità narrativa.

“Quest’opera è nata dal titolo e dal periodo storico che stiamo vivendo”, racconta Martina, emozionata e quasi incredula di fronte all’interesse suscitato dal suo lavoro. “Per me è assurdo che nel 2025 sia ancora possibile non solo una guerra, ma un genocidio. Ho cercato una foto reale e quando l’ho trovata ho capito che era quella giusta. Sono molto sensibile, queste immagini mi fanno stare male e ho deciso di trasformare quel dolore in qualcosa che potesse parlare ad altri”. La giovane artista, che oggi lavora come artigiana incassatrice, dipinge da quando era bambina: “Non sono un’artista affermata, l’ho sempre fatto per necessità, come sfogo. Ma spero che questa mostra possa essere un punto di partenza”.
La forza del quadro sta nella rappresentazione di un uomo che urla mentre stringe il corpo senza vita di una bambina. “Ho iniziato da lui”, spiega Martina. “Il suo è un urlo potente e silenzioso allo stesso tempo, un dolore enorme che non sa cosa fare”. Poi c’è la piccola, la parte più devastante: “Non è più solo una bambina. L’ho trasformata perché rappresentasse un essere umano a cui è stata tolta l’anima. Non è più un volto, è un simbolo di ciò che la guerra distrugge”.
Accanto alla tragedia, però, c’è un frammento di luce. Sui capelli della bambina, Martina ha inserito una foglia d’oro. “Sono una persona che non perde mai la speranza. Non è una speranza per lei, ma per i bambini che ancora vivono. L’oro rappresenta qualcosa che resiste, anche nel mezzo della disperazione”. La scelta della foglia d’oro ritorna anche nello sfondo, graffiato a mano: “L’ho letteralmente inciso con le unghie. Avevo bisogno di far uscire quello che provavo”.
Martina è arrivata a Sanremo quasi per caso, come racconta lei stessa: “È la mia prima mostra. Sono molto emozionata e un po’ triste che sia l’ultimo giorno, ma spero davvero che sia solo l’inizio. Dipingo e disegno da quando ho memoria”. E in una Biennale che ha ospitato opere di maestri storicizzati del Novecento e artisti provenienti da tutto il mondo, il suo “Urlo di Gaza” si è imposto come uno dei momenti più intensi dell’intera manifestazione.
La Biennale Artexpo, organizzata dalla Fondazione Effetto Arte, è tornata al Teatro Ariston dal 13 al 16 novembre (oggi l'ultimo giorno di esposizioni) trasformandolo in un luogo di incontro, dialogo e contaminazione tra linguaggi artistici diversi. In mezzo a quest’atmosfera fatta di creatività, musica e colori, il quadro di Martina ha rappresentato la parte più cruda e necessaria dell’arte: quella che ferma, obbliga a guardare, chiede allo spettatore di non distogliere gli occhi.
“L’urlo di Gaza” non è stato solo un quadro, ma un messaggio. Un promemoria doloroso. Un invito a non voltarsi dall’altra parte. Martina, con la sua sensibilità e la sua verità, ha portato a Sanremo un grido muto che continua a riecheggiare anche dopo la chiusura della Biennale. E la città, che per quattro giorni è stata capitale dell’arte contemporanea, sembra averlo raccolto con rispetto e commozione.







