Sulle alture selvagge e silenziose del Monte Caggio, nei pressi di Sanremo, è emersa una nuova prova che rafforza l’ipotesi della funzione di meridiana attribuita ai menhir preistorici. Il monolite recentemente rivisitato, orientato con precisione verso un ampio orizzonte, si rivela non solo un monumento megalitico ma anche uno strumento di misurazione del tempo, capace di dialogare con il sole e scandire il ritmo delle stagioni.
Secondo Andrea Eremita, studioso e appassionato di archeologia del sacro, la posizione del menhir non è casuale: esso è stato collocato in modo da intercettare i raggi solari nel giorno del solstizio d’estate, proiettando un’ombra netta su una pietra posta in basso, dietro al monolite, in un punto fisso e intenzionale. Questo gioco di luce e ombra segnalava ai nostri antenati il momento più atteso dell’anno, quando la natura tornava a essere feconda e generosa.
Ma il menhir non si limita a celebrare la luce. Sul lato opposto, la pietra riceve un’ombra diversa, più lunga e cupa, che si manifesta nel giorno del solstizio d’inverno, quando il sole sembra scomparire, inghiottito dalle tenebre. Era questo un tempo di grande sgomento per le antiche comunità, che vivevano con trepidazione il rischio che la luce non tornasse. Per esorcizzare il buio e invocare il ritorno del sole, si accendevano grandi falò, in un rituale di magia simpatica: da simile nasce simile, e il fuoco serviva ad aiutare il sole a risalire nel cielo, a riportare calore e vita sulla Terra Madre.
Questa tradizione, profondamente radicata nel culto solare, è stata assorbita dalla Chiesa nei secoli successivi. Papa Giulio I, nel IV secolo, spostò la celebrazione della nascita di Cristo al 25 dicembre, sovrapponendola alla festa pagana del solstizio d’inverno. A Dolceacqua e in altri borghi della Val Nervia, il rito si è conservato nella forma cristiana dei “Foghi du Bambin”, i Fuochi di Gesù Bambino, accesi nelle piazze per scaldare simbolicamente il neonato divino. Un gesto che perpetua, sotto un nuovo manto spirituale, l’antico desiderio di luce, di rinascita e di armonia con il cosmo.
La scoperta sul Monte Caggio, dunque, non è solo un dato archeologico: è una finestra aperta sul pensiero arcaico, sulla sacralità del tempo e sulla profonda connessione tra uomo e natura. Come sottolinea Andrea Eremita, “il menhir non è una pietra qualsiasi: è un messaggero del cielo, un calendario inciso nella roccia, un ponte tra il visibile e l’invisibile”.





