Al Direttore - 07 settembre 2017, 12:47

Corsica, Liguria di Ponente e dintorni, ecco dove si parla il dialetto ligure nel racconto di Pierluigi Casalino

"La lingua ligure, oltre ad essere parlata in tutta la Liguria, è parlata fuori regione nelle rispettive varianti locali..."

Corsica, Liguria di Ponente e dintorni, ecco dove si parla il dialetto ligure nel racconto di Pierluigi Casalino

"La lingua ligure, oltre ad essere parlata in tutta la Liguria, è parlata fuori regione (e persino in località molto più lontane dell'area mediterranea, se pur spesso dimenticate e superate), nelle rispettive varianti locali, roiasca nell'alta val Roia francese, nel Basso Piemonte, nella variante monegasco-genovese nel Principato di Monaco, nelle varianti tabarchine in Sardegna e in Corsica soprattutto nella variante bonifacina.

Se a Calvi, infatti, nel nord della Corsica, si percepisce ancora l'atmosfera ligure attraverso la classica domanda 'I sei d'Ineja o du Portu?' che ti rivolgono i locali con un'inclinazione certamente corsa, non del tutto francesizzata, a Bonifacio non solo tra i vecchi, ma anche tra qualche giovane alla riscoperta delle radici italo-liguri, si colgono parole che si distinguono per la loro origine albenganese o del resto del Ponente, compresi tratti spiccatamente sanremasci, brigaschi o vintimiluisi, oltre che naturalmente vetero-genovesi. La Corsica è stata patrimonio del Banco di San Giorgio di Genova dal 1453 al 1562; dato che i possedimenti si rivelarono antieconomici, passarono sotto il diretto dominio di Genova che li tenne fino al famoso Trattato di Versailles del 1768, quando fu ceduta al re di Francia. La storia spirituale dei corsi ha visto, d'altronde, l'azione pastorale di diocesi liguri, in particolare di quella dell'estremo Ponente.

Ma per tornare a Bonifacio, questo villaggio suggestivo ha una storia a sé. Nota al tempo dei romani come Calcosalto venne abbandonata in seguito alle scorrerie dei pirati, alla caduta dell'impero romano, e rifondata con il nome di Bonifacio in onore di Bonifacio II di Toscana, divenuto quindi tutore della Corsica, che rifondò il villaggio con coloni provenienti dal grossetano e dalla lucchesia e in seguito, trasformato in possesso della Repubblica di Pisa, con l'aggiunta di coloni pisani. Nel 1410 venne occupata dai genovesi e fu una piazzaforte della Superba insieme a Calvi, mentre il resto dell'isola  doveva essere occupata da Genova e che nel 1420 riuscì a superare indenne cinque mesi d'assedio da parte del re d'Aragona Giovanni II. Nel 1490 i genovesi decisero l'espulsione di tutti i coloni toscani di Bonifacio per mettere completamente in sicurezza il borgo e la fortezza, colonizzata con gli abitanti provenienti principalmente dalla Riviera ligure di Ponente, da cui nasce il dialetto bonifacino, dialetto che ha mantenuto quegli arcaismi di Ponente ed è stato influenzato dal corso e dopo dal francese.

Nel 1768 il Magnifico Consiglio di Bonifacio chiede all'emissario genovese di rimanere sotto Genova e di non passare sotto la Francia, perché Bonifacio non apparteneva nemmeno alla Corsica, ma il Trattato tra il doge genovese e il re francese ormai era stato firmato.Il bonifacino, per dirla in breve, fino al XIX secolo era parlato praticamente da tutta la popolazione: oggi, invece, si può trovare trascritto nelle strade e nelle piazze e in qualche discorso tra gli anziani. Non avendo alcun stato di protezione regionale o nazionale, stante la tradizione rigorosamente centralistica della Francia, il bonifacino è ora conservato e coltivato dall'associazione 'Digghe de scé'. Bonifacio è un monito per tutti i liguri che il loro dialetto non deve  assolutamente sparire ovunque esso sia ancora parlato e con esso non devono svanire le parlate liguri-corse e italiane di tutta la Corsica. La memoria di città come Savona, o Sanremo o altre resta legata nell'immaginario corso e ciò lo si può constatare frequentando l'isola e gli isolani.

Non è un caso, peraltro, che già gli scrittori e gli uomini di legge corsi del XIX secolo rivendicavano l'appartenenza dell'idioma corso alla lingua italiana. 'La lingua corsa è pure italiana' dicevano 'e anzi è stata finora uno dei meno impuri dialetti d'Italia'. Potremmo aggiungere, pertanto, che anche il ligure di Corsica rientra nel filone italiano. Mazzini, che il 18 febbraio 1831, giungeva in Corsica da Marsiglia, affermò: 'La mi sentii nuovamente, con la gioia di chi rimpatria, in terra italiana. Da Bastia ad Ajaccio in fuori, dove l'impiegatume era di chi lo pagava, ogni uomo si diceva d'italia, seguiva con palpito i moti del centro  e anelava a ricongiungersi alla Gran Madre'. Sempre il 18 febbraio 1831, a testimonianza del concorde convincimento della Corsica come terra italiana, nell'ambiente rivoluzionario parigino il generale La Fayette e il comitato rivoluzionario italiano di Parigi inserirono nell'accordo tra rivoluzionari italiani e francesi lo scambio tra Corsica e Savoia. Molti corsi parteciparono al Risorgimento italiano come Leonetto Cipriani, di cultura ligure di Ponente,che partecipò alla prima guerra di indipendenza del 1848-1849 e alla spedizione dei Mille del 1860. La lingua italiana (e parimenti quella corso-ligure)cominciò ad essere vietata dalla Corte di Cassazione di Parigi il 4 agosto 1859, dopo che fin dal 1852 era stato stabilito che bisognasse redigere gli atti in francese e non in italiano. Si temeva infatti che, dopo la seconda guerra di indipendenza, il neonato regno d'Italia potesse rivendicare la Corsica. Ma nel 1870, dopo la caduta di Napoleone III, Vittorio Emanuele II non accolse la proposta di molti patrioti di recuperare la Corsica e la stessa Nizza marittima.  Nel marzo 1871 persino il giovane deputato radicale francese Georges Clemenceau suggerì all'assemblea Nazionale di prendere in considerazione la cessione della Corsica all'Italia, anche se, nella sua intenzione,  voleva forse liberarsi della Corsica per punire i corsi del loro atteggiamento in favore di Napoleone III.

Il 19 maggio 1882, Giuseppe Garibaldi, ligure e italiano nel profondo, poco prima di morire, disse che 'La Corsica e Nizza non debbono appartenere alla Francia e verrà giorno in cui l'Italia, conscia del suo valore, reclamerà a ponente e a levante le sue province, che vergognosamente languono sotto la dominazione straniera'. Non sarà così certamente con la vergognosa guerra fascista, ma lo sarà in avvenire grazie al primato indiscusso del genio universale e dell'intelligenza del Bel Paese. Se è poi vero che i corsi ritenevano naturali (e storici) i loro legami con la 'terra ferma italiana', in particolare quella ligure e toscana (giudicando a loro estranei i rapporti con Parigi), i francesi cercarono in ogni modo di procedere a tappe forzate alla francesizzazione dell'isola.

L'affezione alla Francia rimaneva (e rimane ancora in misura significativa, però) solo nella condivisione della memoria bonapartista (memoria e gloria che tuttavia pone accanto, l'un l'altra, l'Italia e la Francia, date le ascendenze italiane del grande Corso). E sempre il ligure Mazzini, a proposito della politica francese, non solo verso la Corsica, proclamava in una sua lettera ad un repubblicano romano, nel dicembre 1871: '..la Francia è la nazione più cinica d'Europa. Incredula, protegge il Papa, predicatrice di libertà, vota per il 2 dicembre. Si vanta unica come nazioni per combattere per un'idea ed esige denaro e terre che non sono sue (rivendicando un diritto non suo), senza restituirci la Corsica che sarà la sua rovina un dì non lontano'. Il sentimento corso e ligure, ma anche di sintonia con la Sardegna e il resto d'Italia sembra rinascere nella coscienza corsa pur non mettendo più anacronisticamente in discussione confini e limiti acquisiti, nel bene e nel male, dalla Storia. E riconoscendo comunque di essere di fronte a nuove e più inquietanti sfide globali che vanno ben oltre il pur perdurante e sterile spirito nazionalistico delle nazioni europee, duro a morire, nonostante tutto.

Pierluigi Casalino". 

Redazione

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