Economia - 03 dicembre 2016, 07:05

#fondatasullavoro: la retribuzione, cosa sapere tra obblighi e doveri

Cominciando a parlare di retribuzione, la si potrebbe intendere, sia come uno tra i principali obblighi a cui è sottoposto il datore di lavoro, sia uno dei primari diritti del lavoratore

#fondatasullavoro: la retribuzione, cosa sapere tra obblighi e doveri

Con l’appuntamento di oggi, cambiando rotta rispetto alle precedenti analisi, cominciamo a volgere lo sguardo verso gli aspetti più “economici” del rapporto di lavoro. 

Cominciando a parlare di retribuzione, la si potrebbe intendere, sia come uno tra i principali obblighi a cui è sottoposto il datore di lavoro, sia uno dei primari diritti del lavoratore. Tale oggetto potrebbe ricondursi banalmente al “prezzo” per l’attività lavorativa svolta da un soggetto. Tuttavia, soprattutto con riferimento alle caratteristiche generali dei contratti del diritto civile (dalla vendita alla locazione), non ci si deve far tentare da letture troppo riduttive o formalistiche.

Infatti, in primo luogo non si deve dimenticare come la “merce” scambiata, in questo caso, tra le parti attenga ad un elemento inseparabile dal lavoratore: la sua forza lavoro, che, come tale, non può essere trattata come un qualsiasi altro bene (molto banalmente: in alcuni casi in cui il lavoratore non onora il proprio impegno di andare a lavorare (es. malattia) il datore continua a pagare la retribuzione. Diversamente, nel contratto di vendita, se venisse pagato un prezzo per una cosa che non viene consegnata, sorgerebbero non pochi problemi!).

In seconda battuta non andrebbe dimenticato come potrebbe non essere opportuno ancorare il trattamento economico del lavoratore ad un elemento fisso e legalmente immodificabile: i salari sono condizionati da numerose variabili di mercato, ed è giusto che vengano determinati sulla base di un confronto tra attori del mondo sindacale e datoriale (molto banalmente: è giusto mantenere una certa flessibilità perché, sulla base degli scenari di mercato, quello che un’impresa può pagare oggi potrebbe essere diverso da quello che si pagherebbe domani, ad esempio per colpa della crisi. Vanno rispettati gli equilibri economici del mercato del lavoro!).

A tutto quanto detto finora si collega l’articolo 36 della Costituzione: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Dalla lettura di questa norma possiamo anzitutto evidenziare due elementi che dovrebbero orientare l’operazione del calcolo della retribuzione:
· la proporzionalità: intesa come trattamento economico rispettoso della quantità e qualità del lavoro prestato, quindi collegato a quanto realmente il lavoratore mette in gioco durante il rapporto. Infatti nel contratto collettivo i livelli retributivi sono determinati sulla base della caratteristiche della prestazione, con riferimento a contenuti ed alle professionalità del lavoratore (per semplificare: ad ogni insieme di mansioni ‒dimensione qualitativa si collega un livello retributivo orario ‒dimensione quantitativa‒ determinato nelle declaratorie dei contratti collettivi). Questo potremmo definirlo l’aspetto più vicino alla logica del mercato e dei contratti: viene definito il “valore della forza lavoro” e moltiplicato per quante ore si lavora:
· la sufficienza: secondo l’art. 36 la retribuzione non dovrebbe mai scendere sotto un certo livello, cioè quello tale per cui il singolo (e la famiglia) conducano un’esistenza libera e dignitosa. Questo elemento controbilancia la tipica logica contrattualistica di cui sopra con un elemento che possiamo definire di stampo sociale. In effetti non tutti considerano che senza un livello minimo retributivo obbligatorio, molti lavoratori pur di lavorare accetterebbero condizioni economiche sempre più basse, alterando in modo scorretto il mercato nel suo insieme (pensiamo agli effetti negativi simili a quelli della concorrenza sleale). A questo punto, in concreto, come facciamo a capire quanto bisogna guadagnare? Visto che non ci sono leggi dello Stato che diano diretta attuazione all’articolo 36 della Costituzione questo compito viene assunto dai giudici. Infatti ormai da tempo la magistratura favorisce l’attuazione dei principi costituzionali in materia di retribuzione attraverso il potere conferito dall’art. 2099 del Codice civile che consente al giudice di determinare il compenso riconosciuto al lavoratore quando non vi sia indicazione nel contratto. Allo stesso modo, nei casi in cui la retribuzione indicata non sia congrua (perché troppo bassa), la clausola che la contiene viene considerata nulla per contrasto con una norma imperativa di legge (l’art. 36 Cost.), consentendo al giudice di comportarsi esattamente come se non esistesse, quindi, anche in questo caso determinando il compenso secondo l’art. 2099 c.c.

In questa operazione la giurisprudenza si riferisce prevalentemente alle clausole retributive dei contratti collettivi, utilizzando come parametro il minimo retributivo che contengono (normalmente composto da minimo tabellare, indennità di contingenza, scatti di anzianità). Questo elemento viene considerato il principale strumento per “convertire in denaro” la posizione che realmente il lavoratore occupa secondo quanto stabilito dal contratto individuale.

Ad esempio: Tizio secondo il suo contratto individuale guadagna 100. Tizio si rivolge al giudice considerando di guadagnare troppo poco rispetto a quello che realmente gli viene richiesto di fare. Il giudice, sulla base delle mansioni concretamente svolte da Tizio, individua il suo reale livello inquadramento nelle declaratorie del contratto collettivo applicato (o applicabile) al suo contratto di lavoro individuale. Supponiamo che da esso risulti che Tizio debba guadagnare 150, in questo caso ne consegue che:
· la clausola che prevede che Tizio guadagni 100 è nulla per contrasto con l’art. 36 Cost:
· il giudice, in assenza di un’indicazione del compenso, ai sensi dell’art. 2099 c.c. ridetermina la retribuzione commisurandola a quanto disposto dalla contrattazione collettiva (150) che, a questo punto, è il principale parametro per l’attuazione delle norme costituzionali in materia di trattamento economico;
· se Tizio svolge delle mansioni simili ma non identiche a quelle previste dal contratto collettivo applicato o applicabile, la valutazione del giudice dovrebbe utilizzare le clausole retributive solo come parametro su cui fondare il suo prudente apprezzamento.

Edoardo Crespi

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