Al Direttore - 20 gennaio 2017, 08:23

Sanremo: la storia del Palazzo Borea d'Olmo ripercorsa da Andrea Gandolfo

Lo storico di Sanremo Andrea Gandolfo ripercorre le vicende storiche e artistiche dell’antico e imponente Palazzo Borea d’Olmo di via Matteotti. Si tratta del palazzo storico che fino a pochi mesi fa ospitava il Museo Civico, nonché residenza cittadina, per diversi secoli, della nobile famiglia matuziana dei Borea d’Olmo.

Sanremo: la storia del Palazzo Borea d'Olmo ripercorsa da Andrea Gandolfo

Lo storico di Sanremo Andrea Gandolfo ripercorre le vicende storiche e artistiche dell’antico e imponente Palazzo Borea d’Olmo di via Matteotti. Si tratta del palazzo storico che fino a pochi mesi fa ospitava il Museo Civico, nonché residenza cittadina, per diversi secoli, della nobile famiglia matuziana dei Borea d’Olmo. 

"Ecco, dunque, il mio breve profilo storico di Palazzo Borea d’Olmo:

Il grandioso palazzo, che rappresenta il più importante edificio civile della città e il maggiore per mole dell’intera Liguria occidentale, è sempre stato la sontuosa residenza della famiglia Borea d’Olmo, una delle più antiche e prestigiose casate matuziane indissolubilmente legata alle sorti di Sanremo fin dal XV secolo. I Borea, originari della Bretagna, furono noti tra il XII e il XIV secolo a Venezia, dove alcuni loro membri fecero parte del Maggior Consiglio della Serenissima. Trasferitisi successivamente in Romagna, il 1° maggio 1420 furono insigniti del titolo nobiliare pontificio da papa Martino V. Nel 1430 un esponente della casata, Antonio Borea, allora podestà di Sanremo, fece costruire in un terreno coltivato a limoni, di proprietà di Matteo Argarisio, un edificio dalle modeste proporzioni situato nei pressi della porta di Santo Stefano.
 
Diversi anni dopo si stabilì invece nella nostra città in pianta stabile Gio Batta Borea, un commerciante di granaglie venuto appositamente da Lugo di Romagna per dedicarsi al traffico delle spezie. Quest’ultimo fu quasi certamente l’ideatore e il costruttore della parte frontale dell’attuale palazzo, la cui prima pietra pare sia stata posta intorno al 1498. Nei secoli successivi la famiglia Borea rimase stabilmente a Sanremo con parecchi suoi componenti che si distinsero in modo particolare al servizio della Chiesa e delle istituzioni pubbliche, facendosi sempre amare dalla popolazione per la loro grande generosità e disponibilità nei confronti dei più poveri e infelici.

Il casato ottenne il 6 luglio 1773 il titolo di marchesi d’Olmo dal re di Sardegna Vittorio Amedeo III, mentre nel 1813 Tomaso Gio Batta, allora maire (sindaco) di Sanremo, fu insignito del titolo di Barone dell’Impero francese. Nel 1914 la famiglia venne elevata infine alla dignità ducale dal re d’Italia Vittorio Emanuele III. Nel corso della loro lunga permanenza nella nostra città i Borea d’Olmo diedero a Sanremo numerosi importanti personaggi, tra cui valorosi militari, uomini di cultura, diplomatici, amministratori e sindaci, come Pietro Michelangelo, che si dimise dalla carica di sindaco nei primi anni Sessanta dell’Ottocento per essersi opposto alla costruzione della linea ferroviaria lungo il litorale, fatto che - secondo l’esponente della nobile famiglia matuziana - avrebbe tagliato in due la città mettendone a rischio la crescita futura. Il complesso, che era sicuramente circondato un tempo da un parco e vasti appezzamenti agricoli, poi fagocitati dall’impetuosa espansione edilizia cittadina tra Otto e Novecento, è stato, a partire dalla fine del XV secolo, più volte ampliato, ristrutturato e ridecorato fino ad assumere in piena epoca barocca la sua attuale fisionomia architettonica.

Le varie fasi costruttive dell’edificio permangono tuttavia ancora in gran parte sconosciute, come non sono noti i nomi degli architetti che curarono l’erezione dell’imponente fabbricato sino alla sua definitiva trasformazione barocca conservatasi in buono stato fino ai giorni nostri. Un accurato studio delle soluzioni stilistiche delle due alte e regolari facciate con motivi a stucco, nonché del retro piuttosto composito dello stabile, consente peraltro di attribuire la progettazione del palazzo ad architetti di grande valore capaci di realizzare prospetti particolarmente maestosi e con uno stile allora sconosciuto a Sanremo. Il palazzo è elevato a cinque piani fuori terra, oltre ad un piano interrato ed un meno ampio piano soffitto, sottostante il tetto che si presenta a falde molto inclinate. Il cornicione dell’edificio, che si sviluppa complessivamente per un perimetro di 185 metri a circa 25 metri dal suolo, è senza dubbio di epoca rinascimentale, ma si armonizza perfettamente con la ricca ed estrosa decorazione barocca delle facciate sottostanti.

Dopo la graduale alienazione delle superfici a giardino che circondavano una volta l’antica residenza della famiglia Borea, il palazzo si trova attualmente ad essere direttamente prospiciente verso sud via Matteotti, verso ovest via Cavour e verso est e nord piazza Borea d’Olmo, dove dal 1875 era ubicato il Teatro Principe Amedeo, poi andato distrutto e sulla cui area è situato oggi un parcheggio pubblico. I muri maestri del fabbricato, dallo spessore particolarmente consistente, sono stati innalzati in pietra e calce, mentre i soffitti sono tutti a volte. Le sale dei due piani nobili, di cui dieci affrescate o decorate a stucco, hanno chiavi di volta a sei metri dal pavimento, tranne una che si trova a circa dieci metri.

Nel 1887, a causa dei pesanti danni arrecati alla struttura dal disastroso terremoto del 23 febbraio di quell’anno, vennero demolite sia una sopraelevazione centrale a pianta rettangolare sia due torrette laterali a pianta quadrata, che erano rimaste gravemente lesionate dal sisma. L’ingresso al palazzo è contrassegnato da due portali marmorei cinquecenteschi, prospicienti via Matteotti e via Cavour, con i portoni originali in legno foderati in ferro a lamine borchiate. Le due grandi porte risultano sormontate da altrettante nicchie, che ospitano la statua della Vergine con il Bambino sulla facciata sud, e quella di San Giovanni Battista sul lato ovest, che probabilmente è ricollegabile al nome portato frequentemente in passato da insigni esponenti della famiglia Borea.

Entrambe le statue sono attribuite allo scultore fiorentino fra’ Giovanni Angelo da Montorsoli (1507 ca - 1563), uno dei maggiori rappresentanti del manierismo michelangiolesco, il quale, dopo essere stato forse allievo di Andrea Ferrucci, collaborò a più riprese con lo stesso Michelangelo nella realizzazione della Sagrestia Nuova di San Lorenzo a Firenze. Tra le altre sue opere si segnalano la fontana di Orione e del Nettuno a Messina e l’altare maggiore della chiesa bolognese di Santa Maria dei Servi. Avendo risieduto per vari anni in Liguria, e in particolare a Genova, dove realizzò la statua di Andrea Doria nel mausoleo della nobile famiglia genovese sistemato nella chiesa di San Matteo, è assai probabile che egli stesso abbia disegnato i portali destinati ad accogliere le statue commissionategli dai Borea.

Dal portale della Vergine si accede al monumentale atrio-scala “alla genovese”, formato da due vani, di cui il primo è caratterizzato da un’ampia volta a padiglione lunettato, mentre il secondo, in posizione posteriore rispetto al precedente e leggermente sopraelevato, risulta coperto da volte a crociera sorrette da slanciate colonne in marmo, che conferiscono un’imponenza ancora maggiore al grande vestibolo. La sua realizzazione, per la notevole valenza artistica che lo caratterizza, è sicuramente opera di un architetto particolarmente abile ed esperto, quale poteva essere senza dubbio Gio Antonio Ricca, che un’attendibile documentazione archivistica ne certifica tra l’altro la presenza in città nel 1713. Una grande e comoda scala d’onore sale quindi agli appartamenti superiori, nei cui ambienti risiedevano i membri della famiglia padronale, mentre il personale della numerosa servitù era solita abitare nei più semplici e modesti piani ammezzati.

Il primo piano nobile, che non è attualmente visitabile, è stato trasformato e decorato verso la fine del Seicento su commissione di Giovanni Battista Borea, che affidò al pittore genovese Giovanni Battista Merano (1632-1698) l’incarico di eseguire la decorazione di alcuni ambienti. Tra questi ultimi si distingue in particolare la galleria, ornata di specchi, busti e dipinti, che rappresenta una soluzione architettonica adottata di frequente nelle grandi dimore barocche. Nella volta della galleria Merano dipinse, presumibilmente nel 1695, l’Aurora che scaccia le tenebre, dove il soggetto principale dell’affresco è inserito in una delicata serie di festoni a fiori e frutta che rimanda alla vita cittadina particolarmente agiata e mondana dell’epoca. Lo stesso Merano dipinse anche le Storie della Passione, che adornano la cappella principale del primo piano, il cui apparato decorativo comprende anche un pregevole dipinto di Van Dyck raffigurante una Crocifissione, mentre tra gli altri soggetti affrescati si ricordano San Romolo che scaccia i Saraceni e le Quattro virtù cardinali.

La cappella del piano nobile superiore presenta invece un altare marmoreo riccamente decorato con la statua della Vergine riferibile forse all’ambito di Giacomo Antonio Ponsonelli (1654-1735), mentre la pala con il Compianto sul corpo di Cristo è stata probabilmente eseguita dal Merano. Da quest’ultimo ambiente si passa al grande salone di rappresentanza con volta a vela aperta sul cielo attraverso una balaustra. Al centro campeggia l’arma della famiglia Borea, mentre i dipinti presenti, legati ad una fase decorativa di epoca settecentesca, sono forse riconducibili alla bottega di Maurizio Carrega. Le stanze attorno al grande salone, dalle dimensioni più ridotte, sono raccordate verso oriente da una serie di eleganti portoncini settecenteschi. Dalla parte opposta due camere decorate con dipinti di gusto neopompeiano immettono nella grande alcova, nota per aver ospitato, nella notte tra l’11 e il 12 febbraio del 1814, il papa Pio VII nel corso del suo viaggio di ritorno a Roma dall’esilio francese di Fontainebleau. L’ambiente del soggiorno papale è stato conservato nel suo aspetto originario caratterizzato dalla vivace decorazione delle volte, dove schiere di angeli danzanti si rincorrono nel cielo.

Lo spazio del letto risulta poi nettamente separato dall’antistanza tramite un’arcata, mentre due portoncine aperte ai lati consentono l’accesso alle stanze di toeletta. Dopo la partenza del pontefice, la famiglia Borea fece affiggere sulle porte della stanza e del salone dove soggiornò il papa due lapidi commemorative, il cui testo fu approvato dallo stesso Pio VII, che lo lesse prima di lasciare il palazzo. Oltrepassata l’alcova papale si entra nella grande sala, in cui sono allineati alle pareti i ritratti dei più insigni e prestigiosi rappresentanti della casata, memoria storica dell’importanza rivestita un tempo dalla dinastia, che ne celebra i fasti attraverso il ricordo degli artefici della sua levatura economica e sociale.

Durante l’ultimo conflitto mondiale il palazzo è stato più volte colpito da salve di artiglieria navale e danneggiato seriamente dall’eccezionale spostamento d’aria dovuto allo scoppio del deposito di siluri di piazza Colombo dovuto al bombardamento navale del 20 ottobre 1944, oltre che dalla distruzione dell’adiacente Teatro Principe Amedeo in seguito a un violento bombardamento aereo abbattutosi sulla città nell’agosto del 1944. I gravi danni furono comunque limitati grazie alla straordinaria solidità delle strutture portanti dell’edificio, che ha resistito molto bene conservandosi integro fino ai giorni nostri. Nel corso della sua lunga storia il palazzo Borea d’Olmo, che è stato anche adibito a funzioni carcerarie nell’età moderna, ha ospitato molti illustri personaggi di passaggio nella nostra città, tra i quali, oltre a papa Pio VII, si possono ricordare la regina di Spagna Elisabetta Farnese nel 1714 e, una seconda volta, nel 1756, il re di Sardegna Carlo Emanuele III di Savoia con i figli Vittorio Amedeo e Ottone nel 1746, l’Infante di Spagna Filippo di Borbone nel 1747, il pittore francese Jean-Honoré Fragonard nel 1773, l’arcivescovo di Genova, cardinale Spina, nel 1813, la regina Maria Cristina di Savoia nel 1843, e il principe Filippo di Edimburgo nel 1948.

Fino al suo trasferimento a Palazzo Nota nel dicembre del 2016, il palazzo ospitava, oltre a vari uffici, esercizi commerciali ed abitazioni private, il Museo Civico di Sanremo nei locali situati al secondo piano nobile. Nel palazzo è ospitata invece ancora attualmente la sede della Famija Sanremasca, il sodalizio impegnato da molti anni con lusinghiero successo a conservare e valorizzare il patrimonio storico, artistico, linguistico e folcloristico della città".

 

Direttore

TI RICORDI COSA È SUCCESSO L’ANNO SCORSO A APRILE?
Ascolta il podcast con le notizie da non dimenticare

Ascolta "Un anno di notizie da non dimenticare" su Spreaker.

Google News Ricevi le nostre ultime notizie da Google News SEGUICI

Ti potrebbero interessare anche:

SU