Attualità - 25 settembre 2017, 14:27

Sanremo: chiude “Popoff”, il ricordo del dj e speaker Simone Parisi: “La gente che transitava lì dentro si riconosceva, ci si considerava tutti parenti di Enrico”

Se ne va un punto di riferimento per gli appassionati di musica della città della musica

Simone "Radiomandrake" Parisi

La notizia della chiusura di “Popoff” è stata un colpo basso per i tanti appassionati di musica della zona. Sanremo, la città della musica, rimane senza un negozio di dischi.

Tra chi ha voluto dare il proprio saluto a “Popoff” dopo anni di acquisti e amicizia c’è Simone Parisi, dj e storico speaker della zona.

 

Ecco le sue parole:

La Sanremo che non c’è più.
Quel negozio tutto nero aveva un fascino innegabile, non era l’unico: si potevano comprare dischi alla Standa, in via Palazzo da Fiorenzo, in via Roma proprio a fianco alle Poste, in corso Mombello da “Refrain”, in via Matteotti in un piccolo negozio adiacente all’angolo piazza Colombo dove un’anziana signora (per noi bimbi s’intende) lasciava appesi per mesi i 45 giri del Festival, un giorno con l’amico Massimo Modena andammo a chiedere i primi 45 dei Police, quelli punk precedenti alla rivoluzione del reggae bianco, la risposta fu: no stelline, i 45 giri non li tengo…teneva solo quelli del Festival evidentemente, poi aprì “Love Musica” in fondo a via Roma.

Ma quel negozio d’ispirazione dark aveva un magnetismo particolare, sembrava di star dentro alla copertina di “Unknow Pleasure” dei Joy Division o nelle sfumature del trucco di Robert Smith dei Cure con quei sacchetti tutti neri che i ragazzi sfoggiavano in “vasca”, si stava “Fuori dal Pop”, almeno così tutto cominciò prima che Enrico e Laura lo rilevassero. Epoca di Lp e musicassette, epoca di considerazione musicale e di vendite. Il disco d’oro di allora si assestava sul milione di copie contro le 25.000 attuali.

Poi il negozio si trasformò prendendo l’attuale livrea luminosa ed i sacchetti diventarono bianchi, arrivarono i cd a coprire ogni angolo compreso il banco stesso. Non cambiavano però i pomeriggi. Una sorta di passaggio obbligato, un momento per discutere sul nuovo di Springsteen o sulla genialità inarrivabile di Peter Gabriel. E le attese per il nuovo di Bowie, poi per quel disco dei Nirvana col bimbo che nuota sotto il pelo dell’acqua col dollaro usato come esca. “E quello di Elio e le Storie Tese che ieri sera suonavano all’Odeon c’è?” (era uno show case privato e li conobbi così).

Ed intere ore a commentare la discografia e le scelte artistiche della serata del Festival del giorno prima, a volte in mezzo a discografici, anzi spesso. 
La copia fisica dell’album non era un feticcio sorpassato ma l’unico modo per poterla ascoltare, una piccola testimonianza artistica. Ed é questo il passo determinante, l’aggregazione pomeridiana non passa più nella testimonianza artistica, e la musica smette di stare al centro della giornata. Ma la gente che transitava lì dentro si riconosceva. A volte ci si guardava come se si fosse “ultimi romantici di un’abitudine che fu”, ci si considerava un poco tutti parenti di Enrico, privilegiati testimoni di note. Non c’erano barriere. Ci potevi trovare tutto, dance, jazz, metal, pop, biglietti dei concerti, dvd musicali e non. Dagli inizi tutti neri e post punk una bella rivoluzione. Insomma da “Popoff” si cresceva. Io non ricordo il primo Lp comprato li dentro, ma ricordo di aver passato ore insieme a Shorty per cercare ed ascoltare della musica da far ballare, ore con Ramon a disquisire sulle scelte artistiche di uno o dell’altro, ore con Enrico stesso sempre curioso sulle buone o cattive sensazioni di noi che nel frattempo diventammo Operatori del settore. Anche perché nel frattempo “Popoff” rimase l’unico baluardo della cultura discografica in città. Quella “della musica” come la vogliamo definire, che ora ne rimarrà orfana.

La chiusura di un negozio di dischi non fa più così notizia, in ogni grande e piccola città sono rimasti in pochi, come ad Imperia dove sempre Enrico e Laura gestiscono e continueranno a farlo “Tuttomusica”, ma il senso del tempo e dell’abitudine culturale non cambia. La perdita è reale per tutti, anche per i ragazzi abituati ad avere musica virtualmente stipata in formati digitali e contenuta dentro piccole scatole di memoria invece che in un armadio appositamente costruito come me, come Lo Slavo, come tanti amici che é sempre stato facile considerare tali, legati dalla passione comune.

Sapete Enrico e Laura, avete gettato le basi per parecchie amicizie, eravate una sorta di centro sociale, più che un bar dell’aperitivo. E poi Ramon. Ricordo ancora il bancone vecchio e quel ragazzetto appena arrivato a lavorare per voi, ricordo i suoi occhi che mi guardavano mentre non sapevo che dire alla notizia della morte della mamma, ricordo la sua risata quelle volte che mi scorgeva arrivare e metteva su un disco per vedere in quanto tempo ci mettevo a riconoscerlo (record 3 secondi per “Pop Song” dei Japan). 

Lo sai Enrico, non ricordo il primo Lp ma vorrò incorniciare l’ultimo, come già fatto coi “Picture Disc” di David Bowie.
Lo sai. Ecco lo sai. Ho gli occhi lucidi perenni da quando me lo hai detto.
Ecco, lo sai, ora lo sai.
E quando mio padre mi racconterà di nuovo di una Sanremo che non c’è più e mi dirà che via Matteotti si chiamava via Vittorio e che i giovani si ritrovavano al bar Lamarmora per diventare grandi, io risponderò che una volta c’erano tanti negozi di dischi, poi rimasero solo “Refrain” e “Popoff”, infine solo “Popoff”, ed io sono diventato grande così. 

Pietro Zampedroni