Il brivido della velocità fra tornanti e brevi rettilinei, quell'esplosione di adrenalina nella lotta con il cronometro lungo stradine che “tagliano” e collegano l'entroterra da un borgo all'altro, incorniciate dai boschi: è l'intramontabile fascino del Rally di Sanremo, il più antico d'Italia. Per decenni prova mondiale, poi europea, oggi del campionato italiano: è cambiata la dimensione, per motivi economici e logistici, ma senza intaccarne l'immagine e (soprattutto) la passione di chi ne tiene viva la storia continuando ad allungarla. E' quasi una missione quella portata avanti da Sergio Maiga, architetto, che fin da ragazzo ha fatto del rallysmo una vocazione, una fede da non tradire mai: prima praticandola direttamente, da navigatore, e in seguito nella complessa macchina organizzativa. Che guida (è il caso di dirlo) saldamente come presidente dell'Automobile Club Sanremo (in carica dal 1996), ora del Ponente Ligure, dopo un lungo apprendistato negli anni ruggenti della gara al fianco dello storico “patron” Adolfo Rava (Sanremo Rally), al quale la città ha dedicato la via di fronte all'ex stazione ferroviaria. Mezzo secolo di vita con e per il grande evento motoristico, arrivato alla sua 72a edizione (15-19 ottobre, comprese le fasi preliminari), con base articolata fra Portosole teatro della prova spettacolo d'apertura (nel pomeriggio di sabato 18), Forte di Santa Tecla (direzione gara e ufficio stampa) e Pian di Nave (partenza e arrivo). Dieci le “speciali” che abbracciano l'interno della provincia, in un mix di tradizione e novità. E con lo stimolante abbinamento al 40° Rally Storico e alla 39a Coppa dei Fiori (il via venerdì 17), oltre che al 15° Sanremo Leggenda (sabato 18 e domenica 19).
Il primato di longevità affonda le radici nel 1928, ma è datato 1961 il vero battesimo del Rally come lo conosciamo. Perché?
“All'inizio era, di fatto, un raduno con partecipanti in arrivo da mezza Europa. Il sindaco dell'epoca, Pietro Agosti, chiese al Casinò di organizzare un evento simile a quello sperimentato con successo nel Principato di Monaco, per portare più turisti stranieri, quindi più clientela. L'anno dopo fu incluso un percorso lungo varie strade urbane. Ma se ne fecero appena due edizioni, per via degli elevati costi. Poi, negli anni '30, con l'Automobile Club prese forma il circuito di Sanremo dedicato alle antenate delle auto di Formula Uno. Tra il 1952 e il 1956 si è svolto il Rally internazionale femminile. E si arriva al 1961, quando nasce il Rally dei Fiori, primo in Italia basato su prove di velocità per determinare le classifiche e con tratti di regolarità a raccordare le varie prove, tempi di percorrenza prestabiliti, penalità in caso di sforamento e coefficienti legati alle cilindrate delle vetture. L'alba dei rally moderni, copiando da Monte Carlo anche in questo caso. La denominazione deriva dalla conseguenza del “riciclo” di un trofeo previsto per un altro evento. Era il periodo in cui andavano di moda i concorsi di bellezza riservati a mezzi di trasporto e qui se ne organizzava uno dedicato a pullman “fuoriserie”, mettendo in palio una rosa d'oro. Ma alla quinta edizione il meccanismo s'inceppò. Così nacque l'idea di virare sul rally, con un richiamo ai fiori di Sanremo e della Riviera, decidendo di assegnare in via definitiva il trofeo in questione al primo vincitore di due edizioni. Andò al sanremese Leo Cella, trionfatore nel 1965 e 1966. E nel 1968 maturò l'attuale denominazione. Per vent'anni, fino al 1981, l'organizzazione è stata interamente in capo all'Automobile Club, poi l'affidamento alla Sanremo Rally di Rava, diventando il Rally d'Italia come prova del mondiale. Lo è stata per tre intensi decenni, fino al 2003. E nel 2004 il ritorno alla gestione diretta da parte nostra, la mia prima volta da patron”.
Ma come è nata la sua passione?
“All'inizio da spettatore, poi seguendo mio fratello Silvio, di un anno più grande. Affrontammo insieme la prima gara, il Monti Savonesi: lui aveva la patente, io no perché non ancora maggiorenne. Usammo la Mini Cooper di nostra madre, ignara del fatto, anche se qualche giorno prima aveva notato qualcosa di diverso nel funzionamento del motore... Poi l'esperienza al Valli Imperiesi a fianco di Paolo Isnardi, quindi con i sanremesi Orlando Dall'Ava e Amilcare Balestrieri, e altri piloti tra i quali Cambiaghi. Quanto a Silvio, gli fu offerto di diventare direttore sportivo della Lancia dopo Daniele Audetto, ma in scia arrivò pure la proposta di correre con il grande Sandro Munari, sulla mitica Stratos, e non esitò ad accettare di diventarne il navigatore, gareggiando ai massimi livelli”.
Nel 1977 lei matura la scelta di uscire dall'abitacolo e appendere il casco al chiodo, per poi passare dall'altra parte.
“Decisi di privilegiare la famiglia e dedicarmi alla professione di architetto. Diversi piloti mi offrirono di tornare, ma rimasi fermo sulla scelta compiuta. In seguito, ho iniziato a interessarmi all'organizzazione del Rally collaborando con Rava”.
Come e quanto è cambiato il mondo dei rally, e di riflesso il Sanremo?
“E' profondamente diverso l'approccio alla gara. Nel passato piloti e navigatori familiarizzavano, diventando amici perché si stava lontani da casa anche due settimane per provare i percorsi, in quanto le gare erano lunghissime e davvero impegnative. Capitava, così, di ritrovarsi negli stessi posti a cena o per prendere confidenza con le speciali. Con alcuni di loro ci sentiamo e ritroviamo anche adesso. Oggi l'evento è molto concentrato. E, di riflesso, non ci sono più le occasioni di assistere ai test notturni, con i cosiddetti muletti delle marche ufficiali che venivano effettuati diversi giorni prima del via e piacevano tanto agli appassionati che si precipitavano nell'entroterra per seguirli. Penso alla Ronde, non riproponibile per varie ragioni, che garantiva spettacolo con i suoi 44 km, alla quale seguiva la San Romolo-San Romolo di 36 km. E con altre ps in una sola notte si arrivavano a percorrere 250 km in totale. Un bel ricordo”.
L'epopea del Sanremo mondiale arrivato a sconfinare sugli sterrati di Toscana, Umbria ed Emilia Romagna. Poi anche sulle strade asfaltate del basso Piemonte.
“Pagine indelebili nella lunga storia del nostro Rally. Ma, purtroppo, irripetibili. Per insostenibilità dei costi e norme sempre più stringenti in tema di sicurezza, anche per effetto della maggiore velocità delle auto. Basti pensare che sul finire degli anni '90 si era arrivati a stimare circa 300 mila spettatori soltanto lungo le strade del Ponente e del Piemonte: numeri che oggi sono improponibili e ingestibili”.
Nel 2004 la perdita dello status di prova iridata e del titolo di Rally d'Italia, passato al Rally di Sardegna, sostenuto da ingenti finanziamenti.
“Eravamo preparati, anche perché noi potevamo contare soltanto sul sostegno quasi esclusivo del Comune, sponsor a parte, mentre dietro altri rally c'erano le nazioni, intese come le rispettive Federazioni impegnate in prima linea. In pratica, una città costretta a difendersi da sola con armi impari. A ciò si sono aggiunte norme molto restrittive sul fronte della sicurezza, che, di fatto, hanno tagliato fuori le nostre strade, non più in grado di poter accogliere i flussi di pubblico garantiti dal mondiale”.
Malgrado tutto il Rally di Sanremo conserva una “appeal” forse unico. Come lo spiega?
“Intanto per la sua storia. Poi per la particolarità dei percorsi, su strade dell'entroterra disegnate tanto tempo fa dai militari, dalle curve con andamenti che le rendono belle da guidare. Tanto è vero che, ancora oggi, le case automobilistiche vengono spesso qui per effettuare test sulle nuove vetture. E non dimentichiamo la forza del nome Sanremo, ormai un brand”.
Ogni anno si torna a parlare della possibilità di rientrare almeno nel circuito europeo: soltanto una speranza o un progetto realizzabile?
“Non nascondo che mi piacerebbe molto riuscirci nel 2027, per festeggiare i cento anni dalla nascita del Rally. Ne stiamo parlando con il Comune, in particolare con l'assessore Sindoni, con il cda del Casinò guidato dal presidente Di Meco, e con la Regione, dal presidente Bucci agli assessori Ferro e Lombardi. Riscontriamo interesse, disponibilità. Per cui, cercheremo di mettere insieme tutte le tessere destinate a formare questo mosaico. Servono circa 1,5 milioni, considerando anche le gare delle auto storiche, da continuare ad accorpare per ragioni di costi e di estensione della manifestazione. La prova del campionato italiano richiede un impegno finanziario attorno a 650 mila euro, di cui 160 mila ottenuti dal Comune e dai fondi del Tavolo del turismo, 35 mila direttamente dalla Regione e 100 mila dal Ministero per lo sport grazie all'interessamento dell'assessore Ferro. Poi ci sono i contributi della Fondazione Carige e del Casinò, il sostegno di vari sponsor e le quote per le iscrizioni (variano da 700 a 1800 euro). Già oggi garantiamo circa 8500 presenze alberghiere in 4/5 giorni, occupando camere anche nelle città vicine, da Bordighera ad Arma di Taggia, e con un giro d'affari globale sul territorio stimato in circa 2 milioni. Che, come minimo, verrebbe raddoppiato se tornassimo a far parte del campionato continentale, magari valutando pure di coinvolgere altre parti della Liguria se maturassero le condizioni”.
Nell'attesa rilanciate, dopo sei anni, la prova speciale spettacolo a Portosole (sabato 18, alle 14.30), che sarà trasmessa dalla Rai (in differita) e da Aci Sport Tv (canale 228 di Sky). Tuttavia, i rally risultano poco televisivi malgrado il loro indice di spettacolarità.
“Perché sono difficili da seguire con le telecamere, considerando l'alta velocità delle auto e la tortuosità dei percorsi. In genere con un punto di ripresa si riesce a coprire non più di 200/250 metri, rispetto a lunghi tracciati. E non è facile rendere con le immagini gli effetti della gara. Si potrebbe rimediare dall'alto, ma l'impiego di elicotteri ha costi elevati. Con la speciale a Portosole riusciamo a garantire lo spettacolo anche in tv, grazie a inquadrature da vicino, molto meglio che in un parcheggio o in altri luoghi”.
Ci sono, poi, altre dieci speciali per un totale di 112 km. Come le scegliete?
“Le prime idee nascono a gennaio, all'interno del ristretto gruppo di lavoro composto da quattro persone. E ogni volta cerchiamo di modificare qualcosa, proporre novità. Quest'anno abbiamo deciso di rilanciare la Carpasio-Ville San Pietro, grazie al ripristino della provinciale Borgomaro-Colle d'Oggia. C'è anche un classico giro attorno a Monte Bignone, in pratica la Ronde fatta a pezzi. E, come sempre, siamo costretti a chiudere un giorno prima le strade interessate, ma lasciando aperte finestre per gli abitanti, tenendo conto che si tratta di tracciati a bassa percorrenza. Qualcuno mugugna, ma sono lamentele davvero isolate, perché i Comuni sono i primi a chiederci di far passare il Rally sui loro territori. Se dovessi suggerire dei punti per gli spettatori, direi Bajardo perché la visuale è ampia, ma anche Monte Ortigara con la svolta verso Perinaldo, e Colle d'Oggia. Comunque, sul nostro sito è disponibile la mappa del Rally, per avere informazioni globali”.
E' un impegno organizzativo notevole: al suo fianco c'è anche tutta la famiglia.
“Mio figlio Mattia coordina il gruppo di lavoro delegato alla sicurezza, mia figlia Micol si occupa dell'ufficio stampa e mia moglie Chiara mi aiuta da sempre. Ci dà una mano anche Silvio. L'evento impegna circa 350 persone, di cui 270 commissari tra i quali 95 appartengono al nostro territorio”.
Qual è l'edizione che ricorda di più?
“Tutte, nel bene e nel male. Non posso, però, dimenticare due momenti difficili: l'edizione del 1986 la cui validità fu annullata a fine gara, per la classifica mondiale, a seguito di una vertenza Lancia/Peugeot, con Cesare Fiorio per la casa italiana e Jean Todt per quella francese, nata dall'impossibilità di registrare alcuni tempi a causa di un'auto piombata sull'area cronometristi, e quella del 2020 annullata per i disastri provocati dall'alluvione avvenuta la notte prima della partenza dell'unica tappa di circa 100 km, concepita così per la ripresa post-Covid. Aggiungo l'edizione del 2008 in cui inserimmo la prova speciale più lunga fra tutti i rally del mondo in quell'anno, ben 60 km di estensione: Badalucco-Ghimbegna-Bajardo-Apricale-San Romolo-Perinaldo-Ghimbegna-Ceriana. Il più veloce fu Giandomenico Basso, premiato con una targa celebrativa che espone ancora nella sua pizzeria, a Cavaso del Tomba, nel Trevigiano. Non a caso vinse quell'edizione, la prima della sua serie di cinque successi al Rally di Sanremo”.
E l'auto più bella, secondo il suo parere?
“La Stratos, in assoluto. Meriterebbe di essere esposta al MoMA di New York accanto alla mitica Cisitalia. Sembrava fatta apposta per lo stile di guida di Munari”.
Il sogno nel cassetto? E come riesce a coniugare l'attività professionale con quella sportiva?
“L'ho già svelato: il Sanremo nuovamente europeo. Nel 2027 scade il mandato da presidente e non so se mi ricandiderò. Quanto al lavoro, ho iniziato a delegare. Mi aiutano l'esperienza e qualche punto di contatto nei due ruoli, fra creatività e gestione”.
Le resta del tempo per coltivare degli hobby?
“In realtà uno solo: lunghe camminate. Ho già fatto quattro volte i cammini di Santiago, l'ultimo nell'aprile scorso per circa 500 km. Poi ho percorso mezza via Francigena, intorno a 650 km e per buona parte in territorio italiano. Ora mi piacerebbe andare a piedi lungo l'Appia da Roma a Brindisi, ma al momento è soltanto un desiderio”.