Eventi - 16 febbraio 2025, 07:14

Festival di Sanremo: i ricordi di chi lo ha seguito come giornalista tra gli anni '60 e '80, Carlo Michero ci racconta storie e aneddoti

Uno 'spaccato' della kermesse canora che fu, tra i giovani di un tempo che utilizzavano il Jukebox come un 'social'

Io e il Festival siamo coetanei. Ma la prima volta che ci “incontrammo” correva il 1968. Alle magistrali le ore di educazione fisica si facevano in orario pomeridiano. E noi studenti fuori sede avevamo la nostra “mensa” in un baretto vicino alla stazione di Oneglia. Era un punto di incontro che favoriva la socializzazione. Perché lì dentro c’era il nostro social: si chiamava Jukebox. Con 50 lire si poteva ascoltare un quarantacinque giri, con cento lire c’era la possibilità di ben tre dischi. Si avevano o si faceva la colletta. E la scelta era sempre per i begli occhi di quella compagna di banco e di treno a cui facevi il filo. Intorno alla rastrelliera variopinta si facevano discussioni e si accennava a qualche ballo.

Nel 1968 vinse il Festival di Sanremo Sergio Endrigo con “Canzone per te”. Ma a noi che avevamo 16, 17, 18 anni piaceva molto di più “Deborah” cantata da Wilson Pickett e Fausto Leali. Alla fine diventava un tormentone. Per quante volte sentivamo il disco che più ci piaceva. Era l’unico modo a buon mercato per sentire la “nostra” musica, perché un quarantacinque giri costava 700 o addirittura 800 lire. Parecchio se si considera la nostra paghetta media ed il fatto che un caffè andava a settanta lire. E lo stipendio di un impiegato non superava le 60mila lire. Ma c’era chi si industriava a registrare con il “Geloso” le canzoni trasmesse da radio Montecarlo. Unite tutte su una bobina con paziente lavoro di collage, che non poteva riuscire per forza di cose perfetto. La rivoluzione venne con le musicassette negli anni settanta e ottanta. Abbinate al walkman sul finire degli anni settanta furono uno dei  primi esempi di musica in mobilità, insieme alla radiolina a transistor perché il mangia dischi era ingombrante e costringeva ad andare in giro con un cofanetto di 45 giri.

Con il Festival ci fu un ritorno di fiamma negli anni '80. Ma qui fu per lavoro. Le prime televisioni e radio libere si affacciavano all’ Ariston per fare informazione. Snobbati dai colleghi della carta stampata. Nonostante tutto un po’ sgomitando entrammo anche noi con il cameramen nella sala stampa. O rincorrevamo il cantante del momento in via Matteotti, che a all’epoca era addirittura percorsa dalle auto. Poi cominciai a collaborare con un giornale storico della Liguria “Il Lavoro“ di Genova. Durante il Festival avevo il mio pass e l’accesso, garantito, insieme ai due inviati del giornale. Facevo servizi di appoggio. In particolare mi ero inventato una sorta di sondaggio sul successo reale delle canzoni appena sentite.

C’erano a Sanremo due negozi principali di dischi uno era quasi attaccato all’Ariston, l’altro era in corso Mombello. L’Hobby sonoro ed il Refrain. Andavo a trovare entrambi i titolari e mi facevo dire l’andamento delle vendite del 45 giri e sulla base delle loro dichiarazioni facevo il mio pezzo per il giornale. Perché accadevano cose strane. Nel 1983 per esempio vinse a sorpresa una certa Tiziana Rivale con “Sarà quel che sarà”. Sparita poi nel nulla. Ma quello che vendette subito una valanga di copie fu Toto Cutugno, con il quasi inno “L’italiano”, seguito a ruota da “Vacanze Romane“ dei Matia Bazar. Rispettivamente quinto e quarto. Storie di quei giorni. Di felicità. Quando andavo al massimo. Anche se non c’erano i social ed internet. Noi eravamo giovani, felici di ballare a fianco di un jukebox sulle note di un Festival. Con una ragazza che, come si usava allora, portava una minigonna vertiginosamente corta. Che altro?

(Foto dell'indimenticato Pablo)

Carlo Michero

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