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Eventi | 03 luglio 2022, 07:21

Filippo Graziani porta il mito di papà Ivan a Rock in the Casbah: “A Sanremo mi lega un rapporto di famiglia, amo il ‘lato B’ della città”

Sabato 6 agosto il live sul palco di San Costanzo per la chiusura della 23ª edizione

Filippo Graziani porta il mito di papà Ivan a Rock in the Casbah: “A Sanremo mi lega un rapporto di famiglia, amo il ‘lato B’ della città”

Rock in the Casbah apre il palco a un figlio d’arte orgoglioso di esserlo, fiero dell’intuizione artistica firmata dall’indimenticata papà. Il 6 agosto l’anfiteatro di piazza San Costanzo ospiterà il live di Filippo Graziani, un cognome che non ha bisogno di ulteriori presentazioni. A Sanremo porterà l’eredità musicale di papà Ivan in una veste rivisitata in trio insieme anche al fratello Tommaso.

Una serata interamente dedicata ai figli d’arte che vedrà alternarsi sul palco generazioni di musicisti locali a confronto. Non poteva quindi mancare chi da anni si esibisce portando con fierezza l’etichetta di erede di uno degli uomini più iconici del cantautorato italiano. Mentre si lavora per definire gli ultimi dettagli della 23ª edizione di Rock in the Casbah, abbiamo incontrato e intervistato Filippo Graziani per scoprire qualche piccolo segreto del live e approfondire il suo rapporto con la città della musica. 

Cosa ti lega a Sanremo? Qual è il tuo rapporto con la città che ospiterà il tuo live? Il mio legame con Sanremo è molto vecchio e ‘generazionale’. I primi rapporti sono arrivati con Pepi Morgia che, quando ero ancora ragazzino, decise di aiutarmi a portare avanti quello che poi sarebbe diventato il primo progetto di tributo a mio padre e fu il primo a credere in questa possibilità. Poi con la nostra famiglia e con mia mamma c’è un forte legame con il mondo del Tenco, è sempre stato un posto amichevole per noi sino a quando ho anche ottenuto la targa. Poi il Festival e tutta una serie di cose che gravitano attorno alla musica e mi legano alla città e alle persone che lavorano nell’ambiente musicale sanremese su più livelli”.

Con il tuo live a Rock in the Casbah entrerai nel ‘lato B’ della città, quello meno mainstream. Lo conoscevi? Ogni città ha un ‘lato B’ che è sempre quello che mi interessa di più, lì ti rendi conto che le persone che ti piacciono nel ‘lato A’ vengono dal ‘lato B’. Non vengo dal mainstream, non gli appartengo e il ‘lato B’ è quello più familiare. L’ho scoperto quando sono stato invitato da Larry Camarda a Rock in the Casbah anni fa e lì ho conosciuto la ‘casbah’, la città vecchia. Ho visto questa realtà fighissima di persone che fanno musica perché gli piace ed è una cosa che mi fa piacere ripetere e tornare perché è stata un’esperienza davvero bella”.

Cosa porterai a Rock in the Casbah? La prima volta che sono salito sul palco di San Costanzo avevo portato i Carnera, un progetto stoner tardo adolescenziale. Quest’anno porterò una versione del tributo a mio papà in trio per ricalcare la stessa formazione che avevo la prima volta con mio fratello alla batteria e un altro bassista. Si faranno cose di papà in versione trio che è molto più secca e istintiva, primitiva, libera di improvvisare molto di più”.

Cosa pensi della questione ‘figli d’arte’? La senti come un peso o un’opportunità? La questione dei figli d’arte si dovrebbe iniziare a sdoganare. Purtroppo negli ultimi anni non abbiamo avuto esempi virtuosi, ma ne conosco molti e ne ho grande rispetto musicale e umano. Penso al figlio di Pierangelo Bertoli che è un bravissimo contante o lo stesso Cristiano De André del quale ho un grande rispetto. Ci sono esempi buoni. Ma, ovviamente, la gente pensa a esempi che sono stati nel mainstream. Nel mondo della musica c’è la tendenza a guardare con il naso storto chi è figlio d’arte, cosa che non succede nel teatro o nel cinema. Pensiamo mail figli di Lennon, ho avuto modo di conoscere Sean e, pur con tutti i parallelismi, ci sono le stesse problematiche. Non ha senso fare paragoni. Il senso di responsabilità di un figlio nell’interpretare il padre in Italia viene visto come un “non so cosa fare nella mia vita, sono cresciuto con il cucchiaio d’argento in mano e vado a rifare quello che ha fatto mio padre”, come fossimo sfruttatori del lavoro dei nostri genitori. Ora, dopo 20 anni di carriera, sono adulto, ho fatto le mie esperienze, ne vado fiero e questa pippa non me la faccio. Non ha senso logico. Porto avanti una eredità musicale ma con la mia personalità e con il mio modo di vedere la musica. Penso si veda e si percepisca che non cerco di fare una copia sbiadita di un’altra cosa, per me contano il repertorio e le canzoni. Voglio portare avanti l’intuizione artistica di mio padre, quella che si sente nelle canzoni. Il fatto che io ci riesca vuol dire che è stata un’intuizione artistica altissima, immortale. È giusto che i fruitori della musica si rendano conto che non ricalchiamo la strada di un genitore, quello lo faccio dentro il mio cuore e ricordo mio padre. Lo ricordo ogni volta che canto le sue canzoni ricordo mio padre, ma è una cosa personale che non riguarda il pubblico. Io voglio conservare quella musica bellissima che è stata fatta. Ecco perché non mi vedrai mai sul palco con gli occhiali rossi o cose che non hanno a che vedere con la musica. La mia famiglia non ha a che vedere con altro che non sia la musica”.

Pietro Zampedroni

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