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Al Direttore | 23 gennaio 2022, 07:04

Come e perché Mentone e Roccabruna divennero francesi: il racconto di Pierluigi Casalino

La Francia, strumentalizzando la situazione e la confusione creatasi, aggirò il parere contrario delle altre potenze europee e finì per assicurarsi progressivamente vantaggi su territori

Come e perché Mentone e Roccabruna divennero francesi: il racconto di Pierluigi Casalino

Come e perché Mentone e Roccabruna divennero francesi: questo l'argomento che oggi viene analizzato dallo storico Pierluigi Casalino. Il segreto disegno di Napoleone III di allargare i confini della Francia riuscì in pieno, nonostante l'opposizione di mezzo mondo. Ventimiglia rimase, invece, unita al neonato Regno d'Italia.

Dopo il primo momento di entusiasmo volto ad una immediata annessione al Piemonte e quindi al nuovo Regno d'Italia, la sconfitta di Novara e la possibilità che al governo provvisorio di Mentone e Roccabruna fossero applicate nuove imposte e introdotto il servizio di leva da parte sabauda, portò ad un un'atteggiamento più autonomistico e scettico nelle due Città Libere.

I dubbi sulle condizioni della progettata annessione suscitarono in seguito anche alcuni movimenti scissionisti che sfociarono negli incidenti del 1854 nelle zona. Contemporaneamente anche i rapporti tra la Francia e il Governo delle Città Libere si andavano inasprendo sulla questione della bandiera commerciale di Mentone che Parigi non voleva più  riconoscere nei porti francesi. Circostanza che venne tuttavia risolta grazie ai circoli mentonaschi presenti a Parigi e assai influenti nelle alte sfere di quella capitale. In ogni caso tutte queste vicende misero in risalto l'incertezza della situazione politica delle Città Libere in una fase storica in profonda evoluzione.

La questione ruotava intorno alla posizione del Principato di Monaco, volta a rivendicare i diritti di sovranità nei confronti di Mentone e Roccabruna. La questione divenne acuta dal 1848 al 1854. Nel 1854, come venne precisato qualche decennio più tardi, dopo l'annessione alla Francia delle due Città Libere, sembrò che le cose andassero oltre gli stessi voti di quei cittadini e anche aldilà delle speranze di restaurazione dell'autorità monegasca in quei centri. Le misure assunte in loco durante le opposte manifestazioni annessionistiche al Piemonte e quelle a favore del Principato, nel 1854, trovarono il consenso dell'Intendente sabaudo generale di Nizza, ma nello stesso tempo, rivelarono come la mano di Parigi giocasse abilmente tra l'interesse monegasco a conservare il potere sulle Città Libere e lo scivolare delle complicate trattative di queste ultime con Torino per far parte dello Stato piemontese.

La manovra attendista francese ben si sposava, infatti, anche con i primi contatti con il Piemonte avviati in occasione della guerra di Crimea e finalizzati all'alleanza in vista del conflitto contro l'Austria. Il segreto disegno di Napoleone III di prolungare i confini ad est fu chiaro da un sibillino intervento dell'imperatore francese a proposito dei contrasti insorti a Mentone nel 1854, approfittando delle ormai insanabili divergenze tra il Principe di Monaco e il Re di Sardegna in ordine alle pretese sulle due Città Libere.

Divergenze che alimentavano da un lato la speranza della maggioranza di quei cittadini di entrare nell'orbita italiana e dall'altro manifestavano il tentativo del vicino Principato di ritardare, se non vanificare, una tale prospettiva, mediante continue interferenze a favore dei gruppi minoritari filomonegaschi. In questo contesto si verificarono pure delle proteste da parte del Comune di Ventimiglia presso il luogotenente sabaudo di Nizza nei confronti della guardia nazionale mentonasca, accusata di sconfinamenti e violenze nel territorio di Ventimiglia alla ricerca di dissidenti mentonaschi. Proteste, peraltro, che furono ridimensionate dal governo mentonasco in una nota inviata alle autorità sarde. Del resto la vecchia frontiera tra Mentone e Ventimiglia al tempo di Napoleone Bonaparte andava ad oriente oltre Garavano e i mentonaschi ebbero facile gioco a sminuire, presso Nizza e Torino, la portata delle azioni della loro Guardia Nazionale. La frontiera tra gli Stati Sardi e il Principato di Monaco non era, del resto, ancora al Ponte San Luigi, ma era, in quel tempo, posizionata qualche centinaio di metri più avanti. Tra gli altri ostacoli ad una felice conclusione delle trattative tra Mentone e il Governo sabaudo da registrarsi, infine, la mancata concessione da parte di Torino della clausola di città più favorita nel commercio dei limoni.

Fu così che la Francia, strumentalizzando la situazione e la confusione creatasi, aggirò lo stesso parere contrario delle altre potenze europee e finì per assicurarsi progressivamente vantaggi su territori, in questo caso storicamente italiani, che il Congresso di Vienna le aveva vietato di acquisire. Processo che si concluse amaramente con la cessione di Nizza e Savoia nel 1860, grazie a brogli vergognosi. E la stessa soluzione caldeggiata a parola da Parigi di mediare tra gli  tra il Principe di Monaco e il Re di Sardegna per l'acquisto di Mentone e Roccabruna finì per naufragare per la cattiva volontà del Principe. Le trattative, come già anticipato, si trascinarono fino al 1860 e fu la Francia che nel 1861 ne trasse la conclusione, imponendo ai monegaschi, in cambio del suo protettorato, l'alienazione a suo favore di ogni diritto di sovranità. Dall'operazione di avanzare le linee di confine da parte francese fu fortunatamente preservata Ventimiglia, se pur voci di una cessione dell'attuale città di frontiera si rincorressero incontrollate e accompagnate dal crescente malumore della locale pubblica opinione infine rassicurata da Cavour circa le mire territoriali francesi.

Redazione

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