“Buongiorno,
vorrei condividere con Voi un ricordo di guerra per non dimenticare quello che essa è stata qui, nelle nostre valli, anche per i civili e soprattutto per i bambini.
Mio padre, Gio Batta Bensa, aveva 14 anni nel 1944. Era stato mandato a Civezza dai nonni paterni perchè suo padre Francesco, Carabiniere, era stato deportato in Germania in un campo di prigionia militare, ed era stato dichiarato ‘disperso’. Sua mamma era stata assunta in Comune perchè ormai dichiarata ‘vedova di guerra’ e non potendo accudire il figlio, lo avevo affidato ai nonni.
Un giorno d'estate, papà aveva preso il cavallo del nonno per fare un giro per le campagne; all'altezza della Chiesetta di San Salvatore, lo videro i tedeschi che stavano transitando sulla strada per Pietrabruna su una Jeep. Gli spararono con la mitragliatrice che purtroppo avevano a bordo e lo ferirono ad una gamba con 4 pallottole che gli si conficcarono in un polpaccio. Al rumore degli spari, il cavallo scappò via e lo scaraventò a terra; riuscì a trascinarsi fino al cimitero di Civezza qualche centinaia di metri più in giù.
I tedeschi salirono a Civezza, lo cercarono nei dintorni e lo trovarono in una pozza di sangue ormai svenuto. Accortisi che si trattava solo di un ragazzo, lo portarono a Civezza dove venne riconosciuto e accompagnato a casa dei nonni.
Mi raccontava spesso quella terribile esperienza, mostrandomi le vaste cicatrici che aveva nella gamba. Mi faceva paura quel racconto e spesso lo ricordo quando vado a Civezza.
Papà aveva un sogno da bambino: quello di entrare in Marina e diventare un Ufficiale. Finiti gli studi, si presentò a Livorno per entrare all'Accademia Navale come ‘cadetto’. Dopo varie selezioni tutte superate brillantemente, fu scartato alla visita medica per quelle vistose cicatrici sul polpaccio.
Penso che quella esclusione gli bruciò quanto le ferite che l'avevano causata.
Roberta Bensa”.
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