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Infermiere e salute | 21 febbraio 2021, 06:00

Anticorpi monoclonali: ecco cosa ho capito!

Ritorna il Professor Bottani con la sua “rubrica nella rubrica”.

Anticorpi monoclonali: ecco cosa ho capito!

L’AIFA ha approvato l’utilizzo di due tipi di anticorpi monoclonali e il Governo ne ha consentito l’applicazione terapeutica per il trattamento dell’infezione da COVID-19.

Sapevamo che negli ultimi  20/30 anni venivano creati in laboratorio anticorpi monoclonali per affrontare varie patologie,ad esempio, in reumatologia per ridurre l’infiammazione e  in oncologia per bloccare i fattori di crescita responsabili del processo di sviluppo e diffusione del tumore. 

Che cosa sono:  sono proteine omogenee ibride, ottenute da un singolo clone di linfocita ingegnerizzato.  Cioè anticorpi sintetici fabbricati in laboratorio e ottenuti da quelli naturali prodotti dai pazienti immunizzati, da somministrare a chi ancora deve superare la malattia.

Gli anticorpi monoclonali, possiedono però un'affinità altamente specifica per un determinato tipo di antigene e si legano ad esso, consentendo in questo modo di ottenere una marcata risposta immunitaria nei confronti di quella proteina, tossina, cellula maligna o agente patogeno che costituisce il target della terapia. Infatti gli anticorpi monoclonali possono essere coniugati a farmaci o isotopi radioattivi per direzionare con estrema precisione lo stesso principio attivo verso il target di interesse, evitando di coinvolgere altri distretti dell'organismo. In questo modo, si possono ridurre gli effetti indesiderati e aumentare le probabilità di efficacia terapeutica, soprattutto nella terapia antitumorale, è la radioimmunoterapia.

Queste particolari glicoproteine possono essere utilizzate anche per scopi diagnostici per individuare agenti batterici o virali, particolari tipi di proteine o cellule tumorali. Anche nei cosiddetti kit diagnostici d'uso domestico, quali, ad esempio, i ben noti test di gravidanza sono basati sul principio tecnologico degli anticorpi monoclonali.

Come agiscono: I monoclonali si legano alla proteina che il virus usa per entrare nelle cellule, (la proteina Spike), bloccandone l’ingresso e impedendo la replicazione. Si tratta di una difesa costruita in questo caso, appositamente contro il virus Covid-19, quindi agisce come se il soggetto fosse già stato vaccinato. Infatti, fanno in modo che il virus non riesca a entrare nelle cellule umane, quindi a infettarle e replicarsi; e sia più facilmente fagocitato dalle cellule del sistema immunitario deputate a questa funzione, come i macrofagi presenti nel fegato, nella milza e nei tessuti.

Come si somministrano: Con un’infusione endovenosa di circa un’ora con un tempo di osservazione tra i 15 e i 30 minuti come nel caso dei vaccini.

Costo: costano circa 2.000-3000 euro a dose che, secondo gli esperti, equivalgono a poco più di un giorno di ricovero in terapia intensiva, ma garantiscono la possibilità di fornire una terapia completa ai pazienti. Il sistema di produzione è piuttosto complesso e devono rispondere a standard di sicurezza molto elevati.

Quanto funzionano: Lo scudo contro il contagio dura solo qualche mese, meno dunque rispetto a quello del vaccino.

Quando vanno usati: Secondo gli esperti, i monoclonali vanno utilizzati all’inizio della malattia, cioè entro 72 ore e non oltre 10 giorni da quando è stato riscontrato il coronavirus.

Semplificando molto, infatti, la malattia da Sars-Cov-2 si presenta sostanzialmente in due fasi

  • una prima con malessere generale, mialgia, perdita dell’olfatto (anosmia), perdita del gusto (ageusia) etc., che probabilmente dipendono dalla replicazione virale diretta; (in questa fase è indicato l’uso dei monoclonali)

·         una seconda, più pericolosa, caratterizzata da problemi respiratorifebbre alta e danni agli organi interni, legata alleccesso di risposta immunitaria e che sembra essere indipendente dalla replicazione del virus.

Risultano poco efficaci quando il paziente ha sviluppato i sintomi più gravi. Ecco perché dovrebbero essere usati precocemente, soprattutto in soggetti maggiormente a rischio di contrarre il Covid e di sviluppare la malattia nella forma più seria come anziani, diabetici, obesi, immunodepressi.

Per chi verranno usati: Dice il CTS dell’AIFA :La popolazione candidabile al trattamento con gli anticorpi monoclonali, dovrà essere rappresentata "unicamente da soggetti di età maggiore di 12 anni, positivi per Sars-CoV-2, non ospedalizzati per Covid-19, non in ossigenoterapia per Covid-19, con sintomi di grado lieve-moderato di recente insorgenza (e comunque da non oltre 10 giorni) e presenza di almeno uno dei fattori di rischio (o almeno 2 se uno di essi è over 65) come Malattia renale cronica, Diabete non controllato, Immunodeficienze. La scelta in merito alle "modalità di prescrizione degli anticorpi monoclonali, come pure la definizione degli specifici aspetti organizzativi, potrà essere lasciata alle singole Regioni".

Effetti collaterali: generalmente sono minimi, ma si tratta comunque della somministrazione di proteine per via endovenosa che può indurre reazioni molto variabili, che vanno dalla febbre al malessere generale, all’allergia anche grave

I gruppi di ricerca che, in tutto il mondo, stanno lavorando allo sviluppo di anticorpi monoclonali contro il Covid-19 sono una quindicina. Pochi hanno raggiunto una fase avanzata e due, il cocktail della Regeneron e il farmaco di Eli Lilly, sono gli unici attualmente autorizzati per l’uso e in commercio.

1.      La Regeron, colosso di ricerca statunitense, ha prodotto il Regen-Cov, che è un cocktail di anticorpi monoclonali (usati anche per Donald Trump). Ha ottenuto la concessione per l’uso in emergenza dalla Food and Drug Administration (FDA). Basato sull’associazione di due tipi di anticorpi casirivimab e imdevimab. Uno è stato isolato in un paziente di Singapore e un altro è stato ottenuto in laboratorio inserendo la proteina Spike del coronavirus nell’organismo di un topo modificato genericamente per fornirgli un sistema immunitario umano. I dati indicano che è in grado di ridurre la carica virale in soggetti infetti in modo significativo e sarebbe in grado di ridurre del 50% il rischio di contrare l’infezione. Questo ha aperto alla possibilità di usare questo cocktail come «vaccino passivo», in attesa di una maggiore disponibilità dei vaccini antiCovid.

2.      La Eli Lilly and Company, ha prodotto il Bamlanivimab: è l’anticorpo monoclonale autorizzato per l’uso di emergenza come trattamento per i pazienti ad alto rischio, Gli studi mostrano un’efficacia del 72% nel ridurre il rischio di ospedalizzazione per i pazienti con sintomatologia moderata. Inoltre, uno studio condotto insieme ai National Institutes of Health (NIH) negli Usa suggerisce che il farmaco potrebbe prevenire circa l’80% dei casi Covid-19 tra gli ospiti e il personale delle case di cura, riducendo i rischi di infezione tra il personale e gli anziani.
Bamlanivimab ed Etesevimab sono stati testati in pazienti ad alto rischio con recente diagnosi di Covid-19. Dai risultati emerge che sono in grado di ridurre la carica virale e accelerare la risoluzione dei sintomi.

Insomma c’è la possibilità di usare queste nuove armi farmacologiche come "vaccino passivo", in attesa di una maggiore disponibilità dei veri vaccini antiCovid che rappresentano comunque lo strumento significativo per difenderci dall’infezione più pericolosa di questi ultimi secoli.

prof. Giorgio Bottani

 

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L'Infermiere è un professionista sanitario laureato il cui compito è la somministrazione della cura, il controllo dei  sintomi e la  cultura all’ Educazione Sanitaria.

 

Roberto Pioppo

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