Al Direttore - 05 luglio 2020, 10:03

Dalla rappresentazione della morte alla riorganizzazione dei cimiteri. Il caso dell'antico cimitero di Vallecrosia tra fede e igiene al tempo delle epidemie

Pierluigi Casalino oggi ci racconta le credenze popolari ai tempi delle epidemie

Angelo Aprosio

Angelo Aprosio

Nei periodi di epidemie di peste, che, nei territori del genovesato ligure, rispetto ad altri luoghi d'Italia e d'Europa, erano affrontate con normative assai più efficaci e scientificamente affidabili, la sensibilità popolare verso i seppellimenti delle vittime presentava atteggiamenti non sempre univoci. E ciò anche in ragione di una certa permanente confusione tra le esigenze igienico profilattiche e quelle spirituali legate al destino ultimo del defunto. Di norma i cortei funebri, anche quelli delle persone non abbienti, si svolgevano tra il sontuoso e la ricercata possibile dignità del finale commiato. In occasione delle pestilenze, in particolare, si lasciava da parte forzatamente la tradizionale iconografia e scenografia per distanziarsi al più presto dal morto e dal contagio, affidandolo al più presto alla misericordia di Dio.

In occasione delle epidemie, infatti, i cadaveri (laddove umanamente praticabile, salvo i casi estremi in cui si provvedeva a bruciarli o a interrarli collettivamente) venivano inumati anche disordinatamente, prevalendo ad un tempo sia la preoccupazione del contagio che quella  che l'anima raggiungesse la salvezza eterna, senza che la sacralità dei deceduti fosse profanata da stregonerie, vampirismi o altre diavolerie che potessero abusare dei corpi dei defunti in assenza di vigilanza. Episodi questi segnalati in tutto il Capitanato di Ventimiglia e prevalentemente legati a propagande millenaristiche a tinte fosche. Persino la Chiesa si trovò spesso divisa nel giudicare tali fenomeni, pur annoverando pastori decisamente orientati a non fare di ogni erba un fascio e  e non far circolare errate convinzioni.

Nel '600 il celebre religioso ventimigliese Angelo Aprosio, ad esempio, cercò di moderare le opinioni su tali delicati atteggiamenti mentali.A suffragare questo sentimento comunque di rispetto della morte, viene citato il sistema adottato nell'antico cimitero di Vallecrosia, dove i richiami profani alla brevità della vita erano veramente costanti, unitamente all'invito al ben agire in vita per meritare il premio eterno. Si teneva pure conto dell'esigenza di evitare l'affollamento indiscriminato dei cadaveri e dei conseguenti miasmi anche in tempi normali. La Confraternita dei disciplinanti dell'oratorio di Vallecrosia presiedeva alla rappresentazione della morte e della fede, ferme restando le esigenze del momento.

Ad onor del vero, nel cimitero antico e poi abbandonato di Vallecrosia, la famiglia del defunto sceglieva tra l'inumazione in bianchi veli in cripte sotterranee o il porre i resti mortali in portantine sontuose. La gestione del cimitero, d'altra parte, non aveva mai mancato di attenersi ad un certo possibile ordine igienico all'avanguardia rispetto al suo tempo. Ciò nondimeno la perfezione della polizia mortuaria non era mai raggiunta. Le meridiane, disseminate nel Ponente, anche nei cimiteri, del resto, non di rado continuavano ad invitare i fedeli a riflettere sul trascorrere inesorabile del tempo. In quel di Andora si ricorda, per fare un esempio, che una meridiana riportava emblematicamente l'iscrizione: "vulnerant omnes, ultima necat", vale a dire cioè che ogni ora che passa ferisce, mentre l'ultima uccide. E così un'altra meridiana scandiva il tempo dell'uomo onesto.

Quando nel 1806 venne disposta con l'editto napoleonico di Saint-Cloud la riorganizzazione e sistemazione dei cimiteri in ossequio alle riconosciute esigenze di igiene e di adeguato rispetto della polizia mortuaria, la Liguria si trovò in condizioni favorevoli per recepire le nuove disposizioni, data la secolare, maturata esperienza di prudente controllo e gestione dei contagi e di difesa dalle epidemie. Circa poi le cure delle malattie, si può dire che, trascorsa la caotica e talora sanguinosa parentesi delle superstizioni e dei pregiudizi(vedi i processi alle streghe), si ritornò a valutare l'importanza persino dei benefici delle terapie naturali promosse dalle cosiddette "buone donne"o "medichesse", che la stessa scuola medica Salernitana alto medievale aveva raccomandato all'intero Occidente come utili e salutari ritrovati erboristici. Il tutto in una crescente consapevolezza della ineludibile ricerca di medicamenti all'altezza delle epidemie e di altre malattie sociali.

Anche l'Aprosio si soffermò sulla necessità di distinguere tra le false credenze popolari (e la connessa diffusa ignoranza) e le comprovate qualità terapeutiche naturali, riprendendo gli antichi insegnamenti del filosofo e medico arabo Avicenna, che, con altri pensatori musulmani, ebbe un ruolo rilevante nella formazione del pensiero scientifico dell'Europa moderna. Un pensiero, la cui eredità si andava sviluppando rapidamente proprio nell'epoca in cui Angelico Aprosio visse e morì. Il religioso, peraltro, non sopravvisse a quella febbre terzana, associata alla malaria, che dalle parti intemelie si protrasse a lungo a causa delle malsane condizioni della foce del Nervia. Circostanza, questa, che non era stata risolta ancora nel XVIII secolo.

Pierluigi Casalino 

Redazione

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