Attualità - 06 ottobre 2019, 08:00

La figura del giornalista e uomo politico sanremese Giuseppe Amoretti, noto oppositore del regime fascista nella ricostruzione di Andrea Gandolfo

Nel 1918, su presentazione di Giacinto Menotti Serrati, entrò come redattore nell’«Avanti!» di Torino, dove si era recato per compiervi gli studi universitari.

La figura del giornalista e uomo politico sanremese Giuseppe Amoretti, noto oppositore del regime fascista nella ricostruzione di Andrea Gandolfo

Giuseppe Amoretti nacque a Sanremo il 2 giugno 1902 da Gaspare e Carolina Margier. Già a sedici anni, quando era ancora studente liceale, partecipò come giovane militante socialista alla fondazione di circoli giovanili del partito, collaborando anche al giornale socialista locale «La Parola». Nel 1918, su presentazione di Giacinto Menotti Serrati, entrò come redattore nell’«Avanti!» di Torino, dove si era recato per compiervi gli studi universitari. Nel capoluogo piemontese strinse amicizia con Antonio Gramsci e sostenne il movimento operaio nei mesi dell’occupazione delle fabbriche militando nella sinistra socialista.

    Nel gennaio 1921 si iscrisse al Partito Comunista d’Italia ed entrò a lavorare come redattore al giornale «Ordine Nuovo», dove rimase fino al 1923. Dopo la distruzione della redazione del giornale da parte delle squadre fasciste, si trasferì a Trieste assumendo l’incarico di redattore al «Lavoratore». Nel capoluogo giuliano fu arrestato e sottoposto a processo insieme ad alcuni compagni con l’imputazione di attività sovversiva al soldo dell’Internazionale Comunista. Dopo quaranta giorni di carcere, venne tuttavia assolto e rimesso in libertà. Nel 1923 entrò a far parte della Direzione provvisoria del partito con Palmiro Togliatti e Camilla Ravera.

    Nel 1924 la Segreteria del Partito lo destinò alla redazione milanese dell’«Unità», dove rimase fino alla metà del 1926 svolgendo anche mansioni di natura politica. In questo periodo fu aggredito e percosso da alcuni squadristi durante un comizio tenuto alla periferia di Milano. Sotto lo pseudonimo di “Vicentini” lavorò poi alcuni mesi a Roma nell’organizzazione clandestina del PCI che operava nella capitale. Negli ultimi mesi del 1926 fu incaricato di sottrarre Antonio Gramsci alla minaccia di arresto, ma non riuscì nell’intento.

    Nel 1927 la Segreteria comunista lo chiamò, insieme alla Ravera e ad Anna Bessone, ad animare un “Centro interno” aperto a Genova Sturla nella casa diventata in seguito nota con il nome di “Albergo dei poveri”. Verso la fine dello stesso anno partecipò con Li Causi e D’Onofrio all’organizzazione di un altro “centro interno” per l’Italia meridionale e centrale con sede a Roma, dove si stabilì in via Panisperna insieme ad Anna Bessone. Nel maggio 1928 l’organizzazione romana del partito venne scoperta dalla polizia fascista e tutti i suoi capi arrestati. Amoretti e la Bessone furono allora condannati dal Tribunale speciale rispettivamente a 13 e 8 anni di reclusione.

    Trascorse il periodo della prigionia nel carcere di Regina Coeli a Roma nel corso della fase istruttoria e processuale dal giugno 1928 al gennaio 1929; nel penitenziario di Fossombrone nel periodo della segregazione cellulare dal gennaio 1929 al gennaio 1931; nello stabilimento penale di Padova dal gennaio 1931 all’agosto 1932; nel carcere di Civitavecchia dal novembre 1932 al maggio 1933 e infine nel tubercolosario di Pianosa fino alla scarcerazione, avvenuta nel 1934 per effetto di una serie di amnistie e indulti. Durante gli anni trascorsi in carcere conobbe vari esponenti dell’antifascismo militante tra cui Secchia, Terracini e Pertini, e scrisse almeno tre quaderni su argomenti filosofici, uno solo dei quali si è conservato.

    Dopo la liberazione espatriò clandestinamente in Francia recandosi a Parigi, dove lavorò presso la Segreteria del partito. Rimase nella capitale francese fino al settembre 1935, quando venne assegnato alla Scuola Leninista Internazionale di Mosca, che raggiunse con un passaporto intestato ad Aldo Neri. A Mosca ritrovò la sua compagna Anna Bessone, che aveva sposato in carcere nel 1934 e dalla quale ebbe Mario, nato nella capitale sovietica il 13 novembre 1936. Verso la fine del 1937 venne affiliato alla Sezione italiana del Komintern ed entrò a far parte della direzione della Sezione di lingua italiana della Radio di Mosca per l’estero.

    Nel dicembre del 1940 il Komintern gli affidò l’incarico di coordinare l’attività politica del partito presso la comunità italiana in America. Il 20 dicembre del ’40 lasciò Mosca insieme alla moglie e al figlio per raggiungere New York attraverso la Siberia, il Giappone e il Messico, con un passaporto falso intestato ad un commerciante argentino di nome Carlo Gasparini. Nel corso del viaggio si ammalò però di polmonite e il 27 gennaio 1941 morì a Kobe in Giappone. Le sue ceneri vennero quindi riportate a Mosca dai suoi familiari.


Redazione

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