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Eventi | 06 agosto 2019, 16:15

Sanremo: come da tradizione il saluto di Simone ‘Radiomandrake’ Parisi chiude l’edizione di Rock in the Casbah “La più grande capacità è essere sempre sé stessi”

“Nulla resiste se non é transitato dalla forza e dallo show, soprattutto nulla si ingigantisce così tanto fino a raggiungere un punto assoluto, un must”

Simone 'Radiomandrake' Parisi

Simone 'Radiomandrake' Parisi

Come vuole la tradizione di Rock in the Casbah l’ultimo a chiudere la porta e spegnere le luci è Simone ‘Radiomandrake’ Parisi che, con le sue parole, mette la parola ‘fine’ all’edizione del festival più longevo e partecipato del Ponente.

E quindi, bando alle ciance, e parola a Simone Parisi:

Tanto tempo fa in una galassia lontana lontana... 

Si narra di sere di coriandoli colorati, squilli di luce come quella che amava Monet. Lui non dipinse mai “La forma” ma le luci e le rifrazioni della stessa. E i grandi compositori classici non si soffermavano sulle note ma sulle pause tra esse. Ecco tutto quello che compone la forma: le sfumature, i lampi, i sorrisi.

Ha ragione chi parla di un sogno lungo vent’anni. Quello è stato. In quella condizione onirica dove sembra sia possibile tutto. Dove nemmeno i ‘leoni da tastiera’ riescono ad esprimere il lancinante odio che li possiede, sopraffatti come sono da litri di amore. E…tanto tempo fa in una galassia lontana lontana, avvenne. Si costruì piano piano una piattaforma dove poter parcheggiare il proprio personale Millennium Falcon, pronto a salpare nell’iperspazio di ogni inizio agosto, e si costruì a piccole mattonelle un anfiteatro quasi sacro, dove poter santificare lo show come i cavalieri Jedi fanno con “La Forza”. Perché lo show e la forza sono la stessa cosa: entrambi collegano ogni essere vivente, formano l’equilibrio e sostengono l’Universo. Senza lo show non esisterebbe Rock In The Casbah, come non sarebbe esistito Elvis Presley e nemmeno The Who, sarebbero stati normali artisti dello spettacolo, sarebbe stata una normale rassegna di musica da vivere per un po’. Ma nulla resiste se non é transitato dalla forza e dallo show, soprattutto nulla si ingigantisce così tanto fino a raggiungere un punto assoluto, un must. 

Ma nulla rimane se non sorretto dalla verità. La più grande capacità non é il professionismo, la perfezione ma solo essere solamente e continuamente sé stessi. Non ci sono mode, passaggi di stili, nemmeno tentativi occasionali di assomigliare a qualcuno o qualcosa, solo chi resiste a sé e lo rispetta rimane, ed è la prima cosa che ho pensato appena fu parcheggiato il van dei Meganoidi, e sono andato a salutarli: “Piacere sono rimasto quello di 15 anni fa quando voi suonaste qui”. “Ah piacere noi siamo sempre quelli di 15 anni fa che si divertirono così tanto qui”. Ecco la ricetta segreta, ecco tutto. E poco importa se tanti dei presenti non erano ancora adolescenti all’epoca, poco importa se molti del pogo di allora si son persi, come i “Quattro Amici al Bar” di Gino Paoli o come nelle “Osterie di Fuori Porta” di Francesco Guccini, possiamo rifare tutto uguale, perché siamo uguali ad allora, l’anima risplendeva come oggi risplende. 

E risplende l’anima della città, finalmente rispettata da tanti che 20 anni fa sarebbero saliti solo con due ‘gorilla’ a difenderli, e con i tappi per il naso per paura degli afrori dei vicoli, quella Sanremo troppo ben agghindata per accettare la sua anima storica, troppo “bene” per accettare l’imperfezione della “Creuza de Ma” e l’irregolarità dei suoi abitanti, da stipare, rigorosamente dimenticati, nello stesso posto dove ci eravamo scordati di essere nati, come una costellazione nebulosa da confondersi con la notte stessa e rendersi invisibile, come “Zeta Reticuli” 39,2 anni luce lontana. 

Forse la generazione che ha vissuto Rock in The Casbah ha conosciuto l’anima della propria città che non sarà mai altrove perché scolpita dal medioevo in poi nelle pietre da ‘SanCo’ in giù. Forse avrà sbirciato due nomi delle vie per cercare su Wikipedia Luca Spinola e scoprirlo Re di Corsica, forse non avrà più paura dei vicoli appena bui per poterli vivere anche la sera quando i gabbiani risalgono dalla costa e si fan sentire nel loro verso scandito, e forse hanno accettato anche le notti di “Ombre di Muri” che sembrano uscite da una Luna che si mostra nuda appena prima che la notte punti il coltello alla gola ed incomba. Forse son mossi dal “fre di ganeuffani e de Figge” e cercano solo un poco di bellezza per darsi un bacio davanti alla chiesa o sotto a quel Ficus meraviglioso che ha più anni delle pietre. E forse arriveranno Sanremesi di carriera nella cravatta del loro impegno a vedere se i propri figli innamorati della vecchia Sanremo han ragione. E tutti insieme a comporre la varietà umana del tutto simile al bar di Tattoine dove il maestro Kenobi ed il giovane Skywalker videro per la prima volta Chewbakka. Tutti insieme per rispettare la propria anima, lasciarsi guidare da essa, rispettare lo show, rispettarsi. 

Per scoprire che la sola ricetta che la festa obbliga è il rispetto, l’amore. 

Ci sono feste che non sai programmare perché sai che son solo da vivere, ci son feste che vanno verso l’anima, si bagnano di essa e diventano perfette.

Ci sono feste che vorresti non finissero mai. Come i sogni da ricordare prima del vortice del risveglio. E sensazioni da poter rivivere che contengono un luogo preciso, come un punto GPS che si attiva in una posizione esatta facendo scattare la palpitazione, tenue, come un piccolo sorriso da illuminare gli occhi. Ci sono bellezze che contengono gli spazi, che racchiudono il tempo, che bastano in quanto enormi di per sé.

Siamo tra il palco ed il backstage, in quel limbo scintillante ed onirico che brilla ad ogni fine concerto, siamo con ‘Jacco’ il basso dei Meganoidi, uno dei tre che c’era già 15 anni fa, ci illumina: la bellezza ha un valore, lo avrà sempre, questa è una delle cinque migliori location mai fatte in più di mille concerti, e la bellezza contiene le persone, il loro accogliere, la loro benevolenza, é tutto inscindibile, e la bellezza vince e vincerà sempre. 

A me viene in mente un quadro, o l’intera storia dell’arte, mi viene in mente la sensazione di pace perfetta che provo nelle sale di un museo. O forse é solo la sensazione che illumina il cuore che si prova solo in certi luoghi, in determinati spazi che contengono alcune persone, in realtà di genti ne si contano a migliaia ma solo alcune interessano davvero al cuore.

Ed allora ritorno a braccia aperte come solo Mimmo Modugno fece dicendo che quel sogno così bello non ritornerà più e rivedo gli occhi lucidi di chi avevo davanti in quel momento. E so che 20 anni non sono altro che una bella fetta di vita. Arrivederci a 20 anni fa come canta ‘Dave’ nell’ultimo disco Meganoide ed aggiunge “Sempre uguali” sempre noi.

Mimmo Modugno visse fino a 25 anni fa esattamente oggi. 

Forse c’era anche lui con le braccia aperte nel momento nel quale si ricordò Stefano, e c’era Ramon, come sempre, con quella sua risata scandita e ritmica a controbattere al grande Mimmo: “Non é vero che un sogno così non ritornerà più, perché ho insegnato a quegli amici laggiù la mia ricetta segreta. Io non faccio più sogni ad occhi aperti perché ora li realizzo”.

Larry sale con me sul palco appena ho finito di invitare tutti ad abbracciarsi, racconta di un sogno che ora ha vent’anni, prende un libro di quelli che lo raccontano in foto, ritratti, locandine, contributi e lo lancia verso un nugolo di ragazzi con le mani tese al cielo: che lo prenda uno di voi, uno che ha un sogno che lo muove, da non abbandonare, da realizzare.

La fine dei vent’anni é coi fratellini bussanesi su “Clandestino”. La “Dirty Old Town” non lo é più, nessuno merita di esserlo, nessuno di quelli che stanno in pace con la propria anima, come la Sanremo che, finalmente, ha ritrovato la propria, fatta di macerie bonificate e bellezza infinita.

Tanto Tempo fa, in una galassia lontana lontana successe davvero.


Simone Parisi

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